Rivalutazione atti processuali: è possibile in Cassazione?
Le liti, spesso, non si esauriscono in un unico grado di giudizio, poiché, per svariati motivi, la parte soccombente decide di andare in appello. In tale sede, l’appellante cerca di porre rimedio ad un verdetto sfavorevole, promuovendo ed auspicando una diversa e migliore valutazione dei fatti di causa.
Nel caso in commento, invece, la rivalutazione degli atti processuali è stata richiesta alla Corte di Cassazione. Secondo il ricorrente, infatti, il giudice dell’appello non aveva valutato, adeguatamente e correttamente, il materiale probatorio a sua disposizione. Ebbene, gli Ermellini si sarebbero potuto esprimere a riguardo?
Ha risposto a questa domanda la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 21259 del 05 luglio 2022. Lo ha fatto nell’ambito di una vicenda avente ad oggetto un’azione risarcitoria tra un privato, un condominio e la ditta che, per conto di questa, aveva eseguito dei lavori su una condotta fognaria comune.
Non mi resta che approfondire il caso concreto.
Rivalutazione atti processuali: è possibile in Cassazione? Il caso concreto.
Secondo i comproprietari di un immobile, a loro detta danneggiati dai liquami provenienti da una condotta fognaria comune, responsabile dell’accaduto era il condominio contitolare della tubatura.
A quanto pare, questi aveva compiuto dei lavori di manutenzione straordinaria sulla condotta i quali, in quanto mal eseguiti, avevano sortito il descritto evento lesivo.
Nel successivo giudizio di primo grado, incardinatosi dinanzi al Tribunale di Bologna, accanto al condominio era chiamata in causa l’impresa che aveva eseguito le opere in contestazione. Lo scopo era quello di manlevare il convenuto da ogni conseguenza, nella denegata ipotesi in cui fosse stato condannato al pagamento di un risarcimento.
Il primo verdetto, caratterizzato dall’espletamento di una Ctu, si rivelava favorevole per gli attori, i quali ottenevano l’accoglimento della propria domanda.
La lite, perciò si spostava in Corte di Appello dove le parti soccombenti invocavano una diversa e migliore valutazione dei fatti di causa.
L’esito del secondo grado si rivelava, quindi, molto favorevole agli appellanti, visto che gli attori del primo giudizio erano condannati a restituire il risarcimento, inizialmente ottenuto in prima battuta.
Era a questo punto, che la questione era sottoposta alla Corte di Cassazione. Quest’ultima, però, valutando, positivamente, l’esaustività della motivazione espressa nella sentenza impugnata e l’analisi critica del materiale probatorio da parte dei giudici di merito, concludeva per l’inammissibilità del ricorso.
Disponibilità e valutazione delle prove: cosa dice la legge?
Il codice di procedura civile, in due disposizioni principali, indica quali sono gli elementi probatori che il giudice può prendere in considerazione per valutare il fondamento della domanda dell’attore o per accogliere la difesa del convenuto.
«Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115 cod. proc. civ.)».
«Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo (art. 116 cod. proc. civ.)».
Ebbene, le citate indicazioni normative, pur rappresentando una guida per l’operato del magistrato non assicurano che questi non commetta alcun errore. Ad esempio potrebbe fondare il proprio giudizio su una prova, in realtà, mai prodotta dalle parti.
In questo, come in altri casi, il verdetto espresso da una Corte di Appello sarebbe, inevitabilmente, viziato dalla violazione dei citati articoli (cosiddetta violazione di legge) e, perciò, sindacabile in Cassazione.
Valutazione fatti di causa: è solo di competenza del giudice di merito?
La mera valutazione dei fatti di causa è di esclusiva competenza del giudice di merito. Pertanto, se la motivazione espressa dalla Corte di Appello è logica e adeguatamente motivata, non è possibile chiedere agli Ermellini una nuova valutazione del materiale probatorio «La Corte di Cassazione, invero, non è legittimata a compiere una rivalutazione degli atti processuali, dei fatti o delle prove, potendo piuttosto controllare che la motivazione della sentenza oggetto di impugnazione sia lineare e scevra di vizi logico giuridici».
Per la Cassazione, in un caso del genere, non può essere commessa alcuna violazione di legge e tanto meno può essere compiuta una falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. La valutazione dei fatti di causa, infatti, rientra nel sovrano apprezzamento del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità.
Gli Ermellini, inoltre, chiariscono, ancora una volta, i casi in cui l’anzidetta violazione è, invece, riscontrabile e sindacabile in sede di ricorso «in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione – Cass. n. 6774/2022».
Tutto ciò è mancato nella vicenda in commento. Ecco perché l’impugnazione è stata dichiarata inammissibile.
Sentenza
Scarica Cass. 5 luglio 2022 n. 21259