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Gravi difetti di costruzione: quando si configurano, quando è legittimato ad agire in giudizio il condominio, la decadenza e la prescrizione

In caso di vizi e difetti di un immobile è necessario sapere come tutelarsi tenendo in considerazione una fondamentale distinzione prevista dal codice civile tra “vizi e difformità” e “gravi difetti” nonché prestando attenzione ai termini di prescrizione e decadenza.

Nell’ipotesi in cui i vizi e gravi difetti riguardino immobili facenti parte di un complesso condominiale, ci si deve pure interrogare sulla legittimazione attiva ossia sulla possibilità per il Condominio in persona dell’amministratore p.t. di agire in giudizio contro l’impresa costruttrice venditrice dell’immobile.

Una recente sentenza, n. 928 del 18 luglio 2022, della Corte d’Appello di Brescia ci offre lo spunto per rispondere ai suddetti quesiti.

Gravi difetti di costruzione: quando si configurano, quando è legittimato ad agire in giudizio il condominio, la decadenza e la prescrizione. La vicenda

Previo esperimento di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., un Condominio in persona dell’Amministratore in carica pro tempore, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Brescia, la società costruttrice e venditrice del complesso residenziale allegando che in tale immobile si erano manifestati vizi e difetti di grave entità afferenti l’impianto di fognatura, le opere di canalizzazione, le finiture di parti esterne dell’edificio, i camminamenti nei giardini condominiali, i contatori del gas, il reflusso delle acque meteoriche, i pluviali, gli allacciamenti elettrici, la posa di asfalto sulle rampe dei box e gli intonaci, vizi e difetti accertati in sede di consulenza tecnica preventiva, tempestivamente denunciati alla controparte, la quale, per il tramite del proprio legale, li aveva riconosciuti, con espresso impegno a porvi rimedio.

A tale impegno era tuttavia seguita l’esecuzione di alcuni soltanto dei lavori promessi, ragion per cui il Condominio proponeva azione di responsabilità ex artt.1667 e/o 1669, c.p.c.

La convenuta, costituendosi in giudizio, contestava la fondatezza nel merito delle pretese attoree, tempestivamente sollevando eccezioni preliminari di decadenza e di prescrizione, e, prima ancora, contestando la legittimazione attiva del Condominio all’esercizio delle azioni edilizie riferibili alle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Sosteneva, altresì, che dei lamentati vizi avrebbe dovuto rispondere l’impresa appaltatrice, da essa incaricata dell’esecuzione dell’opera con regolare contratto d’appalto, della quale chiedeva autorizzarsi la chiamata in manleva.

Costituitasi in giudizio la terza chiamata, poi dichiarata fallita (per cui la causa veniva interrotta e poi riassunta) la causa veniva istruita e decisa con sentenza che respingeva l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire in capo al Condominio con riferimento ai vizi afferenti le singole unità immobiliari; qualificava la fattispecie rappresentata alla stregua della figura di cui all’art.1669 cc; riteneva che i vizi dedotti dovessero essere ricondotti alla nozione di gravi difetti di costruzione, di cui a tale disposizione; nonché respingeva le eccezioni di prescrizione e di decadenza.

Visti gli esiti della prova orale e considerate le risultanze della consulenza tecnica preventiva, il Tribunale perveniva alla conferma della gran parte dei difetti lamentati, accertandone la riconducibilità ad errori e negligenze nella scelta dei materiali e nelle concrete modalità tecniche di realizzazione delle opere, ascrivibili a progettista/direttore lavori e costruttore, con conseguente affermazione della responsabilità ex art. 1669 c.c., e comunque ex art. 2043 c.c., della convenuta società costruttrice della quale veniva disposta la condanna al risarcimento del danno in misura pari al costo preventivato per la sistemazione a regola d’arte dell’immobile.

Avverso la predetta decisione proponeva tempestiva impugnazione la società costruttrice chiedendone la riforma con integrale rigetto delle domande attoree, previa sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado.

Si costituiva il Condominio resistendo al gravame avversario.

La Corte d’Appello di Brescia riformava parzialmente la sentenza di primo grado in considerazione dei singoli vizi e difetti degli immobili ritenuti gravi.

Gravi difetti di costruzione: quando si configurano. Riferimento normativo e motivi della decisione

L’art. 1667 c.c. disciplina l’ipotesi in cui l’immobile presenti difformità o vizi lievi.

L’art. 1669 c.c. si riferisce alle ipotesi di gravi difetti.

Per comprendere la differenza tra le due ipotesi, ricordiamo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 3002/2001, secondo cui “le disposizioni dell’art. 1669 c.c. tendono essenzialmente a disciplinare le conseguenze dannose dei vizi costruttivi che incidono negativamente in maniera profonda sugli elementi essenziali di struttura e di funzionalità dell’opera, influendo sulla sua solidità, efficienza e durata, mentre quelle dell’art. 1667 c.c. riguardano l’ipotesi in cui la costruzione non corrisponda alle caratteristiche del progetto e del contratto di appalto, ovvero sia stata eseguita senza il rispetto delle regole della tecnica”.

Nello stabilire quali tra i difetti dell’immobile denunciati dal Condominio dovessero qualificarsi gravi, la Corte d’Appello di Brescia si è uniformata al costante e e conforme orientamento di legittimità secondo cui: “ai fini della responsabilità dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., costituiscono gravi difetti dell’edificio non solo quelli che incidono in misura sensibile sugli elementi essenziali delle strutture dell’opera ma anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori (impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi ecc.) purché tali da compromettere la funzionalità globale dell’opera stessa, e che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possono essere, pertanto, eliminati solo con gli interventi di manutenzione ordinaria indicati dalla lettera a dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 e cioè con “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” o con “opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti” (Cass. 1164/95 e successiva giurisprudenza conforme).

Nella specie, secondo la Corte d’Appello di Brescia, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, non tutti i vizi e difetti riscontrati rientrano nella nozione dei gravi difetti di costruzione di cui all’art. 1669 c.c.

Segnatamente:

– “mancanza delle finiture esterne sulle pareti dell’immobile, in particolare della zoccolatura in pietra“: la Corte ha ritenuto tale inadempienza quale grave difetto di costruzione in considerazione del luogo di ubicazione dello stabile ovvero in area montana; area che comporta, per le sue tipiche condizioni atmosferiche, una menomazione dell’impermeabilizzazione dell’edificio e, conseguentemente, della sua stessa salubrità.

“rifinitura in cemento anziché in pietra del muro ove sono posizionati i contatori“: per la Corte tale inadempienza assume rilievo solo sotto il profilo estetico ed economico, ma non anche quale grave difetto di costruzione, ex art.1669 cc, né quale fatto illecito, ex art.2043 c.c.

Gravi difetti di costruzione: la legittimazione attiva del condominio

L’amministratore ha il potere- dovere di compiere atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato. Pertanto rientra nel novero degli atti conservativi di cui al citato art.1130 n.4 c.c. l’azione di cui all’art.1669 c.c.

La giurisprudenza ha precisato che all’amministratore del condominio può attribuirsi legittimazione attiva all’azione di danni ex art.1669 cc soltanto nel caso in cui il pregiudizio derivato al proprietario della singola unità immobiliare posta nell’edificio condominiale debba ritenersi conseguenza dei gravi difetti costruttivi che hanno inficiato le parti comuni.

Ed invero, “In tema di condominio, l’art. 1130, n. 4, c.c., che attribuisce all’amministratore il potere di

compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere – dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato; pertanto, rientra nel novero degli atti conservativi di cui all’art. 1130 n. 4 c.c. l’azione di cui all’art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti dì costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio e i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto” (Cass. n. 2436 del 2018).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto rientranti nelle inadempienze contrattuali, ma non riconducibili, alla disciplina di cui all’art.1669 cc, e, con essa, alla legittimazione attiva dell’Amministratore di condominio, i seguenti danni alle singole unità immobiliari:

– l’errata predisposizione degli schemi di allacciamento elettrico delle singole utenze: in quanto non è stata fornita prova se tale schema di allacciamento potesse riferirsi alla progettazione impiantistica dell’intero edificio.

– la presenza di ruggine e di macchie di salnitro sulla basculante del box annesso ad un singolo appartamento.

Gravi difetti di costruzione: prescrizione e decadenza

L’art. 1669 c.c. prevede che, quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di 10 anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denuncia entro un anno dalla scoperta.

La denunzia dei gravi difetti va dunque fatta entro un anno dalla scoperta e l’azione va esperita entro un anno dalla denunzia sempre che la scoperta del vizio sia avvenuta entro il limite di 10 anni dalla consegna (garanzia decennale).

È necessario a questo punto interrogarsi sul dies a quo del termine di denuncia dei difetti dell’immobile

La giurisprudenza di legittimità afferma che “il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’art.1669 cod. civ. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti; tale conoscenza deve ritenersi, di regola, acquista, in assenza di anteriori ed esaustivi elementi, solo all’atto dell’acquisizione di relazioni peritali effettuate” (Cass. 1.2.2008 n.2460, e tutta la giurisprudenza successiva).

È evidente che una conoscenza oggettiva della gravità dei difetti può aversi soltanto a seguito di accertamento effettuato da un soggetto che per le sue competenze professionali è in grado di stabilire non solo se ricorrano oppure no i vizi lamentati, ma anche se gli stessi debbano, per le loro caratteristiche, ritenersi riconducibili a gravi difetti e, soprattutto, se possano ritenersi gravi difetti di costruzione.

Tuttavia, può trattarsi di un difetto di immediata percezione per cui il termine di decadenza decorre immediatamente senza attendere l’esito degli accertamenti peritali.

In tal senso, la giurisprudenza di legittimità afferma, infatti, che “Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 cod. civ. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e se, da un lato, tale termine può essere postergato all’esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale, dall’altro, esso decorre immediatamente quando si tratti di un problema di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili origini” (Cass. sez. 3, Sentenza n. 9966 del 08/05/2014).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto:

– la “mancanza di finiture esterne alle pareti” e la “mancata realizzazione delle scossaline in rame o dei canali di gronda in rame“: situazioni in cui la difformità era immediatamente percepibile senza necessità di apposita consulenza; con la conseguenza che il termine decorre dal momento della conoscenza del difetto;

– il “

malfunzionamento dell’impianto di fognatura“, “mancata realizzazione ad opera d’arte dei camminamenti“, la “mancata predisposizione di un piano di reflusso delle acque meteoriche“, lo “scrostamento dell’intonaco“: sono tutti difetti – danni che devono essere accertato a mezzo di apposita consulenza tecnica, con la conseguenza che il termine decadenziale annuale non può per esso decorrere se non dal momento del deposito della relazione del CTU.

Sentenza
Scarica App. Brescia 18 luglio 2022 n. 928

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