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Quale è la differenza tra sopraelevazione e variazione della destinazione?

La sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli (n. 3040 del giorno 28 giugno 2022) rappresenta l’occasione per esporre un inquadramento generale sul diritto alla sopraelevazione in condominio, con particolare riferimento alle caratteristiche e requisiti che devono sussistere al fine della configurazione di tale istituto giuridico la cui disciplina è dettata dall’art. 1127 c.c.

Sul punto, ed in via preliminare, è opportuno evidenziare che per una compiuta trattazione dell’argomento occorre ricordare i requisiti oggettivi che interessano la sopraelevazione e che la distinguono dagli altri interventi che possono essere eseguiti e compiuti, quali una ristrutturazione.

In proposito, come avremo modo di appurare, l’elemento dirimente è rappresentato dalla preesistenza o meno dell’opera di cui si contesta la realizzazione.

La controversia in esame è insorta a seguito della avvenuta contestazione della costruzione di una sopraelevazione da parte dei proprietari di un immobile posto al piano rialzato contro i proprietari del primo piano.

Nel caso in esame, come sovente accade, la consulenza tecnica d’ufficio (CTU) disposta dal Giudice è stata risolutiva nell’accertamento, determinante, sulla natura dei lavori effettuati in correlazione e tenuto conto dello stato dei luoghi e dell’impatto o meno sull’edificio.

La lite interessa e percorre due gradi di giudizio, all’uopo precisando che il giudice di prime cure ha respinto la domanda di ripristino e di pagamento dell’indennità di sopraelevazione promossa per cui la medesima è stata reiterata in sede di appello.

Sopraelevazione e variazione della destinazione: la vicenda

Nella fattispecie de qua, ritenuta ingiusta la pronuncia del Tribunale, i proprietari dell’unità abitativa posta al piano rialzato di una palazzina composta da due immobili, hanno promosso appello sostenendo l’erroneità della motivazione e decisione intervenuta, rilevando che il permesso a costruire rilasciato prevedeva espressamente, quale condizione, il consenso del condominio agli interventi ivi descritti e per i quali era stato richiesto.

A tal riguardo, gli appellanti hanno rilevato come detto assenso non fosse mai stato prestato e, per l’effetto, il provvedimento amministrativo doveva essere disapplicato.

A fondamento delle proprie doglianze, i condomini appellanti hanno dedotto come il loro beneplacito doveva riconoscersi quale condizione essenziale in quanto la sopraelevazione interessava (i) parti comuni della palazzina, (ii) l’allaccio ad impianti condivisi, nonché comportava (iii) un uso più intenso oltre (iv) un valore maggiore e un incremento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni.

Sulla questione oggetto di gravame, i Giudici di secondo grado hanno ribadito la conformità a diritto della sentenza impugnata e precisato che i motivi dedotti a sostegno della invalidità dell’atto amministrativo non potevano essere ritenuti condivisibili.

Invero, come rilevato nel corso delle operazioni peritali (CTU), era emerso che le doglianze sollevate muovevano da un presupposto errato poiché il sottotetto de quo era preesistente, per cui era già di per sé esclusa la configurazione di una sopraelevazione non rappresentando una nuova costruzione.

Il concetto di sopraelevazione

Prima di affrontare ed entrare nel merito della fattispecie oggetto della sentenza, è appropriato premettere che il diritto di sopraelevazione è normato all’art. 1127 c.c., il quale stabilisce che «Il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare.

La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono. condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio ovvero diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti».

La regola codificata nella citata norma è chiara nel ravvisare l’ipotesi di sopraelevazione qualora sia realizzata una nuova costruzione evidenziando che, comunque, quest’ultima non deve compromettere la staticità dell’edificio e/o l’aspetto architettonico e/o comportare una riduzione dell’aria o luce degli altri immobili posti ai piani inferiori.

Al contempo, la medesima disposizione prevede che, laddove sia effettuata una sopraelevazione gli altri condomini hanno diritto ad una indennità il cui ammontare è da calcolarsi secondo quanto prescritto al IV comma.

In relazione alla opera che si intende eseguire sull’ultimo piano del fabbricato, la medesima dovrà, quindi, tradursi in una costruzione non preesistente.

È indubbio, quindi, che la normativa vigente configura il diritto di sopraelevazione solo al ricorrere della suddetta caratteristica ed in assenza delle condizioni pregiudizievoli sopra illustrate.

Nella circostanza de qua, anche i Giudici di appello hanno ritenuto non rispondente agli accertamenti svolti la tesi avanzata dagli attori proprio con riferimento alla carenza del requisito di costruzione di nuova opera.

Sul punto, è opportuno sottolineare che, infatti, il sottotetto era preesistente e che il permesso rilasciato dal Comune ha avuto ad oggetto una mera variazione di destinazione d’uso di detto manufatto, per l’esattezza in abitativo, all’uopo autorizzando un intervento di recupero e risanamento dello stesso, come accertato anche dalla CTU esperita.

Invero, non è risultata alcuna variazione né delle superfici, né delle volumetrie, ed ancora, neppure delle dimensioni della sagoma esterna.

Per tali ragioni, non essendo stata compiuta una nuova costruzione non poteva che essere respinta la domanda di riconoscimento al pagamento dell’indennità di cui all’ultimo comma dell’art. 1127 c.c. non trattandosi di sopraelevazione ma di ristrutturazione di una opera già esistente.

Atto amministrativo e riflessi sui rapporti tra privati

Posto il dettato normativo richiamato e la giusta esegesi alla vicenda che ci occupa, la cui esemplificazione è conveniente per meglio comprendere le motivazioni che hanno indotto i Giudici a respingere, nei due gradi di giudizio, le censure addotte dai condomini attori/appellanti, non appare secondario il rigetto dell’ulteriore motivo di appello relativamente alla richiesta di declaratoria di illegittimità dell’atto amministrativo (permesso di costruire) e conseguente sua disapplicazione per mancata manifestazione del consenso.

Sotto tale profilo, non possiamo ignorare l’indirizzo consolidato della Giurisprudenza di Legittimità, secondo cui «La rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati, regolati dalle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi speciali in materia edilizia, nonché dalle norme dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori generali locali.

Ne consegue che, ai fini della decisione delle controversie tra privati derivanti dalla esecuzione di opere edilizie, sono irrilevanti tanto l’esistenza della concessione (salva la ipotesi della c.d. licenza in deroga), quanto il fatto di avere costruito in conformità alla concessione, non escludendo tali circostanze, in sé, la violazione dei diritti dei terzi di cui al codice civile ed agli strumenti urbanistici locali, così come è, del pari, irrilevante la mancanza della licenza o della concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le disposizioni normative sopraindicate» (Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 29166 del 20/10/2021).

In conseguenza dei richiamati principi, non può trovare accoglimento la domanda di disapplicazione dell’atto amministrativo in quanto tale potere/facoltà del Giudice ordinario sussiste esclusivamente se siano accertati vizi nell’attività esercitata dalla autorità che l’ha emesso e non per fatto imputabile unicamente al destinatario dello stesso, come nell’ipotesi di carenza della prestazione dell’assenso degli altri condomini.

Nella valutazione dei fatti operata dalla Corte di Appello, i Giudici hanno, dunque, posto alla base della pronuncia una interpretazione retta della disciplina e dei principi vigenti in materia.

Pertanto, è corretto il ragionamento logico-giuridico con il quale è stato respinto anche l’appello.

Sentenza
Scarica App. Napoli 28 giugno 2022 n. 3040

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