Il credito (residuo) si perde se il ricorso per decreto ingiuntivo è sbagliato
Attenzione a cosa si scrive all’interno degli atti giudiziari: un mero errore, anche materiale, potrebbe costare molto caro. Tale conclusione si evince dalla sentenza resa dal Tribunale di Torino, n. 3598 del 16 settembre 2022, in merito a un credito nuovamente azionato a seguito di un primo decreto ingiuntivo.
Come si vedrà, l’attore lamentava un errore materiale commesso all’interno del ricorso monitorio: anziché l’importo corretto del credito, l’avvocato, per mera distrazione, riportava una somma decisamente minore.
Si incardinava quindi un nuovo giudizio per cercare di “recuperare” ciò che era sfuggito in sede di ricorso per ingiunzione. Il Tribunale di Torino, con la sentenza in commento, ha però stabilito che il credito residuo si perde se il ricorso per decreto ingiuntivo è sbagliato. Analizziamo la vicenda.
L’azione per recuperare il credito residuo
Nel caso di specie, un appaltatore agiva contro il condominio per ottenere il pagamento dei lavori di bonifica amianto realizzati all’interno dell’edificio. La domanda era volta a ottenere il residuo di un credito già azionato in sede monitoria ma solamente per una sua parte: a causa di un errore materiale, infatti, nel ricorso veniva chiesta la somma di 1.700 euro a fronte della fattura pari a circa 7mila euro.
L’appaltatore agiva quindi in giudizio per ottenere il residuo che, come detto, era “sfuggito” nel momento in cui si era fatto ricorso alla procedura monitoria.
La risposta del Tribunale di Torino è però sfavorevole all’attore. Vediamo quali sono le motivazioni.
Il credito è coperto dal giudicato
La domanda proposta dall’attore pone il problema della rilevanza dell’errore materiale commesso dal creditore sul credito dedotto in giudizio, relativo alla fattura che era già stata oggetto di decreto ingiuntivo, passato in giudicato per non essere stato opposto e azionato con il precetto, già pagato dal condominio.
Nel giudizio in oggetto, quindi, l’attore chiede il riconoscimento del credito residuo, cioè di quello sfuggito (probabilmente per una mera svista) all’interno del ricorso monitorio. In pratica, è stata azionata la stessa fattura, per la restante parte.
Ebbene, secondo il giudice torinese l’errore non può essere fatto valere: l’azione proposta è inammissibile per essere sceso sul credito vantato il giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c., secondo cui “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.
Ed infatti ogni credito ed ogni questione attinente alla fattura azionata, sia dedotta che deducibile, è ormai coperta dal giudicato. Il giudice del monitorio si è definitivamente pronunciato in merito al credito, espressamente definito come residuo dal creditore, di cui alla fattura in questione, accertando che questo ammontasse a un importo pari a 1.700 euro, così come (erroneamente) richiesto all’interno del ricorso.
Il giudicato sull’entità del credito impedisce quindi al giudice di effettuare un nuovo accertamento su tale diritto, e cioè di verificare che il credito ammontasse a circa 7mila euro anziché a 1.700, poiché tale accertamento sarebbe evidentemente in contrasto con il decreto ingiuntivo passato in giudicato.
Non si può quindi più indagare se il creditore sia caduto in errore nel richiedere un importo inferiore a quello asseritamente oggi preteso; tale errore avrebbe potuto/dovuto essere fatto valere piuttosto con una procedura di correzione dell’errore materiale del decreto ingiuntivo, prima del passaggio in giudicato dello stesso.
In alternativa, il creditore avrebbe potuto evitare di notificare il decreto emesso per un importo inferiore a quanto ritenuto dovuto, e chiedere un nuovo provvedimento monitorio, atteso il disposto dell’art. 644 c.p.c., secondo cui la domanda può sempre essere riproposta, anche quando il decreto sia diventato inefficace perché non notificato.
La domanda attorea è quindi inammissibile perché il credito è coperto dal giudicato, il quale copre il dedotto e il deducibile. Sul punto anche la giurisprudenza di legittimità è pacifica: “Il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia” (Cass., sent. n. 22520/2011).
Sentenza
Scarica Trib. Torino 16 settembre 2022 n. 3598