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Inerzia del condominio e legittimazione all’appello del singolo condomino

Non è ammesso l’appello del singolo condòmino avverso la sentenza emessa nei confronti del Condominio (nell’inerzia dell’Amministratore o nel rifiuto dell’Assemblea) qualora la controversia abbia per oggetto un interesse direttamente collettivo, cioè della compagine e non anche individuale di colui che propone appello.

Questo l’assunto cui giunge la Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza n. 228 del 16 settembre 2022, in linea con la giurisprudenza costante circa la legittimazione concorrente del condòmino con l’Amministratore ad attivare giudizi a difesa del Condominio.

Inerzia del condominio e legittimazione all’appello del singolo condomino: la pronuncia

Tizia citava in giudizio il proprio Condominio, impugnandone una delibera, ritenuta invalida per aver violato il disposto dell’art. 1123 c.c. in materia di riparto delle spese e dell’art. 66, 3° comma, disp. att. c.c. per omesso inserimento all’Ordine del Giorno di una questione suggerita e richiesta dalla medesima Tizia.

Il Tribunale di Campobasso accoglieva l’impugnazione ed annullava la delibera.

Caia, Sempronio e Mevia, condòmini, impugnavano la sentenza del Tribunale dinnanzi alla Corte d’Appello di Campobasso, che, come detto in apertura, dopo aver rilevato d’ufficio la questione della legittimazione attiva degli appellanti ed aver sollecitato il contraddittorio delle parti sul punto, dichiara improcedibile l’impugnazione per carenza di legittimazione attiva e condanna gli appellanti alle spese.

La legittimazione dell’Amministratore e dei singoli condòmini

Questione dirimente della pronuncia in esame, la possibilità per il singolo condòmino di impugnare una sentenza di condanna verso il Condominio quando l’Amministratore non vi abbia provveduto o l’Assemblea sia rimasta inerte o abbia rifiutato di impugnare.

Come noto, l’Amministratore ha una legittimazione passiva ‘estensiva’, essendo il centro di imputazione degli obblighi del Condominio quale ente di gestione, per cui, a mente dell’art. 1131 c.c., a lui vengono notificati tutti gli atti giudiziali e stragiudiziali (e financo i «provvedimenti dell’autorità amministrativa», giusta il 2° comma dell’art. 1131 c.c.) diretti nei confronti dell’ente che abbiano ad oggetto le parti comuni dell’edificio.

La legittimazione attiva invece, cioè la possibilità di promuovere sua sponte azioni giudiziali, è limitata dalla medesima norma alle sole attività a lui riservate dalla legge (art. 1130 c.c.), dal Regolamento o dall’Assemblea dei condòmini (ove più ampie, ma comunque nel rispetto delle norme imperative di cui agli artt. 1138 c.c. e 72 disp. att. c.c.).

Tant’è che, quando egli riceva la notifica di un atto o di un provvedimento esorbitante detti limiti, dovrà immediatamente informarne l’Assemblea affinchè adotti una decisione, pena la revoca ed il risarcimento del danno (art. 1131, 3° e 4° comma, c.c.).

Insegna attenta dottrina (TERZAGO) che la locuzione utilizzata dall’art. 1131, 2° comma, c.c., rimasto immutato anche dopo la Riforma del 2012 (Legge 11 dicembre 2012, n. 220, in vigore dal 18 giugno 2013), cioè «può essere convenuto» in luogo dell’indicativo “deve” starebbe a significare che il Legislatore non ha mai escluso una legittimazione concorrente del singolo condòmino rispetto a quella dell’Amministratore.

Nel 2013, poi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25454 del 13 novembre 2013, ebbero ad esprimersi in merito affermando che «l’azione a tutela di un diritto comune, come l’impugnativa di una sentenza di condanna emessa nei confronti dell’intero condominio, può essere esercitata anche da un singolo condòmino, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti dei condòmini non appellanti, né intervenienti in appello e senza che ciò determini il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di questi ultimi, dato che l’interesse per il quale il singolo agisce è comune a tutti i condòmini, dovendo in tal caso ravvisarsi nei rapporti fra i condòmini una forma di “rappresentanza reciproca”, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva nascente dal fatto che ogni compartecipe non può tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri».

Ma allora, nel caso di specie, perché la Corte d’Appello rifiuta l’idea che Caia, Sempronio e Mevia, quali semplici condòmini, potessero appellare la sentenza di I° in luogo e sostituzione del loro Amministratore?

La pronuncia a Sezioni Unite rende evidente il motivo, che risiede nell’interesse per cui si agisce in appello (o comunque, a prescindere dal grado processuale, a tutela del quale si agisce).

Già dagli anni 2000, la Corte di legittimità aveva iniziato a sottolineare che la legittimazione concorrente tra Amministratore e condòmini trovava un limite, lato singolo condòmino, nella tutela dell’interesse collettivo, con ciò intendendosi che il singolo condòmino può agire in luogo dell’Amministratore solamente laddove si tratti di tutelare anche un proprio interesse diretto unitamente a quello collettivo, mentre invece, quando la tutela si svolga verso un interesse collettivo e solo mediatamente individuale a funzionamento e finanziamento corretti dei servizi comuni, la legittimazione ad agire ed impugnare spetta solamente all’Amministratore (tra le tante, Cassaz. n. 4345 del 07.04.2000, Cassaz. n. 11882 del 7.08.2002).

Recentemente, con sentenza a Sezioni Unite n. 10934/2019, la Cassazione ha affermato che «l’appello rispetto ad una sentenza che riguardi anche gli interessi dei singoli condòmini può essere proposto anche da questi ultimi, indipendentemente dalle decisioni del Condominio», specificando che si ritengono di ‘interesse diretto del singolo’ «sia il pagamento delle spese legali di primo grado, nonché le questioni relative agli adeguamenti alla normativa comunitaria sul contingentamento energetico ed infine quelle relative alle manutenzioni straordinarie per la conservazione dell’integrità dell’edificio, trattandosi, per i singoli condòmini, di agire per la tutela dei diritti comuni e personali».

Così, con recente sentenza, la Corte d’Appello di Venezia ha ritenuto che il singolo condòmino non sia legittimato ad appellare una sentenza avente per oggetto l’impugnativa di delibera assembleare relativamente alla nullità della nomina dell’Amministratore, avendo tale oggetto incidenza direttamente sulla compagine e non sugli interessi del singolo condòmino (C. App. Venezia, sent. n. 3003 del 06 dicembre 2021).

La Corte d’Appello di Campobasso si trova sostanzialmente a discutere di una delibera, oggetto di impugnazione e quindi della sentenza gravata, che decise circa il riparto delle spese derivanti dalla parcella di un consulente tecnico cui il Condominio aveva affidato verifiche statiche dell’edificio, stabilendo che i condòmini pagassero in parti uguali anziché secondo la Tabella millesimale applicabile.

Citando pronunce di legittimità del 2021, la Corte ricorda come «ove non si tratti di azioni relative alla tutela o all’esercizio dei diritti reali su parti o servizi comuni, bensì di controversia in tema di ripartizione dei spese per le cose e per i servizi comuni, sussiste la legittimazione passiva esclusiva dell’Amministratore nella sua qualità e non dei singoli proprietari [omissis] appunto per la natura del deliberato in questione inteso a soddisfare esigenze collettive della comunità condominiale a non trattandosi di azioni relative alla tutela o all’esercizio dei diritti reali su parti o servizi comuni» (Cassaz. n. 35576/2021 e 2636/2021).

Pertanto, trattandosi di deliberato avente per oggetto la gestione di beni e servizi comuni e non i diritti sugli stessi, la Corte ritiene che non sussista il diritto dei tre condòmini appellanti ad impugnare la sentenza in luogo del proprio Amministratore.

In realtà, sommessamente riteniamo che sul concetto di interesse collettivo e solo mediatamente individuale e interesse diretto del condòmino le Sezioni Unite della Corte dovrebbero tornare, per specificare ulteriormente ad utilità degli addetti del settore quali casi siano da riguardare come ammissibili alla tutela del singolo e quali invece ne rimangano esclusi.

La responsabilità ‘contrattuale’ dell’Amministratore per le delibera annullate

Quando ci si trova dinnanzi all’annullamento di una delibera, come nel caso di specie, si tende sempre a ‘trovare il colpevole’: per questo riteniamo opportuno approfondire l’argomento, onde evitare di ingenerare contraddizioni nel lettore.

Come opportunamente ribadito e spiegato nella sentenza n. 29878 del 18 novembre 2019 della Corte di cassazione (Sez. II, Cons. rel. Scarpa),

«La sentenza di accertamento della invalidità di una deliberazione assembleare non riveste alcuna efficacia sostanziale di giudicato, ai sensi dell’articolo 2909 c.c., nel giudizio in cui sia dedotta la responsabilità contrattuale dell’amministratore di condominio per la causazione di quella invalidità, attesa l’ontologica differenza sia delle parti sia delle “causae petendi” – infatti, l’impugnazione della delibera avviene tra il condòmino ed il Condominio, l’azione di responsabilità riguarda invece il Condominio e l’amministratore».

Ci dice sostanzialmente la Corte che l’accertamento dell’invalidità della delibera, financo passato in giudicato, non esclude che il Giudice del merito – inteso come Giudice della causa promossa dal Condominio contro l’Amministratore per la sua responsabilità nel causare il vizio della delibera poi accertato – debba verificare il concorso di colpa del Condominio, ai sensi dell’art. 1227 c.c., 1° comma.

Rammentiamo infatti che, rispetto alle delibere assembleari, sussiste un concorso di responsabilità ed oneri tra Amministratore e Assemblea, nel senso che l’Amministratore convoca, ma, dal momento dell’apertura dell’Assemblea, la responsabilità passa alla medesima (nella persona del suo Presidente).

Nel caso esaminato dalla sentenza citata, si trattava di annullamento per mancata convocazione e l’estensore ci ricorda che «se è l’amministratore, di regola, a dover procedere alla convocazione dell’assemblea, l’art. 1136, 6° comma, c.c. nella formulazione ante riforma, applicabile al caso concreto, prevede che l’assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini (gli “aventi diritto”, dopo la riformulazione intervenuta con la L. n. 220 del 2012) sono stati invitati alla riunione (“sono stati regolarmente convocati” post 2012), integrando la preventiva convocazione un requisito essenziale per la validità di qualsiasi deliberazione.

È perciò compito dell’assemblea, e per essa del suo presidente, controllare la regolarità degli avvisi di convocazione e darne conto tramite verbalizzazione, sulla base dell’elenco degli aventi diritto a partecipare alla riunione eventualmente compilato dall’amministratore (elenco che può essere a sua volta allegato al verbale o inserito tra i documenti conservati nell’apposito registro), trattandosi di una delle prescrizioni di forma richieste dal procedimento collegiale».

L’azione che il Condominio promuove nei confronti dell’amministratore, ritenendo che costui, con la sua condotta, abbia causato il vizio della delibera che ha portato al suo annullamento in sede di impugnativa, è un’azione di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale rispetto all’obbligo dell’amministratore di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza imposta dall’art. 1710 c.c. e dall’articolo 1176 c.c., quindi il danno dovrà essere provato.

Nel caso esaminato dalla Corte di Campobasso, il riparto ‘errato’ delle spese ben poteva essere corretto, in sede assembleare, dai condòmini quivi riuniti: infatti, rendiconti e preventivi possono essere discussi e, si perdoni il gioco di parole, rimessi in discussione dall’Assemblea, in quanto il rendiconto è la narrazione di quanto fatto dall’Amministratore per gestire il patrimonio del suo mandante, mentre il preventivo è una mera proposta, così come i riparti delle spese, da cui discende che l’approvazione di un riparto errato è responsabilità dell’Assemblea dei condòmini.

Sentenza
Scarica App. Campobasso 16 settembre 2022 n. 228

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