La determinazione convenzionale del compenso dell’avvocato resta valida anche in caso di recesso del cliente.
“Il compenso maturato dall’avvocato in caso di mancato completamento dell’incarico stragiudiziale per recesso del cliente, dev’essere, in definitiva, determinato in relazione a quanto isolatamente previsto dalle singole voci delle tariffe ( o, in mancanza, sulla base della valutazione equitativa del giudice ai sensi dell’art. 2233 c. c.) per ciascuna delle prestazioni effettivamente svolte fino alla cessazione dell’incarico, autonomamente considerate, le quali, in effetti, costituiscono, al pari del lavoro preparatorio, l’opera prestata dal professionista”.
Questo il principio enunciato dalla Seconda Sezione Civile della Cassazione, con la sentenza n. 36071, depositata il 9 dicembre.
La Corte territoriale, nel 2016, aveva rigettato la domanda sollevata da tre appellanti avverso la sentenza di primo grado con cui era stato disposto il pagamento, nei confronti del legale di fiducia, di € 378.035,00 oltre interessi, accessori e spese, quale compenso maturato per le prestazioni professionali stragiudiziali da lui rese in esecuzione del contratto con il quale era stato incaricato di svolgere tutte le opportune attività di consulenza e di assistenza legale al fine di ottenere la liquidazione delle relative quote di partecipazione di una s.p.a. e di una s.r.l.
La Corte d’appello, nel confermare la decisione del Tribunale, aveva statuito che, in base alla tabella D del D. M. n. 127 del 2004, per le pratiche iniziate ma non giunte a compimento per cessazione dell’incarico, sono sempre dovuti gli onorari per l’opera prestata, comprensiva del lavoro preparatorio svolto dall’avvocato e che la percentuale applicata ai fini del compenso, è pari al 2,5% proporzionata al “valore delle pratiche”.
Le parti soccombenti proponevano ricorso per cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione di legge in relazione al richiamato D. M. n. 127/2004 e all’art. 4 del D. M. 23.12.1976 a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in particolare, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha applicato il criterio del calcolo delle competenze a percentuale previsto dalla tabella D del d.m. n. 127 cit., ritenendo congrua quella del 2,5% sul valore della pratica, senza tener conto che l’art. 4 dello stesso decreto, pur riconoscendo il diritto al compenso per l’attività preparatoria svolta dal professionista anche in ipotesi di cessazione dell’incarico prima che lo stesso sia portato a compimento, non ammette, però, l’applicazione, in tale ipotesi, della tariffa a percentuale, che presuppone il completamento dell’incarico professionale, dovendosi, piuttosto, prendere in considerazione soltanto l’attività effettivamente svolta dal professionista, così come specificamente indicata nella relativa parcella.
La Cassazione ha ritenuto questo primo motivo fondato, evidenziando che nel contratto di opera professionale, il cliente può recedere dal contratto pagando al prestatore le spese sostenute e il compenso per l’opera prestata ( art. 2237, comma primo, cod. civ.) e che il compenso è dovuto non per tutta l’opera commessa ma, sulla base dei criteri previsti dall’art. 2233 cod. civ., e cioè: solo per l’opera svolta ( Cass. Civ., n. 29745/2020; Cass. Civ., n. 6465/2022).
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui tra il cliente e l’avvocato sia intercorsa una valida determinazione convenzionale del compenso, la stessa rimane pur sempre valida anche nell’ipotesi di recesso del cliente e, pertanto, il compenso pattuito per l’intera opera dovrà essere ridotto in proporzione all’opera eseguita.
Tuttavia, qualora tra le parti non vi sia stata alcuna valida determinazione convenzionale del compenso ovvero quando la determinazione sia stata affidata al giudice ma facendo rinvio alle tariffe applicabili ratione temporis, la determinazione del compenso maturato dall’avvocato per le prestazioni rese in materia stragiudiziale fino all’anticipata cessazione dell’incarico, deve essere calcolata avendo riguardo solo ai criteri indicati dall’art. 1, comma secondo, del Capitolo III del D.M. n. 127/2004 che sono, in effetti, compatibili con il mancato espletamento di alcune delle prestazioni previste dal contratto d’opera professionale ovvero con la mancata realizzazione del risultato in vista del quale l’incarico era stato conferito, come la natura ed il valore della pratica, il numero e l’importanza delle questioni trattate, il pregio dell’opera prestata: dovendosi, per contro, escludere l’utilizzabilità dei criteri, come l’effettivo conseguimento del risultato o del vantaggio, anche non economico, che il cliente intendeva ottenere, che sono, di regola, compatibili solo con l’integrale espletamento di tutte le prestazioni previste nell’atto di conferimento dell’incarico (Cass. n. 16212 del 2008, in motiv., secondo cui “il risultato o il vantaggio sono elementi valutabili nella loro interezza in relazione al completamento della prestazione”), salva, beninteso, l’ipotesi del raggiungimento parziale di un risultato utilizzabile dal cliente, non essendo “normativamente esclusa una autonoma valutazione dei vantaggi che siano derivati al cliente da singoli atti o dal complesso di quelli comunque compiuti” (Cass. n. 16212 del 2008).
La Corte, dunque, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla Corte d’appello che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio.