Assegno di divorzio: la funzione perequativo-compensativa e l’obbligo di indagine del giudice
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11832 del 5 maggio 2023 torna ad occuparsi dei presupposti in presenza dei quali l’ex coniuge matura il diritto a beneficiare di un assegno di divorzio, in relazione alla sua funzione perequativo-compensativa.
Martedi 9 Maggio 2023 |
Il caso: Il tribunale di Imperia, con sentenza definitiva nel giudizio di cessazione effetti civili del matrimonio, revocava l’assegnazione a Caia della casa coniugale e poneva a carico dell’ex marito Tizio l’obbligo di versare un assegno divorzile dell’importo mensile di € 400,00.
La Corte d’Appello, adita da Tizio, respingeva il gravame rilevando che:
– sussistevano una disparità economica tra le parti (2.500,00 € mensili contro 1.250,00 € mensili) e diverse professionalità dei coniugi (lui funzionario poste, lei operatore socio sanitario), per cui appariva verosimile che Caia si fosse occupata per la durata dei vent’anni del matrimonio, nel tempo libero dal lavoro, della famiglia e dei figli e che in ragione dell’età e dello stato di salute -essendo invalida al 50%- non era verosimile che ella potesse migliorare la propria situazione economica;
– inoltre Tizio beneficiava dell’utilizzazione della casa coniugale rilasciata dalla moglie e della cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli mentre la ex moglie avrebbe dovuto corrispondere un canone di locazione.
Tizio ricorre in Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 6 L. 898/70 in tema di riconoscimento, determinazione e quantificazione dell’assegno di divorzio:
a) il giudice di merito ha ritenuto ricorrere il presupposto per il riconoscimento dell’assegno di divorzio, rinvenuto nella differenza economica tra le due parti, non facendo buon governo dei principi indicati dalle Sezioni Unite;
b) in particolare, la Corte distrettuale ha conferito una portata determinante alla differenza reddituale tra gli ex coniugi, senza porre detto squilibrio in relazione agli altri parametri di legge e, in particolare, alla ricorrenza del contributo fornito dalla donna alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale del coniuge, ossia alla circostanza che lo squilibrio sia dipendente da scelte fatte e condivise durante la vita matrimoniale con il sacrificio di proprie aspettative professionali,
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso, in merito all’assegno divorzile ribadisce quanto segue:
1) La Corte di merito, oltre a non valutare la finalità assistenziale, ha fatto cattivo uso dei criteri di accertamento della funzione perequativo- compensativa: pur consapevole che, al fine di ritenere sussistente detta componente la differenza di reddito e patrimonio delle parti rileva in quanto sia in relazione casuale con la scelta di dedicarsi alla famiglia, ha invertito i termini dell’accertamento, muovendo dal dato di fatto della disparità economica tra le parti e ritenendo che è la differente posizione economica a far ritenere “verosimile” che la donna si era dedicata alla famiglia;
2) sarebbe stato invece necessario accertare -ove la funzione assistenziale dell’assegno non fosse ritenuta di per sé sufficiente ed assorbente gli altri profili- sulla base di tutti i fatti rappresentati ed emersi nel corso del giudizio e non solo limitandosi alla qualificazione giuridica ad essi datane dalle parti, se emerge la circostanza che la donna nel corso del matrimonio, in esso compreso il periodo di separazione, si fosse dedicata alla famiglia ed ai figli ed in che misura, in ipotesi anche prevalente all’impegno profuso dall’altro coniuge, e se ciò aveva determinato una riduzione delle sue possibilità di guadagno;
3) infatti il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto in sé che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5 comma 6 L. 898/1970,essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali.