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Il Comune è responsabile per i rumori molesti oltre l’orario di chiusura del locale

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14209 del 23 maggio 2023 ha ammesso la responsabilità del Comune per le immissioni di rumore nell’abitazione di privati prodotte dagli avventori di alcuni esercizi commerciali ubicati nel quartiere oltre l’orario di chiusura.

Mercoledi 24 Maggio 2023

Il caso: Tizio e Mevia convenivano in giudizio il Comune deducendone la responsabilità per le immissioni di rumore nella propria abitazione, prodotte dagli avventori degli esercizi commerciali ubicati nella zona, i quali, nelle sere di fine settimana del periodo estivo, si trattenevano in strada recando disturbo alla quiete pubblica anche ben oltre l’orario di chiusura.

A tal fine, gli attori chiedevano che fosse accertata l’intollerabilità delle immissioni provenienti da detta strada comunale e che quindi, venisse condannato il Comune di ex cs, art. 844 c.c., alla cessazione immediata delle predette immissioni ovvero alla messa in opera delle necessarie misure per ricondurre alla normale tollerabilità le immissioni medesime.

Il Tribunale, accogliendo la domanda attorea, condannava il Comune “a far cessare le immissioni di rumore ovvero ad adottare le cautele idonee a riportare alla normale tollerabilità le immissioni medesime, predisponendo un servizio di vigilanza per tutte le sere dal giovedì alla domenica nei mesi di maggio ad ottobre, con impiego di agenti comunali che si adoperino entro la mezz’ora successiva alla scadenza dell’orario di chiusura degli esercizi commerciali, a far disperdere ed allontanare dalla strada comunale le persone che stazionano lungo la stessa”.

La Corte d’Appello adita dal Comune, in accogliemnto dell’appello, rigettava la domanda degli attori e osservava che:

a) per configurarsi una responsabilità omissiva del Comune non era sufficiente il richiamo all’art. 844 c.c., ma necessitava ancorare l’obbligo di intervenire a una disposizione di legge che imponesse il controllo sull’utilizzo della strada al fine di evitare schiamazzi notturni;

b) in ogni caso non sussisteva la giurisdizione del Giudice Ordinario a conoscere di cause simili, poiché non era ad esso giudice consentito di disporre l’effettuazione di un pubblico servizio, arrivando addirittura a dettarne le modalità esecutive, pena la violazione dei principi stessi sul riparto di giurisdizione previsti dall’art. 113 Cost. E dall’art. 4 L. 2248/1865 all.E

Tizio e Mevia ricorrono in Cassazione, che, nell’accogliere il ricorso, chiarisce quanto segue;

1) la tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale ma anche del diritto alla vita familiare convenzionalmente garantito dall’art. 8 CEDU e della stessa proprietà, che rimane diritto soggettivo pieno – sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento – cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., anzitutto nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi;

2) la P.A. stessa è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto, un’attività soggetta al principio del neminem laedere;

3) peraltro, la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dagli attori in conseguenza delle immissioni acustiche intollerabili, non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato.

Allegato:

Cassazione civile sentenza 14209 2023

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