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Superbonus truccati! Ecco come molti appaltatori hanno generato maggiori crediti attraverso la violazione della normativa IVA in edilizia.

Per mesi ci siamo occupati di crediti inesistenti e di crediti non spettanti anticipando i presupposti degli accertamenti tributari ormai alle porte ad opera dell’Amministrazione Finanziaria.

Frazionamenti elusivi, condominii minimi creati ad hoc per ottenere benefici fiscali altrimenti non ottenibili, oneri finanziari e margini del general contractor annegati nelle lavorazioni cedibili, condòmini morosi (nella contribuzione del fondo speciale ex art.1135 n.4 del Codice Civile) in capo ai quali si è generato un credito d’imposta illegittimo utilizzato per pagare il fornitore o per la monetizzazione diretta presso banche o altri enti equipollenti, opere e lavorazioni a servizio di interventi rientranti in bonus differenti (es. 110% e 50%) “caricate” tutte sul bonus maggiore come è avvenuto per approntamento cantiere, ponteggi, progettazione… e molto, molto altro ancora di cui ci siamo occupati e di cui ci occuperemo nelle prossime pubblicazioni.

Storie di ordinaria elusione fiscale” che hanno riempito la dialettica in assemblee dove il sogno ha preso il posto della ragione, dando cassa di risonanza a termini come “rischio zero” e “tutto gratis”.

Ne abbiamo parlato, non senza qualche polemica alzata dai sostenitori del “tutto gratis” che poi, messi alla “prova del contratto”, non hanno mai rinunciato ai diritti di rivalsa previsti dalla legge (ma derogabili su accordo delle parti) collocando il rischio (che esiste ed è elevato) tutto sul committente condominio o sul contribuente cedente.

La perdita del dono della ragione ha portato le assemblee (guidate da amministratori troppo spesso “disattenti”) a deliberare la sottoscrizione di contratti d’appalto con quadri economici basati sui massimi cedibili e senza “mandare in gara” le imprese.

Ma uno dei più gravi rischi si annida proprio nei quadri economici e riguarda la corretta applicazione del corretto regime IVA.

La norma di riferimento è il DPR 633/72 e tutte le sue successive modificazioni e integrazioni in materia di IVA agevolata in edilizia.

Ebbene sì, un tema non proprio attuale e rimasto nell’ombra delle aliquote inebrianti introdotte dal “Decreto Rilancio” del 2020.

Inebriati dalle “regalie del 110%” portate nelle assemblee da tecnici e imprese che proponevano “formule all inclusive” e favoriti dal naturale e lecito interesse dell’amministratore a tariffare compensi straordinari su basi imponibili mai viste prima (ogni considerazione sugli aumenti artificiosi dei prezzi in edilizia, spesso maldestramente mascherati da effetti covid e guerre nei paesi di provenienza delle materie prime, ritengo sia superflua), si è perso di vista il corretto trattamento del tributo che genera un importante indotto nelle casse erariali e al quale sono riservate le sanzioni in assoluto più elevate: l’IVA.

Ai sensi del Testo Unico IVA (DPR 633/72), l’aliquota in regime naturale è il 22%.

Nelle opere di recupero del patrimonio edilizio, al verificarsi di una serie di specifiche e tassative condizioni previste dalla legge, su parte dell’imponibile è possibile applicare l’aliquota ridotta del 10% e in taluni casi l’aliquota minima del 4%.

Quest’ultima aliquota, la minore in edilizia, è riservata agli interventi di superamento delle barriere architettoniche che comportano l’azzeramento degli ostacoli di accesso e utilizzo a beneficio del disabile e in conformità con la Legge 13/1989; in questi casi spesso le condotte illecite si manifestano nell’estendere, in una più ampia ristrutturazione, le opere con base imponibile 4% ad interventi di ristrutturazione di edilizia generale che avrebbero beneficiato del 10% o del 22% violando i concetti di reale fatturazione oggettiva (e quindi scivolando nella falsa fatturazione oggettiva per valore, intervenendo sull’aumento degli imponibili agevolabili, e falsa fatturazione oggettiva legata alla corretta descrizione delle opere eseguite, omettendo di indicare in fattura gli imponibili e quindi l’esecuzione di opere soggette ad aliquota superiore).

Il tema più delicato e diffuso è tuttavia legato alla fatturazione con aliquota 10%.

Per potervi accedere occorre verificare una serie di circostanze, fondamentali per non incorrere nel disconoscimento totale dell’IVA agevolata, ripresa fiscale della differenza fra 10% e 22% e applicazione dell’impianto sanzionatorio che, salvo i ravvedimenti operosi possibili, ha un peso compreso fra il 100% e il 270% oltre la restituzione della minor IVA versata.

Prima di addentrarci nelle verifiche da porre in atto per l’eventuale accesso all’aliquota IVA 10% e in quale misura rispetto all’imponibile totale, occorre sottolineare che l’IVA è un’imposta indiretta che colpisce i consumi e quindi è per legge a carico del consumatore finale.

Onere quindi rimane in capo al cliente e allorquando in sede di accertamento l’Amministrazione Finanziaria dovesse accertarla in regime di solidarietà sia su cliente che su fornitore (o addirittura solo al fornitore per favorire le “economie di accertamento”), quest’ultimo avrà sempre il diritto di rivalsa sul committente e quindi su condominio, che negli anni potrà anche aver mutato la propria compagine di proprietari (con ogni conseguenza di natura civilistica che ne deriverebbe nell’ambito nel trasferimento degli immobili per atto tra vivi o mortis causa).

Fatte queste doverose premesse, analizziamo quanto occorre verificare prima di poter determinare quale parte di imponibile potrà beneficiare dell’IVA agevolata del 10%.

Innanzitutto la dichiarazione dell’amministratore di condominio, documento essenziale in assenza del quale l’appaltatore non può applicare l’aliquota del 10% neppure in presenza oggettiva dei requisiti, che attesti la prevalente destinazione d’uso abitativa delle superfici accatastate.

Con riferimento a questo requisito corre l’obbligo di sottolineare che tutte le superfici accatastate devono essere considerate e quindi non solo le singole unità immobiliari private (escluse le superfici delle pertinenze non separatamente accatastate) ma anche lastrici solari condominiali, aree urbane, campi sportivi e altre categorie sia intestate ai singoli condòmini sia qualificate come parti comuni al catasto.

Questa precisazione potrebbe non essere ininfluente in quanto la prevalente destinazione d’uso abitativa potrebbe non raggiungersi a causa dell’accatastamento di porzioni di parti comuni.

Sempre con riferimento alla verifica delle prevalenti destinazioni d’uso abitative si rileva la difficoltà, evidentemente facilmente superabile, data dal fatto che l’accatastamento delle abitazioni avviene in vani e quindi occorre un calcolo specifico per determinare le superfici catastali che rappresentano l’unità di misura di riferimento.

Verificata la prevalente destinazione d’uso abitativa e ottenuta la dichiarazione di applicabilità di IVA agevolata al 10% da parte dell’amministratore (che ne comporta un aumento esponenziale delle responsabilità alla luce di quanto diremo a seguire), vi sono tre ulteriori “macro aspetti” da evidenziare nel computo metrico estimativo (CME) allegato al contratto e da rilevare dettagliatamente in fattura per ogni intervento specifico previsto e non in generale per l’intero appalto:

  • Prodotto da installare;
  • Materiale d’uso;
  • Manodopera specifica.

Ogni voce del CME deve essere suddivisa in queste tre sub voci; deve esserlo in quanto in assenza di questa suddivisione l’IVA applicabile è per legge il 22% anche se il caso di specie dovesse poter accedere al 10% di aliquota agevolata.

E al corretto dettaglio delle voci nel CME deve seguire una fatturazione analitica che riporti in descrizione, separatamente e per ogni singola lavorazione prevista dal CME, lo specifico lavoro effettuato, il bene installato e il materiale utilizzato per il completamento dell’opera.

Il bene infatti deve subire una ulteriore verifica, ed è per questo che deve essere evidenziato separatamente; occorre infatti verificare che lo stesso non rientri fra i “beni significativi” di cui al dedicato DM del dicembre 1999 che elenca i prodotti che, quando installati, non possono beneficiare “in automatico” dell’IVA agevolata 10% ma parte del loro imponibile potrebbe essere assoggettata a IVA 22%.

L’elenco di tali beni, si legge nella norma, deve intendersi tassativo; tuttavia nel tempo leggi di interpretazione autentica, circolari dell’Agenzia delle Entrate (si pensi alla 15E del 2018) e giurisprudenza hanno ampliato il novero di essi rendendo di fatto l’elenco meno “tassativo” di quanto testualmente la norma non preveda.

Nei contratti di riqualificazione edilizia spesso finanziati da bonus fiscali è comune che sia prevista l’installazione di molti di questi “beni significativi” quali infissi e serramenti, ascensori e montacarichi, caldaie e impianti termici, condizionatori e pompe di calore e molto altro ancora.

Ogni volta che un CME prevede l’installazione di un “bene significativo”, il costo del materiale accessorio segue il bene stesso prevalendo la fiscalità del bene significativo.

Ferma restando la verifica prodromica dei requisiti generali per l’applicazione dell’IVA agevolata, in presenza di “beni significativi” l’IVA al 10% potrà essere applicata interamente solo sulla manodopera, e sul materiale limitatamente ad un importo pari al massimo a quello della manodopera.

Se un ascensore che non può beneficiare dell’IVA al 4% può rientrare nel 10%, quindi, dato 100.000 euro il costo complessivo di cui 85.000 euro di bene significativo e 15.000 euro di manodopera, l’IVA agevolata potrà essere applicata su 15.000 euro di manodopera, su ulteriori 15.000 euro di bene significativo e i restanti 70.000 euro di bene significativo dovranno essere soggetti a IVA 22%.

Lo stesso vale per 5.000 euro di serramento: se il bene significativo è 4.000 euro e la manodopera è 1.000 euro, l’IVA agevolata al 10% potrà essere applicata su 1.000 euro di manodopera e su 1.000 euro di bene significativo, mentre i restanti 3.000 euro di bene significativo dovranno essere assoggettati a IVA 22%.

Per caldaie, condizionatori e altri beni significativi che tipicamente troviamo negli ecobonus, nei superbonus e nei lavori straordinari condominiali in generale la regola da seguire è quella rappresentata negli esempi che precedono.

E ora vi sveliamo due comuni trucchetti di molti appaltatori che amo definire i “furbetti del tutto gratis”.

Il primo è il seguente: tenendo alto il valore della manodopera e riducendo al minimo il valore del bene significativo, nel CME si portano i due valori a coincidere ottenendo una indebita agevolazione IVA consentendo di rendere tutto imponibile al 10%. Tuttavia questa condotta non può semplicisticamente essere ricondotta alla libera negoziabilità tra le parti in quanto si tratterebbe di “abuso del diritto” finalizzato all'”elusione fiscale”.

Il secondo è il seguente: non suddividere materiale e manodopera inserendo nel CME la dicitura “fornitura e posa”, non consentendo quindi di porre in evidenza il valore del bene significativo della singola lavorazione, del materiale d’uso impiegato e della manodopera, indispensabili per determinare le corrette basi imponibili ed esponendo il committente a una ripresa IVA sul totale importo dal 10% al 22%.

Gli accertamenti IVA peraltro hanno termini ridotti rispetto agli accertamenti sui crediti d’imposta. Se un credito d’imposta a 10 anni tiene sulle spine il contribuente per 18 anni, uno a 4 anni espone ad un accertamento nei prossimi 12 anni, l’accertamento IVA potrà essere posto in atto dall’Amministrazione Finanziaria fra i 6 e gli 8 anni. L’accertamento IVA è paradossalmente semplice per l’Agenzia delle Entrate, dal quale potrà scaturire in largo anticipo sui maggiori termini di accertamento la verifica sui crediti d’imposta inesistenti o non spettanti, ricordando che, anche alla luce della legge di conversione del D.L. 11/2023, ovvero la Legge 38/2023, è oltremodo palese che il “visto di conformità” tuteli il cessionario e non certo il cedente.

L’elusione fiscale che andrebbe a costituirsi sarebbe duplice: applicazione dell’IVA al 10% anziché al 22% con conseguente base imponibile maggiore che consente di saturare i plafond massimi cedibili dei crediti d’imposta generando circa un 12% di maggior aggio economico per l’appaltatore esponendo al comportamento illecito il contribuente e quindi al rischio di accertamento con richiesta di versamento del differenziale IVA (12% oltre interessi e sanzioni) e riduzione dei crediti d’imposta ceduti (sempre circa del 12% oltre a interessi e sanzioni).

Un simile “giochetto”, diffuso nei CME allegati ai contratti di riqualificazione edilizia con ricorso ai bonus fiscali, con una fatturazione per macro voci e non dettagliata per singola lavorazione, espone i committenti alla ripresa IVA e al disconoscimento del maggior credito d’imposta conseguentemente dovuto, lasciando sostanzialmente immuni da responsabilità (o quasi), se non in via di regresso, gli appaltatori a totale danno di ignari committenti.

Il ruolo degli amministratori, in questo scenario, è fondamentale e la loro responsabilità soggettiva è certamente acuita: l’amministratore infatti oltre a sottoscrivere la dichiarazione iniziale prodromica all’intero iter di ottenimento dell’IVA agevolata, sottoscrive i contratti d’appalto ritenendo validi i CME inidonei alla determinazione delle corrette basi imponibili ai fini dell’agevolazione IVA, riceve le fatture elettroniche che dovrebbe verificare e se inidonee respingere, effettua i pagamenti in via diretta o tramite gli adempimenti formali volti propedeutici allo sconto in fattura.

Il Centro Studi ICAF ha evidenziato questa grave anomalia e ICAF TV da lunedì 29.05.2023 per 6 lunedì ha previsto un ciclo di puntate dedicate al tema, con approfondimenti specifici e casi pratici (Youtube: ICAF TV oppure www.istitutoicaf.it).


Ivan Giordano
Giurista d’impresa con laurea presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi.
Tributarista esperto in fiscalità immobiliare, condominiale e societaria.
Esperto contabile iscritto presso la CCIAA – Milano.
Direttore scientifico di ICAF – Istituto di Conciliazione e Alta Formazione.
Giornalista iscritto presso l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, editore e direttore di ICAF TV.
Responsabile Scientifico del Registro Italiano Revisori Condominiali e Immobiliari
Autore di numerose pubblicazioni sui temi della contabilità condominiale e della revisione condominiale.
Tel. 02.67.07.18.77
consulenze@istitutoicaf.it
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