Appalto dei lavori a ditte “amiche”? Ma di chi?
Il condominio è un ginepraio di affari; forse un po’ asfittico, magari di piccoli affari, ma sicuramente un’entità in grado di generare profitti. Non si spiegherebbe altrimenti l’interesse verso di esso.
Tra le occasioni di maggior guadagno, senza dubbio, vi sono i lavori di manutenzione delle parti comuni; l’appalto delle opere è una procedura complessa ed articolata in più fasi. Lo scopo è scegliere il miglior appaltatore sia in termini economici, ossia miglior rapporto qualità/prezzo, sia in termini professionali, cioè l’impresa con la maggiore esperienza nel settore per quello specifico lavoro.
L’equilibrio tra le due istanze non è facile da raggiungere, specie se si considera l’atavica tendenza del condòmino meno a voler risparmiare sulle spese condominiali. Cionondimeno, pur superata la questione costo, v’è quella della migliore impresa.
È qui arriva il secondo scoglio, l’impresa “amica”. Attenzione, qui non parliamo del famigerato “mio cugino“, capostipite della categoria ontologica dei tuttofare ineffabili, che viene escluso una volta compresa la necessità di metter mano al portafoglio. L’impresa “amica” è l’impresa proposta da qualcuno, sia esso un condòmino, un conduttore, o l’amministratore e presentata come miglior scelta.
Inutile girarci troppo attorno: senza dare percentuali non verificate e verificabili, quando qualcuno presenta un’impresa, si può correre il rischio che tale promozione non sia frutto della spassionata volontà di trovare il miglior appaltatore, ma della meno nobile opportunità di averne un tornaconto economico.
Per i condòmini, questa convenienza si manifesta con un forte sconto o abbuono della quota, con una sorta di payback, dai dubbi profili di legittimità anche fiscale (se il pagamento è restituito, per quale spesa viene fruita l’agevolazione?).
Per gli amministratori, invece, l’utile è rappresentato in una percentuale sul costo complessivo delle opere. In entrambi i casi è molto difficile poter dimostrare l’accordo occulto.
Pur non essendoci alcuna naturale consequenzialità tra questo genere di patti e la cattiva esecuzione delle opere, il rischio è alto (se l’impresa vorrà mantenere il proprio profitto, quindi su qualcosa dovrà risparmiare…) o quanto meno la spesa sarà maggiorata in proporzione del benefit previsto per “l’amico”.
Data questa situazione è quindi opportuno comprendere che cosa si può fare per indagare “il livello di amicizia“, provvedendo se del caso a far dichiarare alle imprese, al momento del deposito delle offerte, la natura dei rapporti con i condòmini o l’amministratore ed a questi, se portatori dell’offerta, il relativo interesse.
Appalto condominiale, per l’assegnazione non esiste una procedura di legge
Sebbene in molti siano portati ad operare un parallelo tra disciplina di gara degli appalti pubblici e appalti condominiali, tale parallelismo è privo di fondamento normativo; l’appalto condominiale può essere assegnato anche in presenza di una sola offerta, presentata senza formalità (cioè anche su semplice foglio non chiuso in busta).
Diffidate da chi conclude diversamente: per quanto opportunità, trasparenza ed imparzialità portino a concludere in questo modo, non esiste una norma, nemmeno la clausola generale della buona fede, che possa imporre un comportamento del genere.
In considerazione di ciò è allora opportuno provvedere, in sede di deliberazione preliminare dei lavori (con quella che è chiamata solitamente delibera programmatica) gli step anche procedurali, per l’assegnazione delle opere, indicando ad esempio, eventuale termine di presentazione delle offerte, modalità di consegna, criteri di selezione (es. esclusione delle offerte più bassa ed alta).
Appalto e dichiarazione d’indifferenza
Le ragioni esposte in precedenza fanno sì che l’imparzialità della scelta non riguardi solamente le modalità di presentazione delle offerte, cioè la predisposizione di regole finalizzate a evitare scorrettezze tra concorrenti, ma, appunto, anche i rapporti tra i potenziali appaltatori e le controparti interessate: queste vanno individuate nei condòmini, nell’amministratore e nei conduttori. Si tratta dei soggetti riconducibili latu sensu nell’ambito della nozione (ampliata) di committente.
All’uopo, pertanto, è bene che sia consegnata all’impresa presentatrice dell’offerta un documento, che nominiamo dichiarazione d’indifferenza, nella quale il partecipante alla gara o anche l’unico prescelto o non si dia luogo a gara, dichiari di non avere alcun rapporto con l’amministratore o i condòmini, ovvero se ha rapporti di che genere.
L’impresa non può essere obbligata a firmare questa dichiarazione, ma sicuramente la medesima può essere posta quale condizione per la valutazione dell’offerta, o quanto meno la sua essenza elemento negativo per la scelta.
Ricordiamo, infatti, che salvo il caso comportamento non corretto in fase di trattative, l’impresa non può sindacare le scelte del condominio.
Medesima dichiarazione è opportuno che sia siglata da tutti i condòmini o almeno dai condòmini che presentano la proposta di un’impresa, in tal caso specificando i rapporti pregressi. È consigliabile chiedere all’amministratore di sottoscrivere sempre tale dichiarazione, anzi sarebbe auspicabile che fosse lo stesso mandatario a presentarla di sua spontanea iniziativa.
Attenzione, quello che si deve chiedere presentando la dichiarazione da sottoscrivere, non è una valutazione sull’operato dell’impresa, ma se con essa ci sono stati o sono in corso rapporti commerciali, di amicizia o di parentela con il titolare o i soci.
Dichiarazione d’indifferenza falsa, quali conseguenze?
Pare improbabile che una dichiarazione possa essere falsa, per millanteria, cioè per aver dichiarato conoscenza quando non c’era. Può accadere, ma si tratterebbe del classico caso di scuola nel quale forse difetterebbe un danno per chicchessia.
Considerando il contenuto della dichiarazione in esame, che senso avrebbe affermare che si conosce l’impresa per averci lavorato per anni, se non è vero? Machiavellicamente si potrebbe ipotizzare che potrebbe essere un modo per escluderla dalle papabili, ma l’impresa, se venuta a conoscenza della circostanza, rimarrebbe silente?
Più facile che si ometta di dichiarare circostanze che possono essere utile per comprendere i rapporti tra le parti. L’amministratore che dall’impresa “amica” si vede promessa una percentuale, ovvero il condòmino che ottiene l’assicurazione della restituzione della sua quota, hanno interesse a dichiarare questa circostanza? La risposta è intuibile.
La presenza della dichiarazione falsa può portare a configurare il reato di truffa, perché il mendacio può configurare un raggiro finalizzato ad arrecare danno. Chiaramente starà a chi lo lamenta, e in sede penale alla pubblica accusa, provare che dalla dichiarazione falsa sia derivato un danno (es. maggior costo dei lavori): circostanza questa obiettivamente non sempre di facile dimostrazione.
Resta ferma la possibilità di agire sede civile, senza l’azione penale, laddove si sia in grado di dimostrare l’esistenza di un danno derivante dalla dichiarazione non veritiera. Il mendacio dell’amministratore, infine, può assumere rilevanza anche ai fini della revoca giudiziale, potendo assumere il medesimo i profili della grave irregolarità nella gestione; circostanza questa che deve essere valutata caso per caso sulla scorta delle specifiche risultanze.