Natura delle somme elargite in vita dalla madre alla figlia convivente.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18814 del 4 luglio 2023 si,pronuncia in merito alla natura delle elargiazioni in denaro effettuate dalla madre alla figlia convivente nell’arco di oltre vent’anni.
Mercoledi 12 Luglio 2023 |
Il caso: Il Tribunale di Teramo, accogliendo la domanda di Tizio e Mevia, accertava la lesione della quota di legittima spettante agli attori in ordine all’eredità della madre per effetto delle donazioni fatte in vita dalla de cuius alla figlia Lucilla, con lei convivente dal febbraio 1981 sino alla morte della madre nel 2005; la convenuta veniva perciò condannata a pagare ai fratelli la somma di € 24.343,64.
La Corte d’Appello respingeva l’appello proposto da Lucilla, rilevando che:
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la madre spendeva per il suo mantenimento e la cura della sua persona il 60% dei redditi percepiti, risparmiando il residuo 40%: questa percentuale di risparmio portava ad un capitale di € 114.659,40, soldi “che devono ritenersi incassati” dalla figlia Lucilla;
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esclusa la riconducibilità della complessiva somma di € 114.659,40 a donazione remuneratoria o ad obbligazione naturale, era da considerare che la stessa avesse dato luogo ad un “complesso di donazioni lesive della quota di riserva”.
Lucilla propone ricorso per Cassazione, censurando la sentenza impugnata sotto due profili:
1) per avere ritenuto donazione di denaro meritevole di collazione l’apporto che la defunta madre avrebbe conferito alla figlia convivente, ingiustamente considerando lesivo un importo ridotto e diluito nel tempo (24 anni) di 400 euro mensili; e ciò attraverso l’utilizzazione di presunzioni relative alla buona salute della de cuius, alla sobrietà delle condizioni di vita della medesima, e quindi alle ridotte esigenze di vita che le avrebbero consentito di vivere con il 60% di quanto incassato, presumendo che il residuo 40% sia stato donato alla figlia convivente;
2) per avere omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio, relativo alla convivenza fra la de cuius e la ricorrente, tale da impedire ontologicamente la configurabilità di una donazione, atteso che gli apporti dei conviventi, lungi dal costituire donazioni, si concretano in conferimenti vicendevoli.
Per la Suprema Corte le censure sono fondate; sul punto evidenzia quanto segue:
a) il presupposto dell’obbligo di collazione è, dunque, che il coerede ad esso tenuto abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal “de cuius”, direttamente o indirettamente tramite esborsi effettuati da quest’ultimo;
b) non sono soggette, peraltro, a collazione né alla riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente (nella specie, si assume, fatte dalla madre, morta a 98 anni, in favore della figlia con lei unica convivente nel corso di ventiquattro anni), ove non sia accertato che le stesse fossero state poste in essere per spirito di liberalità, e cioè con la consapevole determinazione dell’arricchimento del beneficiario, e non invece per adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza;
c) pertanto, i giudici del merito avrebbero dovuto accertare l’esclusivo spirito di liberalità che avesse assistito ogni dazione di denaro dalla madre alla figlia convivente
Da ciò discende il seguente principio di diritto: “al fine di ravvisare presuntivamente la sussistenza di plurime donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all’obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, tratte dalla differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa, occorre considerare altresì in che misura tali elargizioni potessero essere giustificate dall’adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare che ogni dazione fosse stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità”.