Compenso avvocati: transazione e presupposti per il principio di solidarietà
Con l’ordinanza n. 1283/2024, pubblicata il 12 gennaio 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata sui presupposti affinchè l’avvocato che abbia assistito un cliente nell’ambito di una controversia può invocare l’applicazione della solidarietà prevista dalla legge professionale per il pagamento dei compensi maturati per l’attività difensiva svolta.
Martedi 16 Gennaio 2024 |
IL CASO: La questione esaminata origina dal giudizio promosso da due legali nei confronti di due loro clienti per il pagamento dei compensi professionali maturati nell’ambito di un giudizio svoltosi innanzi alla Corte di Appello, avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza che aveva dichiarato la risoluzione di un preliminare di vendita immobiliare e ordinato il rilascio del bene al promissario acquirente.
Il giudizio di secondo grado veniva interrotto a seguito del decesso dell’usufruttuario e poi dichiarato estinto per la mancata riassunzione.
Successivamente i nipoti dell’usufruttuario, divenuti proprietari per eredità, sottoscrivevano con la figlia del promissario acquirente un contratto di permuta dell’immobile oggetto del contendere, ottenendo il trasferimento di altro immobile dietro versamento di una somma di denaro a titolo di conguaglio.
La domanda dei legali veniva rigettata dalla Corte di Appello la quale osservava che nell’atto di transazione, concluso tra i nipoti dell’usufruttuario e la figlia del promissario acquirente, non erano state menzionate né il processo interrotto né le questioni dibattute in causa. Inoltre, evidenziavano i giudici distrettuali, la transazione non era stata stipulata da tutti gli eredi e la stessa non era volta a porre fine alla lite e ad eludere le aspettative dei difensori.
Questi ultimi, ritenendo errata la decisione della Corte di Appello, proponevano ricorso per cassazione deducendo, con un unico motivo, la violazione degli artt. 68 R.D.L. 1578/1933, 116 c.p.c. e 979 c.c., per avere i giudici di merito rigettato la domanda, trascurando che il regime di solidarietà previsto dalla legge professionale si applica ad ogni ipotesi di accordo che ponga termine alla lite e che, nel caso specifico, la mancata riassunzione del giudizio di appello era stata conseguenza della successiva permuta con cui i resistenti avevano ceduto l’immobile controverso.
LA DECISIONE: Il motivo del ricorso è stato ritenuto infondato dai giudici della Suprema Corte i quali, dopo aver ricordato che l’articolo 13, ottavo comma della legge n. 247/2012, al pari della corrispondente previsione dell’articolo 68 L.P., dispone che quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della solidarietà, hanno osservato che:
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scopo della predetta disposizione è quello di garantire l’aspettativa del difensore a vedersi soddisfatto sulle spese di soccombenza;
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la ratio della disciplina consiste nell’evitare che le parti processuali si sottraggano al pagamento, ricorrendo alla transazione, finalità che verrebbe elusa se detta solidarietà potesse essere posta nel nulla su semplice accordo delle parti in causa, senza l’adesione dei difensori;
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la possibilità riconosciuta al difensore di invocare la speciale solidarietà prevista dalla legge professionale richiede, pertanto, la sussistenza di un giudizio che sia stato bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista e che – proprio per effetto dell’accordo transattivo – al giudice sia stato sottratto il potere di pronunciare sugli oneri del processo;
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questa circostanza si verifica anche quando le parti abbiano previsto l’abbandono della causa dal ruolo o rinunciato agli atti del giudizio, con conseguente estinzione del processo, sempre che i difensori non abbiano rinunciato alla solidarietà passiva delle parti. In quest’ultimo caso soggetto obbligato nei confronti del difensore continua ad essere solo il cliente ovvero, intervenendo nella transazione, non abbiano liberato il cliente dalla relativa obbligazione ed accettato che nei loro confronti, a tale titolo, resti tenuta solo l’altra parte a carico della quale la transazione medesima abbia definitivamente posto le spese giudiziali nel loro complesso;
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la norma, introducendo una deroga alla regola generale secondo cui il difensore può rivolgersi esclusivamente al cliente per il pagamento dei compensi, ha natura di norma singolare e va interpretata restrittivamente:
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di conseguenza l’obbligo solidale per il pagamento degli onorari e per il rimborso delle spese che il difensore può far valere nei confronti della parte avversa al proprio cliente sussiste solo se la transazione sia stipulata dal cliente stesso e abbia comportato la definizione del giudizio in cui esso è coinvolto, come può desumersi dal riferimento testuale, contenuto sia nell’art. 68 L.P. che nell’art. 13 della L. 247/2012, alla qualità di “creditori” dei professionisti, ovviamente verso i rispettivi clienti, e dalla “ratio” della disposizione, ravvisabile nell’intento di evitare che il cliente possa eludere le legittime aspettative di compenso del suo difensore mediante accordi con la controparte che pongano fine alla controversia.
Nel caso oggetto della controversia decisa, hanno concluso gli Ermellini, manca l’indispensabile presupposto applicativo del regime di solidarietà costituito dalla conclusione dell’accordo con il consenso della parte patrocinata che non ha partecipato all’accordo transattivo.