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Sinistri stradali e danno patrimoniale: le voci da risarcire

A cura della Redazione.

Il caso: Caio conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, le società Delta. S.r.l. e la compagnia di assicurazioni per sentirle condannare al risarcimento del danno patrimoniale da perdita di capacita lavorativa dallo stesso patito a seguito del sinistro stradale in cui era stato coinvolto a causa della condotta illecita tenuta dal conducente di un autocarro di proprietà della società Delta; in particolare l’attore deduceva che le conseguenze derivanti dal sinistro erano state tali da determinare un demansionamento: dal ruolo di macchinista, era stato immesso nelle funzioni di impiegato tecnico-amministrativo con conseguente rideterminazione, in peius, del relativo trattamento salariale.

Conseguentemente l’attore quantificava il  danno patrimoniale derivante dalla perdita di capacita lavorativa specifica nella somma di euro 552.244,22, poi successivamente rideterminata in €   693.377,86,

Il Tribunale, in parziale accoglimento delle pretese attoree:

– condannava le parti convenute, in solido tra loro, alla corresponsione in favore di Caio della somma complessiva pari ad euro 664.078,97, comprensiva del danno da lucro cessante, passato e futuro, e del danno emergente derivante dalle spese processuali sostenute;

– respingeva la domanda di risarcimento da perdita di chance, ritenendo non raggiunta la prova in giudizio, e la domanda di risarcimento del danno futuro per riduzione dell’assegno pensionistico, in quanto domanda nuova.

La Compagnia di assicurazione proponeva appello, deducendo la erroneità della base di calcolo (valore medio mensile della perdita di retribuzione patita dal danneggiato) presa in considerazione dal Tribunale ai fini della quantificazione del danno emergente, sia passato che futuro.

In particolare, l’appellante sosteneva che tale base di calcolo – quantomeno a partire dalla data di verificazione del sinistro ovvero dalla data in cui Caio aveva subito il demansionamento – avrebbe dovuto essere comprensiva solo della parte fissa del salario (costituita dal minimo contrattuale, dagli aumenti periodici di anzianità, del salario professionale, dell’elemento distinto di retribuzione), non anche di quelle componenti accessorie che, avendo natura e funzione indennitarie e cioè compensativa della “maggiore penosità e gravosità del lavoro da svolgere“, possono essere corrisposte solo in caso di effettivo svolgimento delle relative prestazioni (lavoro notturno, lavoro straordinario, allontanamento dalla residenza, etc.).

La Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame, condannava Caio. a restituire alla Compagnia la somma di euro 288.707,10, ponendo invece a carico di quest’ultima le spese di lite, che liquidava in favore dell’appellato.

Caio ricorre in Cassazione, deducendo che:

a) la Corte territoriale ha errato nell’escludere dalla quantificazione del danno futuro patito dal ricorrente le “componenti accessorie della retribuzione di macchinista” sulla base della erronea premessa per cui tali componenti, avendo natura indennitarià, sarebbero legate allo svolgimento effettivo delle ulteriori prestazioni lavorative;

b) escludendo tali “componenti” dalla quantificazione del danno, però, la Corte avrebbe non soltanto violato il principio generale di integralità del risarcimento del danno, facendo cosi gravare sulla vittima dell’illecito le conseguenze pregiudizievoli arrecate dal suo autore, ma avrebbe altresì violato le disposizioni di legge che disciplinano l’inquadramento retributivo della figura del macchinista;

c) tali componenti in realtà – di cui la Corte ha sostenuto erroneamente la natura accessoria e la funzione meramente indennitarià – farebbero parte del “trattamento economico normale” della figura professionale del macchinista e, come tali, rientranti nel mancato guadagno che il ricorrente, a causa dell’illecito altrui, ha patito.

Per la Cassazione le censure sono fondate: sul punto ricorda che:

1)  il principio (essenziale nel sistema della responsabilità civile) di integralità del risarcimento, enucleabile dall’art. 1223 c.c. e applicabile in ambito extracontrattuale mediante il rinvio contenuto nell’art. 2056 c.c., impone di ristorare la parte danneggiata da tutte le conseguenze pregiudizievoli ad essa derivanti dall’illecito, indipendentemente dal fatto che tali conseguenze si siano verificate immediatamente ovvero spiegheranno la loro forza lesiva, con certezza (processuale), in futuro;

2)  il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacita lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione

3) nel caso di specie, la Corte territoriale, al fine di pervenire al risarcimento integrale del danno patito da Caio, avrebbe dovuto tenere conto delle specifiche mansioni di inquadramento professionale del macchinista e scindere le componenti accessorie della retribuzione (fissa) correlate a prestazioni soltanto occasionali e derogatorie rispetto all’ordinario svolgimento di quelle mansioni, dalle componenti accessorie della retribuzione (fissa) che, invece, essendo intimamente connaturate a quella particolare prestazione lavorativa, non sono da essa scorporabili.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 1607 2024

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