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Atto di appello notificato alla PEC del legale non risultante dal Reginde: conseguenze

A cura della Redazione.

Con l’ordinanza n. 10677/2024 la Corte di Cassazione torina ad occuparsi delle conseguenze derivanti dalla notifica di un atto di appello ad un indirizzo PEC dell’avvocato di controparte non risultante dal registro Reginde.

Giovedi 2 Maggio 2024

Il caso: Tizio chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Verona decreto ingiuntivo per il pagamento della terza rata (per l’importo di euro 18.000,00) del corrispettivo previsto dal patto di non concorrenza stipulato con la società Delta.

Il Tribunale accoglieva l’opposizione proposta dalla società e revocava il decreto ingiuntivo, assumendo che Tizio avesse violato il patto e, quindi, il credito da lui vantato era inesistente

La Corte d’appello accoglieva il gravame di Tizio e, in riforma della decisione di primo grado, rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo.

La società Delta, rimasta contumace in appello, ricorre in Cassazione, eccependo preliminarmente la nullità del procedimento d’appello e della sentenza a causa dell’omessa notifica del ricorso d’appello e del decreto di fissazione di udienza in violazione del contraddittorio.

In particolare la società ricorrente assume che:

a) la notifica avveniva in data 11/11/2016 agli indirizzi PEC degli avvocati della società Delta;

b) il difensore dell’appellante attestava di avere tratto dal pubblico elenco INIPEC;

c) per la soc. ricorrente tale attestazione non è conforme al vero, atteso che in quell’elenco (così come nell’elenco REGINDE) gli esatti indirizzi PEC erano rispettivamente altri, mentre quelli utilizzati dall’appellante per la notifica erano risalenti ad anni prima e “non più monitorati”;

d) pertanto la predetta notifica doveva considerarsi inesistente e quindi l’appello andava dichiarato improcedibile.

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, precisa che sussiste il denunziato vizio notificatorio, ma le conseguenze non sono quelle assunte dalla ricorrente: sul punto osserva che:

a) a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato, ai sensi dell’art. 6 bis, co. 2 bis e 5, d.lgs. n. 82/2005, ha l’obbligo di indicare e ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la notificazione dell’atto di appello va eseguita all’indirizzo PEC del difensore costituito in primo grado risultante dal ReGIndE (nel quale quell’indirizzo risulta inserito dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza), anche se non indicato negli atti dal difensore medesimo;

b) nel caso di specie si è al cospetto di una nullità della notifica, in quanto inviata ad un indirizzo PEC diverso da quello risultante dal REGINDE quale domicilio digitale degli avvocati destinatari, costituiti per la società nel giudizio di primo grado; né tale vizio può dirsi sanato dal raggiungimento dello scopo, visto che nel giudizio di appello la società non si è costituita;

c) però la tesi della ricorrente, secondo cui si tratterebbe di un’inesistenza giuridica della notifica e quindi non sanabile, non può essere condivisa: gli indirizzi PEC ai quali il ricorso d’appello e il decreto presidenziale di fissazione dell’udienza erano stati telematicamente inviati hanno un preciso collegamento con gli avvocati destinatari: questi non hanno negato né contestato di essere titolari di quegli indirizzi, ma si sono limitati solo a dedurre che erano in disuso o comunque “non monitorati”;

d) questo collegamento consente allora di ritenere esistente la notifica dal punto di vista giuridico, perché l’inesistenza della notificazione è configurabile – in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo – oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità;

e) pertanto la Corte territoriale avrebbe dovuto ordinarne la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c. L’omesso esercizio di questo potere-dovere ha determinato la nullità dell’intero giudizio d’appello per violazione del contraddittorio e, di conseguenza, anche della sentenza con cui è stato definito ed impone la cassazione con rinvio di quest’ultima ex articolo 383 c.p.c. affinché la controversia sia decisa nel merito.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 10677 2024

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