Cassazione: svolta epocale sull’assegno divorzile e le rinunce professionali.
Avv. Antonio Scardino.
La Corte di Cassazione, con la recentissima ordinanza n. 18506/2024 dell’8 luglio 2024, ha sancito un principio di fondamentale importanza nel panorama del diritto di famiglia, segnando una svolta in merito alla valutazione delle rinunce professionali ai fini dell’assegno di divorzio.
Lunedi 16 Settembre 2024 |
La Corte, ribadendo il consolidato principio secondo cui l’assegno divorzile ha natura non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa, ha affermato che “il contributo fornito da un coniuge alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro, anche attraverso la rinuncia a proprie prospettive professionali, deve essere valorizzato ai fini della determinazione dell’assegno divorzile“.
Insomma le rinunce professionali effettuate da un coniuge in favore del benessere familiare devono essere valorizzate nella determinazione dell’assegno divorzile. Questo sviluppo giurisprudenziale introduce una nuova dimensione nella valutazione economica delle scelte di vita compiute durante il matrimonio, rafforzando l’equità e la giustizia nel contesto del divorzio.
Come affermato nella sentenza n. 11504/2017: “L’assegno divorzile, oltre a garantire un sostegno economico, deve anche riconoscere e compensare i sacrifici fatti dal coniuge economicamente più debole durante il matrimonio“, la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui l’assegno divorzile possiede una natura complessa, combinando funzioni assistenziali, compensative e perequative. Tuttavia, con l’ordinanza n. 18506/2024, la Corte ha fatto un ulteriore passo avanti, affermando che il contributo fornito da un coniuge alla formazione del patrimonio familiare, anche attraverso la rinuncia a opportunità professionali, deve essere debitamente considerato “il sacrificio delle proprie prospettive professionali, se motivato da esigenze familiari e concordato con l’altro coniuge, deve essere valutato come un contributo significativo al benessere complessivo della famiglia”.
Un aspetto cruciale dell’ordinanza è sicuramente il riconoscimento formale delle rinunce professionali come elemento determinante nella quantificazione dell’assegno divorzile. Gli Ermellini hanno di fatto stabilito che “le rinunce professionali, purché siano state motivate da esigenze familiari e condivise tra i coniugi, costituiscono un elemento fondamentale per valutare il contributo fornito alla famiglia“.
Questo riconoscimento rappresenta una significativa evoluzione giurisprudenziale, poiché valorizza il lavoro di cura e assistenza tradizionalmente svolto dalle donne, che spesso comporta sacrifici economici e professionali. La Cassazione ha affermato che “il lavoro domestico e di cura, sebbene non retribuito, rappresenta un contributo economico indiretto di grande rilevanza“.
I requisiti per il riconoscimento dell’assegno divorzile: un quadro dettagliato
Per poter beneficiare del riconoscimento economico derivante dalle rinunce professionali, la Corte ha stabilito una serie di requisiti che devono essere soddisfatti. Tali requisiti garantiscono che le scelte compiute durante il matrimonio siano valutate in modo equo e giusto:
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Nesso causale: la rinuncia professionale deve essere strettamente collegata a esigenze familiari. La Corte ha chiarito che “il sacrificio delle proprie prospettive professionali deve essere determinato da esigenze familiari concrete e comportare un effettivo sacrificio per il coniuge“. Inoltre, il collegamento tra la rinuncia professionale e il benessere familiare deve essere evidente.
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Condivisione della scelta: la decisione di abbandonare la carriera deve essere stata condivisa tra i coniugi. La Cassazione ha ribadito che “il principio di solidarietà coniugale, sancito dall’art. 156 c.c., impone che le scelte rilevanti siano prese di comune accordo“. Questo significa che la rinuncia professionale non può essere considerata se non vi è stata una condivisione esplicita o implicita della decisione all’interno della coppia.
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Incremento del patrimonio: la rinuncia deve aver comportato un incremento del patrimonio familiare o personale dell’altro coniuge. Come evidenziato dalla Corte, “la valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti è fondamentale per stabilire se il sacrificio del coniuge ha realmente contribuito al miglioramento delle condizioni familiari“.
Inoltre, in riferimento alla sentenza n. 18817/2020, la Corte ha chiarito che “l’assegno divorzile deve riflettere non solo il divario economico esistente tra i coniugi, ma anche il contributo fornito dal coniuge che ha sacrificato la propria carriera“.
Questa pronuncia della Cassazione avrà rilevanti conseguenze pratiche sia per i Giudici di merito che per gli avvocati. I Giudici saranno chiamati a effettuare valutazioni più dettagliate, considerando non solo il reddito e il patrimonio, ma anche il lavoro domestico e di cura. Come sottolineato dalla Corte: “Il lavoro di cura e di assistenza alla famiglia deve essere considerato alla stregua di un contributo economico indiretto“.
Di converso, per gli avvocati, questa pronuncia implica la necessità di presentare prove dettagliate e articolate riguardo alle rinunce professionali dei propri assistiti.
La decisione della Corte di Cassazione rappresenta un passo significativo verso una maggiore equità nel diritto di famiglia. Il riconoscimento del valore del lavoro domestico e di cura, tradizionalmente sottovalutato, segna un importante progresso nella promozione della parità tra i coniugi, come affermato dalla stessa Corte: “Il contributo non retribuito di un coniuge al benessere della famiglia non può essere ignorato nel contesto di una separazione“.
Questa sentenza invia un chiaro messaggio: le scelte di vita fatte in nome della famiglia devono essere equamente compensate. In un’epoca in cui l’uguaglianza di genere è sempre più al centro del dibattito pubblico, la Cassazione pone un ulteriore tassello verso una giustizia più equa e bilanciata.