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Agente immobiliare: la messa in relazione del potenziale compratore con il venditore è sufficiente per avere diritto alla provvigione?

Come stabilisce l’art. 1755 c.c., il diritto dell’agente immobiliare alla provvigione sorge solo se l’affare è concluso per effetto del suo intervento, cioè se sussiste un nesso tra l’attività mediatoria e il risultato finale, rappresentato dalla conclusione dell’affare.

Al fine di stabilire se sussiste, il nesso causale in questione occorre avere riguardo al criterio della causalità adeguata o efficiente, in base al quale la conclusione dell’affare deve costituire l’effetto dell’intervento del mediatore, nel senso che l’attività da questo svolta deve rientrare nella serie dei fattori ai quali sia ricollegabile la positiva conclusione delle trattative.

D’altra parte, ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non è necessaria l’esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore avvantaggiandosene (Cass. civ., Sez. III, 09/12/2014, n. 25851).

Ciò premesso è importante sottolineare quanto segue.

Il rapporto di mediazione non presuppone, necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, ma è configurabile pure in relazione ad una materiale attività intermediatrice che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto.

Bisogna notare poi che la prestazione del mediatore può anche esaurirsi nel ritrovamento e nell’indicazione di uno dei contraenti, sempre che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che, senza di essa, l’affare non sarebbe stato concluso.

Allo stesso modo il diritto del mediatore alla provvigione sorge quando, pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione contratto.

Non sempre però la “messa in relazione” è sufficiente per pretendere un compenso.

La questione è stata trattata dalla Cassazione nella sentenza n. 3165 del 3 febbraio 2023.

Messa in relazione dell’agente immobiliare e diritto alla provvigione. La vicenda

Un agente immobiliare faceva vedere un immobile ad una donna anziana accompagnata dalla figlia.

Quest’ultima, dopo un notevole lasso di tempo, acquistava (insieme al marito) l’immobile con l’aiuto di un altro mediatore a cui corrispondeva la provvigione. Il primo mediatore pretendeva un compenso facendo presente di aver messo in relazione la donna con il venditore dell’appartamento. Il Tribunale dava torto all’attore.

Secondo lo stesso giudice l’intervento dell’attore non si era rilevato determinante nella conclusione dell’affare, che si è perfezionato per effetto dell’attività svolta in via autonoma da altra agenzia;

La Corte d’Appello condivideva la conclusione del Tribunale.

La decisione

La Cassazione ha precisato che, al fine del sorgere del diritto alla provvigione ex art. 1755, co. 1 c.c., è necessario che la conclusione dell’affare sia effetto causato adeguatamente dal suo intervento, senza che il mettere in relazione delle parti tra di loro ad opera del mediatore sia sufficiente di per sé a conferire all’intervento di questi il carattere di adeguatezza, né che l’intervento di un secondo mediatore sia sufficiente di per sé a privare l’opera del primo mediatore di tale qualità di adeguatezza.

Del resto, i giudici supremi escludono che l’opera del primo mediatore sia stata determinate sulla base delle seguenti circostanze:

(a) la parte che è stata messa in relazione (la madre) con il venditore non coincideva con la successiva acquirente (la figlia con il marito), benché la figlia fosse presente durante le visite all’immobile;

(b) l’affare si è concluso dopo un lasso di tempo significativo dalla scadenza dell’incarico conferito al primo mediatore;

(c) il venditore si è rivolto ad un secondo mediatore, la cui opera ha avuto un ruolo di efficienza causale adeguata rispetto alla conclusione dell’affare.

Per la Corte nessuna di queste circostanze isolatamente considerata è sufficiente per negare la provvigione ma tutte insieme invece risultano idonee a confermare la decisione presa in appello.

L’interpretazione di una clausola contenuta nell’incarico di mediazione

Nell’incarico era presente la seguente clausola: “in caso di vendita effettuata direttamente nel periodo dell’incarico, in caso di vendita effettuata direttamente dopo la scadenza a clienti da Voi presentati nel periodo dell’incarico e per revoca del presente, Vi sarà corrisposta una somma, a titolo di penale, pari al 75% del compenso pattuito”. La Corte d’Appello ha ritenuto che la clausola non dovesse applicarsi al caso di specie, in cui il venditore non ha effettuato una vendita direttamente, ma si è avvalso dell’opera di un secondo mediatore.

Nel caso di esame – conclude la Corte d’appello – la conclusione dell’affare è avvenuta, a distanza di un apprezzabile lasso di tempo rispetto alla scadenza del primo incarico, con l’intervento di un secondo mediatore, incaricato in modo autonomo dal primo.

Secondo i giudici supremi tale conclusione ha violato l’art. 1362 c.c. (secondo cui nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole), privilegiando unilateralmente l’interpretazione letterale dell’avverbio “direttamente” rispetto alla comune intenzione delle parti.

Per quanto sopra alla fine la Cassazione ha comunque accolto (con rinvio) il ricorso del primo agente immobiliare.

Sentenza
Scarica Cass. 2 febbraio 2023 n. 3165

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