Azione di reintegrazione nel possesso avverso un condominio
Il tema dell’esperimento dell’azione di reintegrazione nel possesso ex art. 1168 c.c. avverso il condominio da parte di singoli condomini o di terzi risulta di particolare interesse pratico e dogmatico, dal momento che dottrina e giurisprudenza hanno appuntato la loro attenzione sulla diversa e più frequente ipotesi che vede il condominio dal lato attivo piuttosto che da quello passivo.
In particolare, sotto quest’ultimo profilo, sono molteplici le pronunce che affrontano la tematica per riconoscere in capo al condominio, e per esso al suo amministratore, la legittimazione, senza necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea dei condomini, a promuovere l’azione di reintegrazione avverso la sottrazione al compossesso di tutti i condomini di una parte comune dell’edificio ad opera di taluno di questi ultimi (situazione alla quale deve essere equiparata la condotta di spoglio realizzata da terzi, ai sensi dell’ art. 1131 c.c.); ciò in quanto tale azione, essendo diretta a conservare l’esistenza delle parti comuni condominiali, rientra tra le attribuzioni dell’amministratore ex art. 1130, n. 4, c.c. ( Cass. civ., Sez. II, 24 aprile 2023, n. 10869; Cass. civ., Sez. II, 13 novembre 2020, n. 25782 ; Cass. civ., Sez. II, 15 maggio 2002, n. 7063 ; Cass. civ., Sez. II, 3 maggio 2001, n. 6190 ; Cass. civ., Sez. II, 14 maggio 1990, n. 4117 ; Cass. civ., Sez. II, 11 novembre 1986, n. 6593 ; Cass. civ., Sez. II, 28 maggio 1980, n. 3510).
Ipotesi frequente, ad esempio, è l’occupazione di un cortile o di un terrazzo comune che inibisca il compossesso di tutti gli altri condomini.
Più sporadiche, invece, sono le pronunce che affrontano il tema dell’azione di reintegrazione avverso il condominio, la maggior parte delle quali asseriscono che l’amministratore di condominio che compie un fatto di impossessamento violento o clandestino in base ad autorizzazioni o delibera assembleare, deve considerarsi autore materiale dello spoglio, mentre autore morale dello stesso deve essere considerata la collettività condominiale, rappresentata dall’assemblea; in tal caso, pertanto, l’azione di reintegrazione può essere proposta sia contro il condominio, sia contro l’amministratore, quale autore materiale dello spoglio ( Cass. n. 7621/2002 ; Cass. n. 3272/1987 ; Trib. Roma 1°.07.2004).
Una pronuncia, poi, asserisce che l’apposizione di transenne tubolari ai marciapiedi comuni, le quali impediscano a taluni condomini l’accesso con i veicoli, già consentito in passato, integra un atto di spoglio e l’eccezione opposta dall’amministratore di averlo compiuto in esecuzione di una delibera condominiale (legittima e non impugnata) non è idonea ad escludere l’animus spoliandi, soprattutto se, come nella specie, per lungo tempo dopo l’assunzione della delibera i condomini abbiano continuato ad esercitare il possesso (Cass. n. 4461/1995).
IL CASO.
Una società conduttrice di un locale commerciale posto in uno stabile in condominio esperiva azione di reintegrazione nel possesso avverso il condominio, lamentando il fatto che l’amministratrice avesse sostituito il lucchetto della catena posta al varco di accesso di una zona condominiale prospiciente al locale predetto e utilizzata dalla stessa per le operazioni di carico e scarico della merce, senza consegnare una copia delle chiavi.
La società ricorrente dichiarava di aver avuto sempre la disponibilità delle chiavi del vecchio lucchetto per consegna fattane dal portiere dello stabile, pertanto riteneva di aver subito uno spoglio.
L’amministratrice di condominio si difendeva dichiarando, anzitutto, di aver sostituito il lucchetto non per spossessare alcuno, ma semplicemente perché rotto; inoltre, dichiarava di essere del tutto ignara della circostanza che il legale rappresentante della società ricorrente avesse ricevuto in passato dal portiere del condominio la disponibilità diretta delle chiavi del vecchio lucchetto.
Il portiere, insomma, aveva agito di sua iniziativa e all’insaputa dell’amministratrice, contravvenendo alle disposizioni condominiali.
Quindi, si eccepiva la carenza dell’elemento soggettivo dell’animus spoliandi.
Infine, eccepiva anche la carenza dell’elemento oggettivo dello spoglio, dal momento che la nuova chiave di accesso alla detta area era custodita dal portiere, potendo tutti i condomini, pertanto, chiedere l’accesso al cortile comune per farne l’uso consentito dal regolamento di condominio.
LA DECISIONE.
Il Tribunale di Potenza (decreto cron. n. 13373/2024 del 12.07.2024) rigettava la domanda della società reputando “dirimente” la carenza dell’animus spoliandi in capo al condominio resistente, così disponendo:
“Giova ribadire al riguardo che in tema di possesso, è passibile di azione di reintegrazione, ai sensi dell’art. 1168 c.c., colui che, consapevole di un possesso in atto da parte di altro soggetto, anche se ritenuto indebito, sovverta, clandestinamente o violentemente, a proprio vantaggio la signoria di fatto sul bene nel convincimento di operare nell’esercizio di un proprio diritto reale, essendo, in tali casi, “l’animus spoliandi in re ipsa” ( Cass n. 21613/21).
Nel caso di specie sulla base delle prove raccolte, deve escludersi la consapevolezza in capo al resistente di agire contro la volontà anche tacita del presunto possessore e di voler sovvertire una situazione possessoria altrui, sì che l’animus spoliandi non è ravvisabile nel caso concreto“.
ANIMUS SPOLIANDI.
La decisione è di particolare interesse considerato che sull’elemento soggettivo dell’animus spoliandi e, soprattutto, sulla sua prova molteplici sono le prese di posizione in dottrina ed in giurisprudenza, anche di segno opposto.
Secondo una prima tesi sarebbe necessario, oltre al requisito di carattere oggettivo, quello soggettivo, costituito dall’animus spoliandi che si concreta nella consapevolezza di agire contro la volontà (espressa o presunta) del possessore ( Cass. n. 8059/1995 Cass. n. 6583/1988 Cass. n. 3356/1987 Cass. n. 1577/1987 Cass. n. 6589/1986; Protettì, Le azioni possessorie, 239; Montel, Azione Possessoria (Diritto civile vigente), 131).
Secondo un’opposto punto di vista, invece, il requisito dell’animus non sarebbe richiesto ai fini dell’esperibilità dell’azione in oggetto, in quanto non menzionato dal legislatore (Bianca, La proprietà, p. 842; Deiana, Un requisito non richiesto per lo spoglio: l'”animus spoliandi“, in GCCC, 1946, I, 139; Cass. n. 15381/2000).
Il Tribunale di Potenza sposa una terza tesi giurisprudenziale, sostenuta da chi scrive nella causa definita dalla decisione commentata, secondo cui il convenuto di un’azione di reintegrazione nel possesso deve essere consapevole di un possesso in atto da parte di altro soggetto e che lo abbia sovvertito clandestinamente o violentemente a proprio vantaggio, nel convincimento di operare nell’esercizio di un proprio diritto reale.
Ciò basta per ritenere sussistente l’animus spoliandi, definito in re ipsa in tali casi (Cass. 28.07.2021, n. 21613; Cass. 9.06.2009, n. 13270; App. Napoli 2.03.2022, n. 863; App. Lecce 29.10.2015, n. 387).
In altre parole, secondo questo filone ermeneutico, l’elemento soggettivo sarebbe un presupposto dell’azione ex art. 1168 c.c., ma non se ne richiede di fatto una prova rigorosa, essendo insita in quanto sopra evidenziato.
In conclusione, dunque, come ribadito efficacemente da Cass. 25.07.2011, n. 16236, l’elemento dell’animus spoliandi “deve essere escluso qualora risulti che, al momento della materiale apprensione del bene, l’autore dello spoglio non conosceva e non era in grado di conoscere l’altrui possesso, o di acquisire la cosa contro la volontà espressa o tacita del possessore“.