Bambino cade da una attrezzo ginnico in un parco giochi: quando il Comune è responsabile.
Con la sentenza n.11942 del 5 maggio 2023 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della responsabilità del custode per i danni subiti da un minore a seguito della caduta da una struttura ginnica collocata in un parco giochi comunale.
Mercoledi 31 Maggio 2023 |
Il caso: Mevia, in proprio e in qualità di esercente la potestà genitoriale sul figlio minore Caio agiva nei confronti del Comune per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguiti all’infortunio occorso al figlio in conseguenza della caduta da una struttura ginnica all’interno del parco comunale.
La istante evidenziava che l’infortuno era imputabile al fatto che la struttura era stata montata con una altezza superiore a quella prevista ed era stata lasciata sguarnita di un componente essenziale, ossia del tappetino di assorbimento della caduta.
Il Tribunale rigettava la domanda attorea, decisione che veniva confermata dalla Corte d’appello, che affermava che:
– la struttura era risultata conforme agli standard di sicurezza al momento della produzione e dell’uscita dalla fabbrica e che l’infortunio non era dipeso da cedimenti e/o difetti di fabbricazione, bensì dal fatto che il minore aveva lasciato la presa delle corde sulle quali poggiavano mani e piedi;
– l’utilizzo delle strutture esistenti in un parco giochi non si connota, di per sé, per una particolare pericolosità se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque una qualche vigilanza da parte degli adulti.
Mevia ricorre in Cassazione, denunciando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art 115 c.p.c., art. 116 c.p.c., in relazione all’art 360 c.p.c. n. 3 e 5, per avere la Corte di Appello,:
– escluso il nesso causale tra il sinistro e la struttura ludica e/o in ogni caso esclusa l’applicazione dell’articolo 2051 c.c. ed escluso la responsabilità del custode di detta struttura, ossia il Comune, nonostante il danneggiato (proprio in ottemperanza agli oneri anche probatori sottesi all’art. 2051 c.c.) avesse dimostrato che l’evento dannoso si era prodotto come conseguenza “normale” della particolare condizione lesiva (superiore alla ordinaria e standard) assunta dalla cosa, ed in cui versava la struttura al momento del fatto;
– infatti, la struttura si presentava, in quanto non montata né installata conformemente alle prescrizioni del produttore, più alta del consentito e priva di una sua componente strutturale essenziale, il tappetino di centimetri tre di materiale plastico spugnoso idonea ad attenuare gli effetti di una caduta dalla struttura quale conseguenza normale dell’utilizzo del “gioco” polifunzionale con elementi di arrampicata.
La Cassazione, dopo un approfondito excursus sui principi in tema di responsabilità per cose in custodia, nel ritenere fondata la censura, osserva che:
a) la Corte distrettuale, senza escludere che la struttura ginnica presentasse le due anomalie individuate dall’attrice (ossia che fosse stata montata ad altezza superiore a quella prevista dal produttore e che fosse mancante del tappeto di assorbimento di eventuali cadute), ha apoditticamente affermato che le stesse sarebbero ininfluenti, sul mero rilievo di ordine generale che l’utilizzo di strutture presenti in un parco giochi presuppone una vigilanza da parte degli adulti e non si connota per una particolare pericolosità, a meno che emerga che le stesse siano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto;
b) così motivando, tuttavia, la Corte ha focalizzato la sua attenzione sul difetto di vigilanza della madre e ha finito per escludere a priori qualunque valenza causale delle due anomalie denunciate da Mevia, senza verificare se le stesse possano avere inciso, non sulla caduta del bambino, ma sulle conseguenze che ne sono derivate, in termini di aggravamento delle stesse, tenuto conto dell’aumento della violenza d’urto correlato alla maggiore altezza dal suolo e del mancato assorbimento da parte dell’apposito tappetino;
c) la Corte ha quindi omesso di valutare effettivamente se la specifica condizione della “cosa” abbia influito o meno sulle conseguenze della caduta (anche in termini di aggravamento), secondo i consueti criteri di accertamento del nesso causale;
d) soltanto all’esito di una tale verifica, la Corte avrebbe potuto escludere qualunque nesso di causa fra la cosa e le lesioni riportate dal minore (e così rigettare in radice la domanda) oppure, in caso di accertata sussistenza di nesso causale o concausale, avrebbe dovuto procedere alla verifica circa la ricorrenza del caso fortuito o, in difetto, di un concorso causale (da scrutinare ai sensi dell’art. 1227 c.c.) fra quanto determinato dalla cosa e quanto imputabile a difetto di vigilanza della madre del minore.