Canna fumaria con estrattore di fumi: le immissioni rumorose
L’installazione di una canna fumaria sulle parti comuni di un edificio è legittima laddove non costituisca un impedimento all’utilizzo dei beni comuni da parte degli altri condòmini e non arrechi un grave pregiudizio al decoro architettonico.
È infatti principio pacifico e consolidato in giurisprudenza quello secondo cui l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale individui una modifica della cosa comune che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità e sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico.
Certo è che, in questo quadro di tutela e salvaguardia della qualità del fabbricato e dei pari diritti degli altri condòmini, deve pure prestarsi attenzione a non recare danno al vicinato che, a causa delle immissioni di fumo e calore, potrebbe veder menomato il suo diritto ad un ambiente salubre.
Per ovviare al problema del tiraggio non ottimale della canna fumaria che determina il fastidioso ritorno dei fumi e la loro conseguente propagazione nell’ambiente, spesso è sufficiente installare sulla parte finale della canna fumaria un aspiratore che, se elettrico, da un lato può risolvere il problema dei fumi, ma dall’altro lato potrebbe creare un ulteriore disagio generato da rumori fastidiosi.
Il tema dei rumori provenienti dalla canna fumaria, che si inserisce nell’alveo della disciplina relativa alle immissioni di cui all’art. 844 c.c., è stato di recente oggetto di una pronuncia del Tribunale di Latina, n. 1872 del 6 ottobre 2022.
Canna fumaria con estrattore di fumi: emissioni acustiche. La vicenda
I proprietari e possessori di un’unità immobiliare disposta su due livelli convenivano in giudizio il titolare di un ristorante ubicato sul lato opposto alla loro abitazione nonché il proprietario nella qualità di proprietario del predetto locale commerciale adibito ad attività di ristorazione.
A fondamento della domanda gli attori assumevano che detta attività utilizzava una canna fumaria che, dopo aver attraversato l’intera facciata dell’immobile, sfociava sul tetto e più esattamente sullo spiovente collocato sopra la loro camera da letto.
Sostenevano, altresì, che il titolare del ristorante aveva installato sulla parte terminale di detta canna fumaria un estrattore di fumi munito di motore al fine di consentire ai fumi e ai vapori prodotti dalla cucina del ristorante di disperdersi nell’aria. Adducevano, oltre alla lesione del decoro architettonico, l’intollerabilità dei rumori provenienti dalla apparecchiatura installata sulla canna fumaria.
Rilevavano di aver richiesto l’intervento dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente al fine di verificare l’eventuale superamento del limite di tollerabilità consentito dalla legge e che tali verifiche riscontravano il suo superamento.
Gli attori, pertanto, chiedevano accertarsi che i rumori provenienti dall’estrattore superavano il limite di tollerabilità normativamente previsto e, per l’effetto, ordinarsi ai convenuti la cessazione totale delle immissioni o la loro riconduzione entro i limiti di cui all’art. 844 c.c. Chiedevano, altresì, la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento dei danni subiti sia con riferimento alla diminuzione di valore dell’immobile di loro proprietà sia con riferimento al danno biologico, morale ed esistenziale patito a seguito della perdita di serenità domestica.
Si costituiva il titolare del ristorante sostenendo l’inesistenza di alcuna lesione del decoro architettonico dell’edificio essendo l’estrattore conforme alla vigente normativa in materia, anche in tema di emissioni acustiche.
Sosteneva che le lamentele degli attori erano del tutto infondate anche alla luce delle modifiche strutturali dagli stessi apportate alla loro abitazione; conseguentemente, il convenuto spiegava domanda riconvenzionale, chiedendo l’eliminazione di tali opere con ripristino dello status quo ante e condanna al ristoro dei danni patiti.
Il Tribunale di Latina accoglieva la domanda avanzata dagli attori e, per l’effetto, accertata e dichiarata l’esistenza di immissioni di rumore oltre la soglia della normale tollerabilità, condannava i convenuti, a far cessare immediatamente le immissioni rumorose ovvero ricondurle entro i limiti di cui all’art. 844 c.c. oltre al risarcimento dei danni non patrimoniali, rigettando quella per danni patrimoniali nonché la domanda riconvenzionale dei convenuti.
Vediamo le motivazioni della decisione.
Canna fumaria con estrattore di fumi: emissioni acustiche. Il criterio della normale tollerabilità applicato alla fattispecie
L’art. 844 c.c. prevede il c.d. divieto di immissioni per il quale è interdetta al proprietario di un fondo la possibilità di determinare immissioni nel fondo del vicino se superano la normale tollerabilità, o per converso nell’accezione positiva il proprietario di un fondo può dar corso ad emissioni nella proprietà del vicino solamente a condizione che rientrino nella normale tollerabilità.
Con “normale tollerabilità” si intende il limite entro il quale l’immissione (nel nostro caso “di rumore”), pur comportando una parziale menomazione del godimento della proprietà è tuttavia ritenuta accettabile per il proprietario del fondo che la subisce secondo una valutazione data dal giudice.
La norma non indica però in maniera specifica il limite oltre il quale il rumore non è più tollerabile.
La giurisprudenza, in maniera costante e ormai consolidata, ha stabilito che il limite della normale tollerabilità è superato allorché la differenza tra il rumore complessivamente misurato e il rumore di fondo eccede i 3 decibel.
Al secondo comma dell’art. 844 c.c., poi, il Legislatore ha introdotto un limite prevedendo che il Giudice nell’applicare il criterio della normale tollerabilità debba contemperare le esigenze della produzione con quelle della proprietà tenendo, altresì, in considerazione la priorità di un determinato uso. Ciò, sta a significare che nell’ipotesi in cui a subire il rumore sia il proprietario di un immobile adibito a civile abitazione in un centro abitato, il limite di 3 db troverà pienamente applicazione, mentre nel caso di propagazione di rumori in un territorio adibito a zona industriale o artigianale evidentemente il limite della normale tollerabilità sarà meno restrittivo in ragione della destinazione urbanistica dell’area.
Non solo, ma secondo costante orientamento giurisprudenziale, nel bilanciamento tra esigenze della produzione e ragioni della proprietà, il giudice deve tener conto degli interessi del proprietario di rango superiore tra cui la qualità della vita e della salute.
Alla luce di una interpretazione costituzionalmente garantita deve, quindi, ritenersi prevalente, rispetto alle esigenze della produzione: “l’interesse ad una normale qualità della vita“, “il diritto al normale svolgimento della vita familiare“, ” la soddisfazione di una normale qualità della vita” ( in tal senso Cass. n. 23745/2018; Cass. n. 21504/2018; Cass. n. 5564/2010; Cass. n. 8420/2006).
Nella fattispecie, dalla misurazione effettuata dall’ente preposto era emerso che il rumore proveniente dall’estrattore della canna fumaria fosse superiore ai 3 db. Conseguentemente, risultando provato il superamento del limite di normale tollerabilità, il giudice ha operato un bilanciamento tra le esigenze della produzione e quelle della proprietà ritenendo prioritario l’uso a civile abitazione, in considerazione della vicinanza alla camera da letto degli attori, della bocca di fumo annessa all’impianto, posta ad una distanza inferiore al metro e quindi in violazione della distanza minima legale ( un metro e mezzo).
Canna fumaria con estrattore di fumi: emissioni acustiche. Il risarcimento del danno non patrimoniale
Nel decidere sulla domanda di risarcimento danni formulata dagli attori, il Giudice ha evidenziato che il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni rumorose è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico dimostrabile, ossia anche quando non sussista o non risulti provato uno stato di malattia o l’insorgenza di una patologia clinica a seguito delle intollerabili immissioni di rumore.
Ciò, alla luce del principio giurisprudenziale secondo cui il danno non patrimoniale conseguente alle immissioni rumorose è già di per sé una lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all’interno della propria casa di abitazione, tutelato anche dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, nonché del diritto alla libera e piena esplicitazione delle normali abitudini di vita quotidiana (cfr. Cass. n. 20927/2015; n. 26899/2014; Cass. n. 1606/2017; Cass. n. 20445/2017 nonché la più recente ordinanza della Cassazione n. 21649 del 2021).
Quanto al pure denunciato danno patrimoniale, il Giudice ha ritenuto di rigettare la relativa domanda di risarcimento in mancanza di riscontri certi sulla diminuzione di valore dell’immobile, nonché sull’assunto che la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale avrebbe potuto trovare accoglimento ove l’immobile fosse stato venduto ad un prezzo inferiore al valore di mercato; circostanza non sussistente nella specie.
Per completezza, rileva anche la motivazione del Giudice inerente al rigetto della domanda riconvenzionale del convenuto sull’assunto dell’irrilevanza degli abusi edilizi dell’immobile ai fini civilistici. Una valida domanda riconvenzionale, per poter trovare eventuale accoglimento, avrebbe dovuto riguardare uno specifico ed ulteriore pregiudizio ai diritti tutelati dall’ordinamento giuridico, non potendo semplicemente il convenuto lamentare dell’abusività dal punto di vista urbanistico di un manufatto.
Sentenza
Scarica Trib. Latina 6 ottobre 2022 n. 1872