English EN French FR Italian IT Spanish ES

Compravendita di immobile ed obbligo del costruttore al successivo completamento delle opere inerenti le parti comuni, quale azione esperire in caso di vizi?

La sentenza in commento, Corte di Appello di Milano n. 371 del 2 febbraio 2023, interessa una fattispecie sempre più frequente che attiene all’obbligo assunto dal costruttore/venditore nei confronti del compratore, espressamente previsto e riportato nel contratto di compravendita di immobile, di compiere e/o completare le opere afferenti le parti comuni dell’edificio in epoca posteriore al rogito notarile.

In tale contesto, per esemplificare la questione oggetto della disamina, appare utile rappresentare come sia, ormai, consuetudine procedere alla vendita di immobili all’interno di compendi in cui devono essere ancora portati a termini o compiuti interventi su parti comuni, quali ingresso, scale, aree scoperte, posti auto, che non incidono sulla commerciabilità del bene.

In tali circostanze, è di tutta evidenza come l’acquirente possa incorrere in problematiche derivanti dal mancato o non corretto adempimento del costruttore per cui si rende necessario esperire una azione a tutela della sua giusta pretesa di ottenere la ultimazione delle lavorazioni concordate a perfetta regola d’arte.

Al contempo, occorrerà porre in essere ogni dovuta e doverosa accortezza e cautela al momento della cosiddetta consegna delle opere in occasione della quale verificarne la realizzazione conforme al progetto anche con riferimento alla consistenza, materiali, nonché ove necessario, procedere anche al collaudo qualora vi siano impianti.

Compravendita di immobile ed obbligo del costruttore al successivo completamento delle opere inerenti le parti comuni. La vicenda

Nell’ipotesi in esame, il Tribunale aveva respinto la domanda di esatto adempimento, avanzata da un Supercondominio e da alcuni singoli condomini contro il venditore/costruttore, in ordine alla eliminazione dei difetti alle scale in pietra e mobili oltre a quelli emersi nella pavimentazione della piazza comune, ritenendo l’azione non fondata per inesistenza di un contratto di appalto o di altro obbligo di fare.

Ravvisando ingiusta la sentenza resa, è stato promosso appello sollevando, quale principale motivo di gravame, l’erroneità della motivazione del Giudice laddove non ha rinvenuto il titolo legittimante la pretesa formulata nel contratto di acquisto stipulato ove era stata specificatamente convenuta la consegna delle parti comuni dopo il rogito.

L’azione di esatto adempimento ex art. 1453 c.c.

Per un compiuto esame dell’argomento, è utile iniziare la nostra disamina dalla norma di riferimento, l’art. 1453 c.c., secondo cui “Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”.

Ebbene, il dettato normativo richiamato è chiaro nel disporre che qualora uno dei contraenti non rispetti l’impegno assunto, l’altro ha il diritto di agire per ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto.

Nella vicenda de qua, il Supercondominio ed alcuni condomini hanno contestato al venditore/costruttore la sussistenza di vizi nella esecuzione dei lavori per il completamento di alcune parti comuni, il cui onere era stato individuato e concordato nei singoli contratti di vendita, rilevando come già al momento della consegna delle stesse fosse stata formulata esplicita riserva per alcune.

Ebbene, ad avviso della Corte, non vi può essere dubbio sulla correttezza della proposizione dell’azione di esatto adempimento in quanto l’atto di compravendita rappresenta il fondamento della pretesa avanzata in ragione del fatto che il venditore ivi ha manifestato l’impegno ad eseguire i lavori sulle parti comuni.

Ulteriormente, è appropriato rilevare che l’obbligazione del venditore di effettuare lavorazioni, successivamente al rogito, consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., per cui ove agisca, come qui, per l’esatto adempimento, la prescrizione, venuta meno la regola eccezionale del citato articolo, decorre secondo l’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c.

Vizio o mancata manutenzione?

Entrando nel merito delle doglianze espresse dagli attori relativamente alla esistenza di vizi alla scale mobili ed in pietra, quali parti comuni dello stabile, nonché al compimento degli interventi inerenti le riserve manifestate su altre opere, quali la pavimentazione della piazza, è opportuno commentare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio resa per un indefettibile approfondimento delle cause di tali lamentele nonché della loro imputabilità ad una errata esecuzione dell’impresa.

A tal riguardo, occorre ricordare come, nelle situazioni, come quella oggetto della vertenza in esame, solo con l’ausilio di una perizia è possibile accertare se le difformità ed i vizi contestati possono essere ricondotti a responsabilità del costruttore perché non realizzati non a regola d’arte.

Il condomino non può sottrarsi al pagamento invocando l’eccezione di inadempimento.

In conseguenza, è determinante e risolutivo poter acquisire conoscenza delle cause dei difetti in modo far emergere la loro origine e natura e poter valutare la fondatezza o meno della domanda avanzata in sede giudiziale.

Sul punto, dalle risultanze delle indagini condotte dal CTU è risultato che le lamentate avarie alle scale mobili non sono riconducibili al costruttore ma ad un uso intensivo ed alla progressiva carenza di manutenzione da parte del Supercondominio.

Pertanto, nel caso il vizio contestato non può essere imputato al costruttore ma alla stessa condotta degli attori.

Diversamente, con riferimento alle scale in pietra è emersa la sussistenza dei vizi dedotti così come per la rottura delle piastre afferenti alla pavimentazione della piazza accertando l’errata ed erronea progettazione ed esecuzione dei lavori.

Alla luce di quanto sopra, la Corte ha accolto parzialmente l’appello, condividendo e facendo proprie le conclusioni della CTU, condannando il costruttore alla realizzazione delle suddette opere a regola d’arte.

Sentenza
Scarica App. Milano 2 febbraio 2023 n. 371

Condividi