Confisca: il credito condominiale va azionato davanti al giudice civile
La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza n. 1363 dell’8 agosto 2022, ha affrontato il delicato caso riguardante il credito condominiale azionato contro una società (proprietaria di alcuni immobili facenti parte del condominio) il cui intero patrimonio era stato confiscato in ragione dell’applicazione di una misura di prevenzione.
La Corte siciliana, nel rigettare l’appello, ha stabilito che, nel caso di confisca, il credito va azionato davanti al giudice civile e non davanti al giudice penale, sebbene sia in corso una misura di prevenzione. Approfondiamo la questione.
Crediti e confisca: il caso
Un condominio agiva con decreto ingiuntivo contro una società condomina per recuperare alcuni oneri condominiali non pagati.
Vittorioso in primo grado, avverso la sentenza la società proponeva appello lamentando l’erroneità della procedura intrapresa dal creditore: essendo tutti i suoi beni e l’intero capitale soggetto a confisca per l’applicazione della relativa misura di prevenzione antimafia, la richiesta di poter “aggredire” il patrimonio avrebbe dovuto essere rivolta al giudice penale che aveva comminato la confisca stessa.
In subordine, la società lamentava che il condominio avesse agito con ricorso per decreto ingiuntivo nonostante non fosse stato approvato alcun piano di riparto.
Misure di prevenzione: il credito va azionato davanti al giudice civile
La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 1363 dell’8 agosto 2022 in commento, ha rigettato l’appello e confermato la sentenza di primo grado, riconoscendo pertanto il credito del condominio.
Secondo la Corte di Cassazione (sent. n. 18909/2013), infatti, spetta al giudice civile e non alla sezione per le misure di prevenzione del tribunale penale la competenza ad accertare in via definitiva l’esistenza e l’entità di un credito azionato con ricorso per decreto ingiuntivo relativamente a prestazioni contrattuali intercorse con una società il cui intero capitale e il complesso dei beni aziendali siano stati colpiti da provvedimento di confisca quale misura di prevenzione antimafia ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, allorché detta misura sia stata adottata dal giudice penale in epoca anteriore all’entrata in vigore del nuovo Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (D. lgs. 6 settembre 2011, n. 159).
Tanto vale anche per l’accertamento della risoluzione del contratto, nonché per l’an e il quantum del credito risarcitorio consequenziale nei confronti di una società il cui intero patrimonio sia stato colpito da provvedimenti di sequestro e confisca quali misure di prevenzione antimafia ai sensi della l. n. 575 del 1965.
In questo senso anche altra pronuncia della Suprema Corte (sent. n. 5790/2017) la quale, in una fattispecie relativa a un’azione di risoluzione per inadempimento e risarcimento di danni nei confronti del promittente conduttore colpito da confisca antimafia, ha escluso che il processo civile potesse essere sospeso per l’accertamento della buona fede degli attori mediante incidente di esecuzione penale, e aveva quindi delibato le pretese dei promittenti locatori secondo la disciplina dei contratti.
Nel caso di specie, la confisca era intervenuta già nel 1999, e dunque in epoca anteriore al momento dell’entrata in vigore del D. lgs. n. 159/2011.
Correttamente, quindi, il primo giudice ha ritenuto di dover decidere il merito della vicenda, giacché, come chiarito, la normativa contenuta nel richiamato decreto non era applicabile alla fattispecie.
Così testualmente: «Di conseguenza, applicandosi alla presente controversia la normativa precedente sia al Nuovo Codice Antimafia che alla legge n. 228 del 2012, il giudice civile può accertare in via definitiva la esistenza e l‘entità del credito azionato con il decreto ingiuntivo, credito che successivamente il creditore potrà porre in esecuzione per renderlo opponibile in danno del bene oggetto della misura di prevenzione, nel rispetto delle condizioni e della norme applicabili al procedimento esecutivo, dove dovrà fra l‘altro esser esaminata la sussistenza del requisito della buona fede del creditore».
Il decreto ingiuntivo senza piano di riparto
Infine, assolutamente infondata è la doglianza secondo cui il condominio non avrebbe potuto agire mediante ricorso per decreto ingiuntivo, in assenza dell’approvazione del piano di riparto.
L’art. 63, 1° comma, disp. att. c.c. dispone che, per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea condominiale, l’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo.
Al riguardo, la Corte Suprema ha chiarito più volte che l’approvazione de qua è condizione per la sola concessione della provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio, restando ferma la possibilità, per l’amministratore, di chiedere l’emissione del decreto ingiuntivo per i contributi dovuti dai condòmini in base non soltanto allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, ma anche ai prospetti mensili delle spese condominiali non contestati; solo che, in questo secondo caso, al provvedimento non può concedersi la clausola di immediata esecuzione nonostante opposizione (ex multis, Cass., sent. n. 3296/1996).
Dunque, contrariamente a quanto dedotto dalla appellante, il fatto che tra i documenti allegati al ricorso monitorio non fosse contenuto un rendiconto approvato dall’assemblea condominiale non costituiva circostanza ostativa all’emissione del decreto ingiuntivo.
Sentenza
Scarica App. Palermo 8 agosto 2022 n. 1363