Contratto di comodato: l’immobile non va restituito se il figlio si risposa
Molto spesso i genitori aiutano i propri figli “prestando” la loro casa per esigenze familiari. Ciò avviene il più delle volte a titolo di cortesia e fiducia reciproca senza metter nulla per iscritto.
I più ravveduti, invece, stipulano un vero e proprio contratto che fissa le condizioni e la durata dell’utilizzo dell’immobile.
In entrambi i casi, il godimento gratuito dell’immobile altrui è qualificato giuridicamente come contratto di comodato gratuito (nel primo caso orale, nel secondo scritto).
Cosa accade, tuttavia, se le parti non stabiliscono né oralmente né per iscritto la durata del comodato? Il problema si pone soprattutto quando ad abitare l’immobile sono anche il coniuge o il convivente more uxorio del figlio/a e questi affrontano la crisi coniugale o comunque la separazione.
La risposta è stata fornita dal Tribunale di Mantova con una recente sentenza del 21 novembre 2022 che ha esaminato il seguente caso: negli anni ’90 una donna aveva concesso in comodato la propria casa al figlio, per destinarla alla famiglia di quest’ultimo, senza tuttavia stabilire un termine di durata e, dunque, con un contratto senza scadenza.
Il figlio, negli anni, si era separato e risposato per ben due volte, “cambiando” così la propria compagine familiare.
Secondo la madre, il comodato era stato concesso solo affinché l’immobile fosse abitato dalla famiglia costituita con la prima moglie, e non anche dalle altre.
Pertanto, ciò costituiva, a suo dire, causa di scioglimento unilaterale del contratto di comodato e legittimava la restituzione dell’immobile.
Il Tribunale di Mantova ha tuttavia dato torto alla madre, offrendo le seguenti motivazioni.
Se il contratto ha destinazione familiare, ma non prevede espressamente un termine di scadenza, la durata si deve desumere dall’uso per il quale la cosa è stata consegnata e quindi dalla destinazione a casa familiare.
Si tratta di un contratto sorto per un uso determinato e “dunque per un tempo determinabile per relationem, che può essere cioè individuato in considerazione della destinazione a casa familiare prevista, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.
Se il contratto ancorava la durata del godimento alla famiglia del comodatario, corrisponde a diritto che esso perduri fino al venir meno delle esigenze della famiglia del comodatario. Qualunque essa sia, salvo pattuizione contrari”.
In altri termini, se la finalità del comodato è quella di garantire le esigenze della famiglia del comodatario, il contratto è valido ed efficace anche qualora la famiglia del comodatario cambi.
Secondo i giudici, chi concede un bene a qualcun altro è mosso il più delle volte da ragioni famigliari, di cortesia, amicizia, favore o riconoscenza e ciò implica un certo rapporto di fiducia tra le parti. Dato che, nel caso esaminato, le parti non avevano mai pattuito che la causa del contratto fosse connotata da un vincolo famigliare solo in favore della prima moglie e non delle eventuali altre, il comodato non si può invalidare solo a causa della rottura del primo e del secondo vincolo coniugale e quindi delle esigenze della famiglia del comodatario, “così come “evolutasi” nel tempo anche se in seguito a disgregazione di quella originaria”.
In sintesi, conclude il Tribunale: “Se dunque il contratto ancorava la durata del comodato alla famiglia del comodatario, corrisponde a diritto che esso perduri fino al venir meno delle esigenze della sua famiglia, qualunque composizione essa abbia assunto nel corso degli anni e salva la facoltà di scioglimento unilaterale motivato riconosciuto alla parte comodante”.
Inoltre, nel caso di specie, la domanda della madre comodante è stata rigettata anche perché ella, da un lato non ha mai richiesto formalmente la restituzione dell’immobile dopo ogni disgregazione familiare (esprimendo così la volontà di confermare il comodato) e dall’altro non ha neppure dimostrato l’esistenza di un suo bisogno personale, urgente e sopravvenuto, di riavere l’immobile, che sarebbe bastato a fondare il suo diritto alla restituzione.
L’insegnamento che si può trarre da tale pronuncia, comunque in linea con l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario in tema di concordato per esigenze familiari, è il seguente: a prescindere dal rapporto di fiducia con il familiare al quale si cede in comodato l’abitazione, è sempre opportuno fissare un termine di durata del contratto, lasciando magari aperta la possibilità del rinnovo concordato.
In assenza di un termine di durata, infatti, l’esigenza familiare può essere a tempo indeterminato cosicché, nonostante le vicende della famiglia comodataria, diventa difficile, se non impossibile, ottenere la restituzione/liberazione dell’immobile.
Sentenza
Scarica Trib. Mantova 21 novembre 2022