Contratto d’opera e contratto d’appalto non vanno confusi: quando il committente agisce contro la ditta per vizi delle opere ma fuori termine
La distinzione tra contratto d’opera e contratto d’appalto, posto che entrambi hanno in comune l’obbligazione verso il committente di compiere a fronte di corrispettivo un’opera senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue, si basa sul criterio della struttura e dimensione dell’impresa a cui sono commissionate le opere.
La distinzione tra contratto di appalto e contratto d’opera
Il contratto d’opera coinvolge la piccola impresa desumibile dall’art. 2083 c.c., e il contratto di appalto presuppone un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto.
Ne deriva che ai fini della qualificazione giuridica di un contratto come appalto anziché come contratto d’opera non può essere valorizzata l’autonomia dell’imprenditore che ha assunto l’impegno o la previsione pattizia di uno specifico risultato che questi si sia obbligato a raggiungere o ancora la specificazione dettagliata del materiale da adoperare, del tipo di intervento o della mano d’opera.
Le due fattispecie si distinguono pertanto in relazione non alla natura, all’oggetto o al contenuto della prestazione, bensì all’organizzazione e alle caratteristiche dell’impresa cui è stata commissionata l’esecuzione dell’opera.
Non si può però qualificare come contratto d’opera qualsiasi rapporto caratterizzato dalla modesta entità delle opere. Il contratto d’opera è solo quello in cui l’organizzazione non è tale da consentire il perseguimento delle iniziative di impresa facendo a meno dell’attività esecutiva dell’imprenditore artigiano.
Si ha invece appalto, in tutti i casi in cui, indipendentemente dall’importanza delle opere commissionate, l’organizzazione imprenditoriale sia prevalente sul lavoro personale dei soggetti.
Divengono quindi decisivi gli elementi attraverso i quali l’organizzazione imprenditoriale si è manifestata in concreto, quali il potere di scelta dei materiali, i tempi e le modalità di esecuzione, la delega a terzi di uno o più settori di opere.
L’identificazione della natura dell’impresa interessata, ai fini della qualificazione di un contratto come di appalto o di opera, è rimessa al giudice di merito, coinvolgendo una valutazione delle risultanze probatorie e dei necessari elementi di fatto.
Così, la Cassazione – partendo dalla importanza dell’opera commissionata, riguardante l’impermeabilizzazione dei lastrici solari di copertura di un fabbricato condominiale, e tenendo conto del fatto che questa era stata affidata ad una ditta specializzata – ha ritenuto condivisibile la soluzione del giudice di secondo grado a parere del quale l’esecuzione dell’opera presupponeva un’organizzazione di impresa tale da ricondurre il contratto alla figura dell’appalto (Cass., sez. II, 04/04/2017, n. 8700).
La Corte di Appello si è attenuta al principio secondo cui in mancanza di circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si sia riservato l’organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo, quindi, il rischio del conseguimento del risultato ripromessosi, la qualità di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l’esecuzione di un’opera o di un servizio, fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto d’appalto e non di opera, essendo l’appalto caratterizzato dalla organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore (Cass., sez. II, 12/12/1995, n. 12727).
Le conseguenze di un errato inquadramento del contratto: un caso pratico
Le comproprietarie di un appartamento sito al piano terreno di un immobile, chiamavano in giudizio davanti al Tribunale il proprietario dell’appartamento sovrastante, e il titolare della ditta edile che aveva effettuato il rifacimento dei lastrici solari, dei cornicioni e dei canali di gronda, chiedendo di condannarli in solido al risarcimento dei danni patiti a causa delle infiltrazioni verificatesi nel loro appartamento e nel porticato antistante.
Si costituiva la ditta, sostenendo che il contratto doveva essere qualificato come contratto d’opera e non come contratto d’appalto; eccepiva quindi la prescrizione annuale dell’azione ex 2226 c.c. e precisava che i lavori svolti dalla sua ditta riguardavano semplici riparazioni della pavimentazione del terrazzo, non la copertura del cordolo, né l’impermeabilizzazione del cornicione.
Si costituiva anche il condomino dell’appartamento soprastante, chiedendo di rigettare la domanda e di essere manlevato dal titolare della ditta.
Il Tribunale qualificava il contratto come appalto; condannava i convenuti in solido al pagamento di una somma, pari al costo dei lavori per l’eliminazione dei danni causati dalle infiltrazioni, e condannava il titolare della ditta a pagare alle attrici la loro quota delle spese da sostenere per eliminare i vizi dell’opera; condannava l’imprenditore a manlevare il condomino convenuto.
All’opposto la Corte di Appello qualificava il contratto in oggetto quale contratto d’opera con conseguente applicazione all’azione contrattuale per vizi dell’opera del termine di un anno dalla consegna previsto dall’art. 2226 c.c.; considerato che i lavori commissionati all’impresa erano stati completati nell’ottobre 2006, era evidente – osservava la Corte – che all’epoca del ricorso per accertamento tecnico preventivo, il 20 agosto 2009, era ormai decorso oltre un anno dalla consegna dell’opera; secondo i giudici di secondo grado perciò la domanda delle attrici contro la ditta edile doveva essere rigettata per prescrizione dell’azione; in ogni caso escludeva la possibilità di applicare l’art. 1669 c.c. (che presuppone l’avvenuta stipulazione di un contratto di appalto) e neppure la responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. dato che le parti erano legate da un vincolo contrattuale e l’azione esercitata aveva le caratteristiche dell’azione contrattuale.
La Cassazione ha ritenuto condivisibile la decisione di secondo grado: secondo i giudici supremi il contratto in questione è stato correttamente qualificato come contratto d’opera. Infatti la Corte d’appello ha ricavato la mancanza di dipendenti dell’impresa dalle risultanze relative agli anni dal 2008 al 2010, evidentemente sulla base di un ragionamento presuntivo, ragionamento rispetto al quale le attrici nulla hanno specificamente contestano. È stato corretto rigettare la domanda delle attrici per prescrizione dell’azione (Cass. civ., sez. II, 09/02/2024, n. 3682).
Nel contratto d’opera Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi occulti al prestatore d’opera entro otto giorni dalla scoperta. L’azione si prescrive entro un anno dalla consegna (2226 c.c., secondo comma).