Decreto ingiuntivo non opposto e opponibilita’ al fallimento: presupposti
Con l’ordinanza n. 8260 del 27 marzo 2024, la Corte di Cassazione si è nuovamente occupata della questione, sempre attuale, relativa ai presupposti affinchè possa essere opponibile al fallimento il decreto ingiuntivo avverso il quale non è stata proposta opposizione.
Venerdi 5 Aprile 2024 |
IL CASO: Sulla scorta di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, non opposto munito di formula esecutiva ai sensi dell’art. 647 c.p.c. successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento dell’ingiunta, una banca depositava istanza di ammissione al passivo, chiedendo il riconoscimento del proprio credito per una consistente somma di denaro in parte in via privilegiata ipotecaria e in parte in via chirografaria.
In sede di verifica dello stato passivo, il credito della banca veniva escluso dal Giudice Delegato. Proposta opposizione allo stato passivo da parte della banca, la stessa veniva parzialmente accolta dal Tribunale, il quale rigettava la domanda, avanzata dalla banca in via principale, tesa ad ottenere l’ammissione del credito in forza di quanto alla stessa riconosciuto con il decreto ingiuntivo in privilegio ipotecario, mentre ammetteva il credito in chirografo richiesto in via subordinata.
Secondo i giudici territoriali, come affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale, con conseguente opponibilità al fallimento, anche ai fini del riconoscimento del privilegio ipotecario iscritto sulla base della provvisoria esecutività concessa ai sensi dell’art. 642 c.p.c., solo con il decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c emesso anteriormente all’apertura della procedura concorsuale.
Pertanto, la banca investiva della questione la Corte di Cassazione, deducendo con un unico motivo l’erroneità della decisione del Tribunale, non avendo quest’ultimo tenuto conto del fatto che il decreto ingiuntivo era passato in giudicato prima della dichiarazione del fallimento dell’ingiunta e che la richiesta dell’esecutorietà definitiva era stata depositata prima di tale evento e concessa successivamente all’apertura della procedura concorsuale. Secondo la banca il Tribunale, per evidenti ragioni di equità e in applicazione di principi di diritto operanti in altri settori del diritto civile (risoluzione, annullamento del contratto) e di canoni interpretativi costituzionalmente orientati (effetti della notifica degli atti), avrebbe dovuto far retroagire la declaratoria di esecutorietà al momento della relativa domanda.
LA DECISIONE: Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione la quale ha ritenuto la decisione impugnata conforme alla giurisprudenza degli stessi giudici di legittimità secondo cui il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’ art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c., e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo.
Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c. venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 l.fall.
Il suddetto principio, hanno osservato gli Ermellini, si afferma anche tutte le volte in cui, come nel caso di specie, l’istanza per ottenere la dichiarazione dell’esecutorietà ex art. 647 c.p.c. sia stata depositata in un momento antecedente alla pronuncia del fallimento dell’ingiunta.
Nel decidere la vertenza, la Cassazione ha ricordato la differenza che intercorre tra il passaggio in giudicato di una sentenza e il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo, osservando che:
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secondo quanto disposto dall’art.. 324 c.p.c., la sentenza si intende passata in giudicato tutte le volte in cui non è più soggetta nè a regolamento di competenza, nè ad appello, nè a ricorso per cassazione, nè a revocazione per i motivi di cui all’art. 395, nn. 4 e 5;
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ai fini della prova del passaggio in giudicato della sentenza, l’art. 124 disp. att. c.p.c. contempla il « ertificato di passaggio in giudicato della sentenza», col quale il cancelliere certifica, in calce alla copia contenente la relazione di notificazione, che non è stato proposto, nei termini di legge, appello, ricorso per cassazione o istanza di revocazione ordinaria per i motivi di cui all’art. 395 c.p.c., nn. 4) e 5);
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il cancelliere certifica in calce alla copia della sentenza, che non è stata proposta alcuna delle dette impugnazioni nel termine lungo di sei mesi ex art. 327 c.p.c.. 2;
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diversamente, il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo non opposto contempla invece un procedimento contenuto nell’art. 647 c.p.c . che è diretto alla declaratoria di esecutorietà del decreto;
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la richiesta di esecutorietà del decreto ingiuntivo è un procedimento spedito e privo di formalità (l’istanza può essere anche verbale), che implica il controllo della notificazione del decreto, del decorso del termine e della mancata opposizione o costituzione nei termini;
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pertanto, il decreto di esecutorietà del decreto ingiuntivo si distingue dalla mera attestazione di cancelleria, cui non può certamente reputarsi equivalente, sia sotto il profilo dell’organo emanante, sia sotto quello del contenuto del controllo, limitato il primo al fatto storico della mancata opposizione decorso il termine perentorio ed il secondo esteso all’accertamento della regolarità della notificazione (art. 643 c.p.c.).
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la suddetta distinzione è sottesa all’ordinanza della Corte costituzionale 28 dicembre 1990, n. 572, che dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 647 c.p.c., in riferimento all’art. 97 Cost., nella parte in cui richiede l’adozione di un provvedimento giudiziale che dichiari l’esecutività del decreto ingiuntivo, in luogo che accontentarsi il legislatore dell’attestazione di cancelleria.
Il momento in cui il decreto ingiuntivo passa in cosa giudicata formale e sostanziale e diventa opponibile al fallimento, hanno concluso, non può che coincidere con la data di emissione del decreto di esecutività con il quale il giudice accerta la regolarità della notificazione del decreto ingiuntivo, rimanendo , quindi, privi di rilievo altri eventi anteriori quali l’attestazione della cancelleria o l’istanza del creditore ingiungente.