Divorzio: nessun automatismo tra la revoca della casa coniugale e diritto all’assegno
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11832/2023, nel ribadire i principi sanciti dalle Sezioni Unite in materia di assegno divorzile, esclude nell’ipotesi in esame qualsiasi automatismo tra il venir meno dell’assegnazione della casa coniugale e il diritto all’assegno.
Martedi 1 Agosto 2023 |
Il caso: Nell’ambito di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio il Tribunale revocava l’assegnazione alla ex moglie Mevia della casa coniugale e poneva a carico di Tizio l’obbligo di versare, con decorrenza dal mese successivo al rilascio della casa coniugale, un assegno divorzile dell’importo mensile di Euro 400,00.
Tizio proponeva appello: la Corte distrettuale respingeva il gravame, rilevando la sussistenza di disparita’ economica tra le parti (2.500,00 Euro mensili contro 1.250,00 Euro mensili) e di diverse professionalita’ dei coniugi, per cui appariva verosimile che Mevia si fosse occupata per la durata dei vent’anni del matrimonio nel tempo libero dal lavoro, della famiglia e dei figli; rilevava altresì che Tizio avrebbe beneficiato dell’utilizzazione della casa coniugale rilasciata dalla moglie e della cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli mentre la ex moglie avrebbe dovuto corrispondere un canone di locazione.
Tizio ricorre in Cassazione, deducendo come primo motivo la violazione e falsa applicazione della L. 898-70, articolo 5 comma 6 in tema di riconoscimento, determinazione e quantificazione dell’assegno di divorzio, per avere il giudice di merito:
– ritenuto ricorrere il presupposto per il riconoscimento dell’assegno di divorzio nella differenza economica tra le due parti, senza porre detto squilibrio in relazione agli altri parametri di legge e, in particolare, alla ricorrenza del contributo fornito dalla donna alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale del coniuge, ossia alla circostanza che lo squilibrio sia dipendente da scelte fatte e condivise durante la vita matrimoniale con il sacrificio di proprie aspettative professionali.
Per la Suprema Corte il motivo è fondato; nel richiamare i principi sanciti dalle Sezioni Unite in tema di assegno divorzile, la Corte rileva quanto segue:
a) è orientamento costante che Il giudice debba quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalita’, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive;
b) di contro, la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, e’ oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno perche’ l’entita’ del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per se’, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze;
c) la Corte di merito, tuttavia si e’ limitata a valorizzare la sperequazione economica esistente tra esse, incrementata dalla riduzione degli oneri di mantenimento dei figli gia’ gravanti sull’ex marito, e dalla revoca dell’assegnazione della casa, commisurando l’assegno al canone di locazione che Mevia dovra’ “verosimilmente” sostenere, cosi’ non correttamente applicando i criteri di valutazione della funzione assistenziale e perequativo-compensativa dell’assegno di divorzio;
d) la Corte di merito avrebbe dovuto verificare in primo luogo se le risorse di cui dispone Mevia siano effettivamente sufficienti a consentirle una vita dignitosa in autonomia – cosa ben diversa dal mantenimento del tenore di vita matrimoniale- e segnatamente se i suoi mezzi fossero sufficienti alla soddisfazione (anche) delle primarie esigenze abitative, e se ella fosse nella oggettiva impossibilita’ di procurarseli, e non gia’ semplicemente valorizzare la circostanza che dovra’ sostenere una spesa dalla quale prima era esente;
e) la Corte di merito si è limitata a mettere in relazione il venir meno della assegnazione della casa coniugale con il dovere di Tizio di corrispondere alla ex moglie una somma sufficiente a coprire i costi di un canone di locazione, senza valutare che l’assegnazione della casa coniugale ha la finalita’ di assicurare l’habitat domestico dei figli minorenni o privi di autonomia economica e non gia’ a beneficiare economicamente l’ex coniuge, pur se si tratta un’utilita’ suscettibile di apprezzamento economico;
f) questa utilita’ – e cioe’ il risparmio di spesa per l’abitazione personale- e’ una conseguenza in punto di fatto dell’assegnazione della casa familiare, ma non puo’ fondare alcun automatismo tra la revoca dell’assegnazione e il riconoscimento di un contributo economico in favore di colui che perde questo diritto personale di godimento;
g) diversamente ragionando si riconoscerebbe un assegno divorzile anche al soggetto dotato di mezzi adeguati per il sol fatto che la revoca dell’assegnazione ne comporta un impoverimento, senza valutare se abbia risorse sufficienti a provvedere da se’ e ricollegando la sopravvenuta sperequazione delle condizioni economiche non gia’ ai sacrifici sostenuti nell’interesse della famiglia, ma alla circostanza -peraltro fisiologica- che ad un determinato momento cessano gli obblighi di mantenimento e cura nei confronti dei figli.