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È sufficiente il possesso esclusivo per acquisire per usucapione i beni comuni?

Con sentenza emessa in data 29 dicembre 2022, n. 38088, la Corte di Cassazione, Sezione II, si è pronunciata su sette motivi di censura rinvenienti da azione intentata da una condomina, proprietaria di un appartamento facente parte di uno stabile condominiale, nei confronti del condominio e di tutti i condòmini, con la quale aveva chiesto di essere dichiarata proprietaria esclusiva per usucapione di una parte dell’area di proprietà comune, antistante il lato est del proprio immobile, assumendo di averla posseduta con animo proprietario e ininterrottamente dal 1967.

Usucapione: la vicenda

Il Tribunale rigettava la domanda dell’attrice, in ordine il riconoscimento dell’usucapione della parte condominiale, ritenendo non provato il possesso ad excludendum per il ventennio di legge.

Avverso tale pronuncia l’appellante proponeva gravame innanzi alla Corte d’Appello di Milano.

Anche il giudice di appello territorialmente competente rigettava l’appello con sentenza depositata il 16.11.2016 e confermava in toto la decisione di primo grado.

Avverso la decisione del giudice del gravame, la ricorrente proponeva ricorso in cassazione adducendo sette motivi. Resistevano gli appellati con controricorso.

I motivi del ricorso

Il primo motivo. La ricorrente denunciava la falsa applicazione degli artt. 1140 e 1158 c.c., lamentava l’erroneità della sentenza per non avere tenuto conto della circostanza decisiva che l’area in parola, facente parte di un giardino condominiale, era interdetta all’accesso di tutti i condòmini, poiché al giardino, per regolamento condominiale, risultava assegnato il solo scopo di “mero godimento estetico”.

Il secondo motivo e terzo motivo. Si deduceva, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.

Il quarto motivo. Si deduceva, evocando il n. 5 dell’art. 360 c.p.c., che la Corte locale aveva confermato le scelte istruttorie del Tribunale, il quale non aveva ammesso la prova per testi sulla circostanza riportata in ricorso in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 1138 c.c. e la “conseguente errata e falsa interpretazione dell’opponibilità ed efficacia del regolamento di supercondominio predisposto dall’originario costruttore e venditore“.

Il quinto motivo. La ricorrente si duoleva della mancata ammissione dei capitoli di prova, attraverso i quali intendeva dimostrare di avere sostenuto spese per la manutenzione dell’area rivendicata, nonché, ancora una volta, denunciava l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo.

Il sesto e il settimo motivo. Si deduceva, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, come il secondo e terzo motivo.

La Cassazione esaminando i motivi del ricorso li riteneva tutti inammissibili.

Il possesso esclusivo è necessario per l’usucapione

Gli ermellini precisavano che il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo (“uti dominus”), non ha la necessità di compiere atti di “interversio possessionis” alla stregua dell’art. 1164 c.c., dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed “animo dominidella cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore (Cass. civ. sez. II, 12 aprile 2018, n. 9100).

Intenzione inequivocabile di detenere il bene

La Suprema Corte ha ulteriormente precisato che in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva (Cass. civ. sez. II, 09 giugno 2015, n. 11903).

Mancanza dei presupposti: possesso esclusivo

Nella fattispecie posta al vaglio della Cassazione, la stessa rilevava che l’area giardino in questione non era stata recintata dalla predetta ricorrente; tra l’altro, il Condominio aveva curato la manutenzione di tutto il giardino e le chiavi erano nella detenzione del portiere.

In definitiva, gli “abusi” riferiti dalla ricorrente, di per sé, non costituivano manifestazione inequivoca di possesso esclusivo ad excludendum.

Usucapione di un bene comune: quando e’ possibile?

Principio di diritto: inesistenza dell’usucapione per mancanza di esclusione degli altri comproprietari.

La Corte milanese dimostra piena consapevolezza dei principi che reggono la materia, avendo applicato il principio in diritto più volte applicato dalla Corte di Cassazione secondo cui: “il comproprietario pro indiviso che pretenda di aver usucapito il bene deve dimostrare, non solo di averne goduto in via d’esclusività (il che non è incompatibile con la propria posizione di titolare quotista, il quale può fruire anche di tutte le utilità del bene, ove gli altri comproprietari non dissentano e non rivendichino, a loro volta concorrente fruizione), ma di averlo fatto escludendo gli altri comproprietari, cioè apertamente contrastando il loro comune diritto, così da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti con dominus” (ex multis, Cass. civ. sez. II, 20 agosto 2002, n. 12260; Cass. civ. sez. II, 28 aprile 2006, n. 9903; Cass. civ. sez. II, 20 settembre 2007, n. 19478; Cass. civ. sez. II, n. 19478; Cass. civ. sez. II, 27 luglio 2009, n. 17462).

Inammissibilità dell’esame del merito della contesa

Per completezza, la Cassazione sottolinea che attraverso la denunzia di violazione di legge la ricorrente sollecitava la disamina nel giudizio di legittimità di aspetti afferenti al merito della causa, operato dal giudice di merito, non rientrante nel riesame del giudizio di legittimità (vedi Cass. civ. S.U. 12 novembre 2020, n. 25573).

In conclusione, la Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei contro ricorrenti.

Sentenza
Scarica Cass. 29 dicembre 2022 n. 38088

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