Ex Ilva condannata a risarcire i danni ai proprietari degli immobili vicini allo stabilimento
“Risulta accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, lo spandimento sistematico di polveri minerali che si depositano ( e continuano a depositarsi) su abitazioni e strade del quartiere Tamburi”.
Giovedi 22 Luglio 2021 |
Con la sentenza n. 18810 del 28 gennaio 2021, depositata lo scorso 2 luglio 2021, la Terza Sezione Civile della Cassazione, in riferimento al risarcimento danni degli immobili, vicini allo stabilimento siderurgico ex Ilva, ha confermato le decisioni di primo e di secondo grado, (rispettivamente del 2014 e del 2018), evidenziando l’esistenza di un danno da compressione del diritto dominicale, scaturente dalla ridotta possibilità di godimento degli immobili generatasi dalla perenne esposizione degli stessi al fenomeno di immissioni di polveri minerali.
La Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la decisione del Tribunale, il quale aveva condannato l’Ilva S.p.A – in amministrazione straordinaria dal 2015 – al risarcimento danni subìti da un gruppo di cittadini proprietari degli appartamenti ubicati nel quartiere Tamburi, in prossimità dello stabilimento, a causa dei danni scaturenti dalla compressione del diritto di proprietà da intendersi come “diritto a godere in modo pieno ed esclusivo di un bene”, quantificato, in via equitativa, in un importo pari al 20% del valore degli immobili al momento della domanda.
Secondo la Cassazione, in tema di immissioni, la Corte territoriale ha correttamente interpretato il principio di diritto secondo il quale l’art. 844 cod. civ., impone l’obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall’uso delle proprietà attuato nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio.
Al di fuori di siffatto ambito, l’attività è da considerarsi illegittima e, di conseguenza, non trova giustificazione l’imposizione di un sacrificio all’altrui diritto di proprietà e di godimento e, pertanto, non sono applicabili i criteri di normale tollerabilità dettati dal succitato articolo in quanto assume rilevanza solamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, rientrando, perciò, nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 cod. civ.
A parere della Corte, il danno conseguenza non è in re ipsa ma va, necessariamente, provato ed allegato. A supporto rinvia ad un suo precedente (Cass. SS. UU., n. 576/2008, in materia di responsabilità da trasfusione da sangue infetto), nel quale si affermava che, nell’ipotesi in cui sussista solo il fatto lesivo ma non vi sia un danno-conseguenza, non si origina una obbligazione risarcitoria.
Al contrario, nel caso di specie, vi è obbligazione risarcitoria in quanto la compromissione dominicale è un danno conseguenza di natura patrimoniale perchè suscettibile di valutazione economica a causa della limitazione del godimento degli immobili in ragione della ridotta possibilità di arieggiamento degli appartamenti: “l’accertata limitazione della facoltà di godimento è, infatti, indubitabilmente esso stesso un danno conseguenza, comportando una grave compromissione dei poteri ( e correlativamente delle situazioni di vantaggio) che concretano il contenuto del diritto di proprietà”.
La mancanza di un danno non patrimoniale scaturente dalle immissioni intollerabili non esclude la configurabilità di un danno risarcibile di carattere patrimoniale come conseguenza dell’illecito rappresentato dalle immissioni medesime. Inoltre, l’assenza di danni materiali da deterioramento alle strutture degli edifici o di un danno da deprezzamento commerciale dell’immobile non comporta anche l’esclusione della possibilità di apprezzare un danno patrimoniale da perdita di talune significative facoltà di godimento valutabili economicamente quanto meno dal punto di vista del valore d’uso. Dalle indagini chimiche e mineralogiche condotte nei precedenti gradi di giudizio, sulle polveri raccolte presso gli immobili dei proprietari, è emerso l’identicità, nella composizione chimica, rispetto a quelle raccolte presso i parchi minerali dello stabilimento siderurgico.
Risulta, pertanto, inequivocabilmente provato che gli immobili de quo sono stati aggrediti per decenni dalle immissioni di polveri provenienti dallo stabilimento Ilva e che tali immissioni hanno superato la normale tollerabilità.
Nel corso dei decenni, polveri e fumi hanno gravemente compromesso sia la vivibilità degli appartamenti, sia l’eventuale possibilità di metterli in vendita sul mercato immobiliare, a causa del tracollo della valutazione economica. Per questi motivi, la Cassazione ha rigettato in toto il ricorso presentato dall’Amministrazione Straordinaria Ilva, confermando la correttezza delle sentenze di primo e di secondo grado e, in aggiunta, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite ed al versamento di una somma pari al contributo unificato già versato.
E’ di questi giorni la notizia secondo la quale tra gli emendamenti approvati dalla Camera dei deputati al Decreto Sostegni bis, vi sia l’istituzione di un Fondo da 5 mln di euro per l’anno 2021 e di 2,5 mln per l’anno 2022, finalizzato proprio all’indennizzo degli immobili di Taranto danneggiati dalle polveri siderurgiche dell’ex Ilva, indennizzo che dovrà mantenersi nei limiti del 20 % del valore di mercato dell’immobile al momento della domanda e, in ogni caso, “non superiore ad € 30.000,00”.
Tuttavia il fondo è riservato solamente ai proprietari degli immobili “con sentenza definitiva di risarcimento danni” e, pertanto ne rimarranno fuori tutte le famiglie proprietarie che non hanno ottenuto alcun risarcimento a causa dell’ammissione di Ilva S.p.A alla procedura di Amministrazione Straordinaria che, come sappiamo, preclude la prosecuzione di azioni giudiziarie nei confronti della società.