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Forme di controllo datoriale addizionali al cd. controllo a distanza

1. Premessa

Si fa seguito al nostro precedente articolo nel quale abbiamo preso in esame la tipologia del controllo datoriale sull’attività dei lavoratori, individuata nel cd. “controllo a distanza” (e limiti e condizioni di legittimità del medesimo) – legislativamente disciplinato dall’art. 4, L. n. 300/’70 (cd. Statuto dei lavoratori) e successive modifiche – per completare la trattazione con riferimento specifico alle ulteriori, addizionali, tipologie di controllo datoriale nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato.

Quest’ultime individuabili: a) nel controllo tramite le guardie giurate (e/o i cd. vigilantes) e le private agenzie investigative, ex art. 2 e 3, L. n. 300/’70, b) nel controllo dello stato di malattia dei lavoratori, ex art. 5, L. n. 300/’70, c) nel controllo effettuabile tramite le cd. visite personali, ex art. 6, L. n. 300/’70.

Per necessaria comprensione, di seguito si riporta il contenuto degli articoli precitati:

Art. 2. Guardie giurate.

Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, numero 773 , soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale.

Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale.

È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma. (Omissis).

Art. 3. Personale di vigilanza.

I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.

Art. 5. Accertamenti sanitari.

Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.

Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.

Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.

Art. 6. Visite personali di controllo.

Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti.

In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.

Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni di cui al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro. (Omissis).

2.Il controllo tramite vigilanti interni, guardie giurate, agenzie investigative

Il controllo sul regolare adempimento della prestazione lavorativa è un diritto del datore di lavoro che può:

– effettuarlo direttamente;

– farlo effettuare dalla sua organizzazione gerarchica;

– decidere di utilizzare addetti alla vigilanza il cui controllo andrà comunque ad aggiungersi a quello dei superiori gerarchici. Il controllo da parte di quest’ultimi è legittimato espressamente dall’art. 3 della L. n. 300/70 (cd. Statuto dei lavoratori), previa comunicazione ai lavoratori dei nominativi degli addetti alla vigilanza interna nonché delle mansioni specifiche da quest’ultimi svolte; pubblicità normalmente adempiuta dal datore di lavoro mediante affissione dei nominativi in bacheca aziendale, esposta in luogo accessibile al tutto il personale.

L’art. 2 dello Statuto dei lavoratori conferisce, poi, al datore di lavoro analoga facoltà di controllo tramite le guardie giurate, tuttavia in forma circoscritta alla tutela del patrimonio aziendale, per cui le guardie giurate – a differenza dei superiori gerarchici – non possono effettuare rilievi afferenti alle modalità di disimpegno dell’attività lavorativa, dovendosi limitare a contestare, eventualmente, ai lavoratori solo ed esclusivamente fatti, azioni e comportamenti pregiudizievoli dell’integrità e salvaguardia del patrimonio aziendale.

Ne consegue che è quindi vietato al datore di lavoro:

– di adibire le guardie giurate al controllo dell’attività lavorativa;

– nonché di farle accedere nei luoghi e locali in cui si svolge la prestazione lavorativa.

Alle guardie giurate l’accesso ai luoghi di lavoro, in orario di lavoro è, pertanto, consentito, solo per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di tutela del patrimonio aziendale di cui sono investite, mentre possono liberamente accedervi al di fuori dell’orario di lavoro, sempre per le sole finalità di salvaguardia del patrimonio aziendale.

Peraltro la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che le guardie giurate possono essere utilizzate dal datore di lavoro per effettuare «controlli occulti» finalizzati ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori che esulano dalla normale attività lavorativa, anche se posti in essere durante lo svolgimento della prestazione lavorativa.

A fortiori per la Cassazione (i) sono legittimi – in quanto ritenuti estranei agli articoli 2 e 3 della legge n. 300/1970 (cd. Statuto dei lavoratori) – i cd. «controlli difensivi» conferiti a dipendenti di agenzie investigative, esclusivamente finalizzati – non già al controllo della prestazione lavorativa, ma – al riscontro della eventuale commissione di comportamenti illeciti dei dipendenti medesimi.

Dalla casistica giurisprudenziale si desume che il ricorso alle agenzie investigative viene, di norma, commissionato dalle aziende per l’accertamento dei seguenti comportamenti illeciti dei dipendenti:

lo svolgimento di altra attività lavorativa durante l’assenza per malattia o infortunio, con l’effetto di attestarne l’inconsistenza o lo stato di incapacità lavorativa (cfr. Cass., n. 12810/2017;

l’uso improprio dei permessi ex art. 33, L. n. 104/1992 (Cass., nn. 9749/2016 4984/2014);

la falsa attestazione della presenza in servizio ((Cass., n. 14975/2018);

il furto di beni aziendali (Cass. nn. 10636/2017 e 25674/2014)

prestazione di lavoro a favore di terzi (Cass.,nn. 5269 e 14383 del 2000), anche violando il patto di non concorrenza (Cass., n. 14975/2018).

Hanno statuito, al riguardo, Cass. 4 settembre 2018 n. 21621 e Cass. 25 dicembre 2014 n. 25674 che: «le agenzie investigative, per operare lecitamente, non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospettoii o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590)».

In caso di controlli per l’accertamento di furti negli esercizi commerciali da parte dei dipendenti infedeli, la Cassazione (iii) ha, tuttavia, condizionato la legittimità di tali controlli occulti per la salvaguardia del patrimonio aziendale, al fatto che gli investigatori privati – per verificare la commissione di illeciti (es., cd. “mancata battuta di cassa” dell’addetto alla riscossione, con conseguente appropriazione di somme non registrate in scontrino) – si comportino alla stregua dei normali clienti. A tal fine limitandosi a presentarsi alla cassa con la merce acquistata e pagando il relativo prezzo per verificare l’eventuale mancata registrazione da parte del cassiere della somma incassata, astenendosi dal ricorrere a controlli invasivi, capziosi, subdoli e degradanti.

Una volta che, da parte degli investigatori privati, siano state osservate queste cautele, da parte della giurisprudenza di Cassazione viene considerato legittimo il ricorso ai «controlli occulti», commissionati dal datore di lavoro ad un’agenzia investigativa contro attività fraudolente o penalmente rilevanti dei dipendenti (iv), per la cui attivazione non è necessario che gli illeciti siano già stati commessi, sufficiente risultando il solo sospetto o anche la mera ipotesi che gli illeciti siano suscettibili di essere posti in atto (v).

3.Il controllo dello stato di malattia dei lavoratori

Ai sensi dell’art. 5, Stat. lav., sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità al lavoro e sull’ infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.

Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.

Il datore di lavoro ha la facoltà di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.

Il datore di lavoro non può, dunque, compiere direttamente gli accertamenti sull’assenza del lavoratore per malattia e infortunio, ma deve ricorrere al controllo imparziale di medici del servizio sanitario pubblico.

La visita di controllo è attivata con specifica richiesta inoltrata in modalità telematica all’INPS.

A seguito del controllo, il medico della Asl può confermare la prognosi, ridurre la prognosi o accertare la capacità lavorativa ed in tal caso, se il lavoratore non contesta il controllo, può essere avviato al lavoro in azienda il giorno dopo, anche se non lavorativo. La contestazione del lavoratore deve essere contestuale ed in questo caso è invitato a visita ambulatoriale il primo giorno successivo.

L’assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia, benché possa dar luogo a sanzioni – quali la perdita del trattamento economico, comminate per violazione dell’obbligo di reperibilità facente carico sul lavoratore medesimo durante le cd. fasce orarie (che, per il settore privato, vanno dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 di tutti i giorni, festivi inclusi) – non integra, di per sé, un inadempimento sanzionabile con il licenziamento, laddove la cautela della permanenza in casa, anche se prescritta dal medico, non sia necessaria ai fini della guarigione e della conseguente ripresa dell’attività lavorativa (vi).

Nel caso in cui il dipendente si sottragga al controllo della malattia – fatte salve le sanzioni Inps relative alla perdita dell’indennità di malattia – il datore di lavoro può irrogare una sanzione disciplinare per violazione dei doveri di correttezza e diligenza, di cui agli artt. 1175 e 1176 cod. civ. (vii).

Tuttavia, il lavoratore può sempre giustificare la propria assenza al momento della visita di controllo da parte del medico dell’Inps, ma affinché tale assenza risulti giustificata, è necessario che lo stesso dimostri (viii):

– che l’assenza era conseguente all’effettuazione di una visita medica, anche specialistica;

– di non aver potuto fissare tale visita al di fuori delle cosiddette fasce orarie di reperibilità.

Diversamente è irrogabile la sanzione espulsiva laddove il comportamento del lavoratore sia in grado di far presumere l’inesistenza della malattia e, dunque, la violazione da parte del lavoratore degli obblighi generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.

Al riguardo la Cassazione ha, in particolare, rilevato che «è legittimo il licenziamento del dipendente, assente per malattia, che svolga altra attività lavorativa, quando l’attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, ma anche nell’ipotesi in cui la medesima attività, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio» (ix).

In applicazione di tale principio, la giurisprudenza di legittimità ha, ad esempio, considerato legittimo il licenziamento di un dipendente sorpreso a lavorare nel proprio fondo agricolo durante un periodo di prolungata assenza dal servizio per lombalgia (x).

Come abbiamo anticipato in precedenza – trattando del ricorso aziendale a controlli commissionati ad investigatori privati – la giurisprudenza ha riconosciuto legittimo, per il datore di lavoro, il ricorso a terzi, ivi inclusa un’agenzia investigativa, per verificare circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia (cfr. Cass. n. 6236 del 3.5.2001).

Infatti, al datore di lavoro è altresì pacificamente riconosciuto il potere di procedere – al di fuori delle verifiche di tipo sanitario – ad accertamenti di circostanze di fatto che possano dimostrare l’insussistenza della malattia, e, in particolare, ad accertamenti inerenti allo svolgimento di un’altra attività lavorativa, valutabile anche quale illecito disciplinare sotto il profilo della violazione del dovere del lavoratore di non pregiudicare la guarigione o il tempestivo rientro in servizio.

Il divieto di ricorso a medici privati di fiducia dell’azienda per l’effettuazione degli accertamenti sanitari, non attiene solo ai lavoratori dipendenti ma altresì ai candidati aspiranti all’assunzione.

Pertanto anche le cd. visite preassuntive debbono essere affidate ai servizi sanitari pubblici o al cd. “medico competente” dell’azienda. Dopo iniziali incertezze, in giurisprudenza, tale estensione agli aspiranti all’assunzione si è consolidata per effetto delle argomentazioni di Cass. pen. n. 1133 del 27.1.1999 la quale evidenziò, convincentemente, come il dettato normativo dell’art. 5, Stat. lav., usando l’espressione generica di «lavoratore» in contrapposizione a quella di «lavoratore dipendente», utilizzata nel comma 1 dell’art. 5 – e per giunta con riguardo alla «idoneità fisica del lavoratore», che è requisito proprio di chi aspira al lavoro – rende manifesto che la disposizione del comma 3, anche per quanti aspirassero all’assunzione, demanda il controllo alle apposite strutture pubbliche, le sole deputate agli «accertamenti sanitari».

A seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., nei casi in cui è obbligatoria la sorveglianza sanitaria, il datore di lavoro è obbligato ad effettuare la visita preassuntiva e può decidere se farla fare dal “medico competente” aziendale o dai dipartimenti medici di prevenzione delle Asl (art. 41, comma 2, lett. e-bis e comma 2-bis, D.Lgs. n. 81/2008). Visita che, peraltro, deve solo limitarsi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica (art. 41, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008).

4. Il controllo tramite ispezioni personali

Le visite sulla persona del lavoratore sono ammesse solo laddove indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti (art. 6, Stat. lav.).

Al di fuori della tutela del patrimonio aziendale, le visite di controllo sui lavoratori sono, dunque, vietate.

Circa la problematica se il divieto riguardi solo la persona del lavoratore ovvero si estenda anche alle cd. pertinenze del medesimo (borse, borselli, valigie ecc.), si registrano dissensi in giurisprudenza.

La più vecchia Cass. pen. 19 novembre 1984, n. 5902 (e la giurisprudenza successiva che ha aderito ad essa) ritiene – superando il dettato formale di “visite personali” su cui si fonda l’opposta opinione restrittiva sostenuta da Cass. 10 febbraio 1988, n. 1461 – che la nozione di “persona” vada ben oltre la mera identificazione dell’elemento corporeo, implicando, per converso, il riferimento ad una realtà composita che, in quanto tale, necessita di un’indagine non ristretta al dato letterale, comportando una valutazione di più ampio respiro. L’orientamento sostenuto da tale sentenza, ritiene, pertanto che il termine «personale» indichi tutto quanto risulta nella diretta disponibilità del lavoratore e, conseguentemente, afferma che l’art. 6 dello Statuto, debba estendersi anche a quegli effetti personali (come portafogli, borsette, borselli) che possono essere considerati come diretta pertinenza della persona, ed appartenenti al normale utilizzo di accessori dell’abbigliamento, sulla base delle ordinarie abitudini o mode.

In senso contrario si esprime, invece, la più recente Cass. n. 14197 del 7 agosto 2012, secondo la quale:«Quanto all’ambito di applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 6, questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 1461/88) che l’art. 6 cit. – nel prevedere i casi in cui sono consentite, ai fini della tutela del patrimonio aziendale, le visite personali di controllo sul lavoratore – riguarda unicamente le ispezioni corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore, atteso che la norma citata – da interpretarsi letteralmente – contempla solo la “visita personale”, che nell’ordinamento processuale sia civile (art. 118 c.p.c.) che penale (artt. 244-246 c.p.p.) è tenuta distinta dall’ispezione di cose e luoghi».

Ad ogni buon conto, il legislatore – al fine di tutelare la dignità e la riservatezza del lavoratore – ha stabilito che tali visite possono essere effettuate solo all’uscita dei luoghi di lavoro e con l’applicazione di sistemi di selezione automatica (cd. “imparziali”), al fine di evitare discriminazioni.

Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché le relative modalità, devono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In mancanza di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro (ora Direzione territoriale del lavoro).

Contro i provvedimenti della Direzione territoriale del lavoro, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna oppure i sindacati, possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministero del lavoro.

Il carattere di “indispensabilità” per la tutela del patrimonio aziendale deve essere valutato con un’attenta considerazione sia dei diversi mezzi di controllo tecnicamente e legalmente attuabili in via alternativa, sia dell’intrinseca qualità delle cose da tutelare, sia della possibilità per il datore di lavoro di prevenire eventuali ammanchi mediante adeguate registrazioni dei movimenti delle merci nonché mediante l’adozione di misure atte a disincentivare gli ammanchi stessi e a favorire, invece, la condotta diligente e fedele dei dipendenti (xi), talché questa forma di controllo è attivabile quale extrema ratio.

In ogni caso, anche quando siano assolutamente indispensabili, le visite personali di controllo sul lavoratore non possono essere tali da valicare i limiti della riservatezza personale e cioè del riserbo e dell’intimità dell’individuo, il cui superamento è consentito agli organi pubblici in relazione ad imprescindibili esigenze di sicurezza e di attuazione dell’ordinamento giuridico positivo.

Non sono, pertanto, ammissibili, quelle visite personali che si risolvono in un’ingerenza nell’intimità anche fisica del soggetto, come forme di perquisizione o d’ispezione tali da poter creare nel dipendente un senso di particolare disagio, se non anche di degradazione psicologica.

Ne consegue che il rifiuto del lavoratore di sottoporsi a visite che superano i limiti anzidetti, non legittima l’applicazione di sanzioni disciplinari nei suoi confronti (xii).

Prof. Mario Meucci – Giuslavorista

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Note

i)Per tutte, vedi le recenti Cass., sez. lav., 4.9.2018, n. 21621, Cass. 4.4. 2018 n. 8373 e Cass. 7.8.2012 n. 14197.

ii) Così Cass. nn. 4984/2014 e 15094/2018.

iii) Ex plurimis, Cass. 4 dicembre 2014 n. 25674, Cass. 27.11.2012 n. 20613, Cass. 3.11.1997 n. 10761 e Cass. 23.8.1996 n. 7776.

iv) Così, tra le altre, Cass., 22.12.2009 n. 26991.

v) Cfr. Cass., sez. lav.,4.9.2018, n. 21621, Cass. 4.4.2018 n. 8373, Cass. 9.7.2008 n. 18821 e Cass. 8.6.2011 n. 12489.

vi) Cfr. Cass. 6.7.1988 n. 4448.

vii) Cfr. Cass. 14.6.1985 n. 3587.

viii) Cfr. Cass. 20.2.2007 n. 3921, e Cass. 23.11.2004 n. 22065.

ix) Cfr. Cass., 6.6.2005, n. 11747; Cass., 24.4.2008, n. 10706.

x)Cfr. Cass., 3.12.2002, n. 17128)

xi) Cfr. Cass., 19.11.1984, n. 5902.

xii) Ancora, in tal senso, Cass., 19.11.1984, n. 5902.

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