Furto in abitazione e furto semplice: differenze e normativa applicabile
La Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 48890/2022 individua la fattispecie di reato entro cui inquadrare il furto commesso da una colf all’interno dell’abitazione della persona assistita.
Giovedi 12 Gennaio 2023 |
Il caso: la Corte d’appello di Napoli confermava la condanna di Mevia per il reato di furto in abitazione pluriaggravato consistito nella sottrazione di abiti e valori nell’abitazione privata ove la stessa prestava servizio in qualità di collaboratrice domestica.
Mevia tramite il proprio difensore ricorre in Cassazione, lamentando vizi di motivazione con riferimento alla riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 624-bis c.p. anziché dell’art. 624 c.p., come originariamente contestato.
Secondo la ricorrente, i giudici di merito, senza aver mai ricostruito adeguatamente i segmenti dell’azione delittuosa, avrebbero erroneamente ricondotto la condotta posta in essere da Mevia nella fattispecie del furto in abitazione senza considerare che la stessa non si è mai introdotta nell’appartamento della persona offesa al fine di commettere i furti, come richiesto per la configurabilità del reato di furto in abitazione, ma per svolgere la sua regolare attività di collaboratrice domestica a cui era preposta, approfittando poi di tale occasione per impossessarsi dei beni di cui le viene contestata la sottrazione.
Per la cassazione il motivo è fondato; sul punto chiarisce quanto segue:
a) l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 624 bis c.p., derivante dalla riqualificazione legislativa dell’aggravante già prevista dall’art. 625 c.p. quale figura autonoma di reato, prevede come elemento specializzante rispetto al furto comune l’introduzione in un luogo destinato a privata dimora, la quale per costante giurisprudenza deve essere intesa come qualsiasi luogo in cui la persona si trattenga per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata, che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare;
b) ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione è altresì necessario che sussista un nesso finalistico e non un mero collegamento occasionale fra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, non risultando sufficiente che l’agente abbia commesso il furto approfittando dell’occasione di trovarsi nell’abitazione altrui, ma essendo invece necessario abbia fatto ingresso nel luogo di privata dimora al precipuo fine di sottrarre il bene;
c) analogamente, non può neppure ritenersi integrato il reato di cui all’art. 624-bis c.p. da colui che si impossessi dei beni mobili dopo essersi introdotto nell’abitazione del soggetto passivo con il consenso del medesimo;
d) nel caso in esame, non è emerso in nessun caso che Mevia si sia mai introdotta nell’abitazione della persona offesa col fine specifico di sottrarre i gioielli in oro, i monili o i vestiti, ma che al contrario la stessa si recava regolarmente presso l’abitazione della persona offesa con il suo consenso e per espletare l’attività di collaboratrice domestica.
Decisione: Qualificato il fatto ai sensi degli articoli 624 e 61 n. 7 e 11 c.p., annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.