I criteri di liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica per il disoccupato
Con l’ordinanza n. 4289/2024 la Corte di Cassazione si pronuncia in merito ai criteri di liquidazione del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica subita dal danneggiato in stato di temporanea disoccupazione.
Lunedi 29 Aprile 2024 |
Il caso:Il Tribunale di Busto Arsizio,condannava l’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale e il dott. Caio, in solido tra loro, a risarcire a Tizio i danni da questi subìti a seguito della imprudente ed imperita esecuzione di un intervento chirurgico, da cui era derivata l’impossibilità per Tizio di mantenere posture fisse prolungate ed esigenze ravvicinate di minzione.
Il Tribunale liquidava il danno non patrimoniale nell’importo di Euro 120.000, accoglieva parzialmente il capo di domanda relativo al danno patrimoniale emergente da spese mediche e rigettava quello relativo al danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, formulato sul presupposto che il danneggiato (di anni 32 al tempo dell’intervento chirurgico) non avrebbe potuto continuare a svolgere l’attività lavorativa di autotrasportatore che aveva sempre esercitato.
La Corte d’appello di Milano – adita con impugnazione principale dall’Azienda Sanitaria e dal professionista e con impugnazione incidentale dal danneggiato – rigettava la prima e accoglieva parzialmente la seconda, aggiungendo alla somma di Euro 120.000 quella di Euro 40.000 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa.
La Corte territoriale motivava la decisione rilevando che:
a) Tizio aveva provato sia il reddito derivante dall’attività di autotrasportatore (che aveva sempre svolto) anche negli anni 2009 e 2010 (mediante produzione delle relative dichiarazioni dei redditi), sia di avere ricevuto una proposta di assunzione come autista nel novembre 2010 (allorché versava in stato di temporanea disoccupazione) che non aveva potuto accettare proprio a causa delle condizioni di salute in cui si era venuto trovare dopo l’intervento chirurgico;
b) peraltro, l’incapacità lavorativa non era assoluta, in quanto il CTU aveva chiarito che, sebbene non potesse continuare a svolgere l’attività di autotrasportatore, tuttavia Tizio avrebbe potuto svolgere altri lavori, purché non comportanti posture obbligate protratte o un importante impegno fisico.
Tizio ricorre in Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, che la Corte d’appello avrebbe dovuto liquidare il danno patrimoniale futuro (certo) da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica mediante le necessarie operazioni di capitalizzazione, tenendo conto della misura del reddito, del grado di incapacità del 100% e degli anni di vita lavorativa, anziché procedere alla liquidazione equitativa in proporzione al danno non patrimoniale.
La Suprema Corte, nel ritenere fondati i motivi di impugnazione, rileva quanto segue:
1) va ricordato il principio secondo il quale, ai fini della liquidazione del danno da perdita o riduzione della capacità lavorativa di un soggetto adulto che, al momento dell’infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato, il giudice del merito, nel procedere con equo apprezzamento delle circostanze del caso, deve chiedersi: a) se possa ritenersi che la vittima, qualora fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale; b) se i postumi residuati dall’infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale del danneggiato;
2) nel caso in esame la Corte territoriale, in modo contraddittorio, non ha tenuto conto, nella liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, delle retribuzioni che Tizio avrebbe potuto conseguire in base all’attività lavorativa perduta a causa dell’illecito, ma, al contrario, ha indebitamente attribuito rilievo negativo alla situazione di disoccupazione e alla residua capacità lavorativa generica indicata nella relazione peritale ed ha liquidato irragionevolmente il danno patrimoniale di cui era stato invocato il ristoro nella misura di un terzo del danno non patrimoniale già liquidato dal primo giudice;
Da ciò discende il seguente principio di diritto:
“In applicazione del principio dell’integralità del risarcimento sancito dall’art. 1223 cod. civ., la necessità che il danno da perdita della capacità lavorativa specifica sia liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell’attività lavorativa andata perduta a causa dell’illecito o dell’inadempimento (salva l’esigenza di tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere un’altra attività lavorativa retribuita), sussiste non solo nell’ipotesi di cessazione di un rapporto lavorativo in atto al tempo dell’evento dannoso, ma anche nell’ipotesi in cui la vittima versi in stato di disoccupazione, ove si tratti di disoccupazione involontaria e incolpevole, nonché temporanea e contingente, sussistendo la ragionevole certezza o la positiva dimostrazione che il danneggiato, qualora fosse rimasto sano, avrebbe stipulato un nuovo rapporto di lavoro avente ad oggetto la medesima attività lavorativa o comunque una attività confacente al proprio profilo professionale”.