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I messaggi inviati tramite Instagram e Fb non integrano il reato di molestia.

Non è ravvisabile la molestia nel caso di messaggi inviati mediante le applicazioni Instagram e Facebook, le cui notifiche dei messaggi in arrivo possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che li riceve.

Venerdi 6 Ottobre 2023

In tal senso si è espressa la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 40033 del 3 ottobre 2023, dopo ampia disamina dell’iter giurisprudenziale in merito all’ applicabilita’ dell’art. 660 c.p. alla molestia o disturbo arrecati mediante l’utilizzo della rete internet.

Il caso: la Corte d’appello di Caltanissetta, riformando la pronuncia di primo grado emessa in rito abbreviato dal Tribunale di Caltanissetta, e riqualificato il fatto, originariamente contestato come reato previsto e punito dall’articolo 612-bis c.p., in quello dell’articolo 660 c.p.,condannava Mevia alla pena di mesi 2 di arresto per avere inviato una richiesta di amicizia sul profilo facebook dei figli naturali, per aver inviato messaggi dello stesso tipo ai genitori adottivi di questi, per aver successivamente contattato tramite facebook ed instagram la nonna paterna adottiva dei minori, e per aver postato sempre su facebook e instagram fotografie ritraenti i propri figli naturali insieme ai genitori adottivi, fotografie su cui aveva apposto la frase di testo “i miei figli”.

Mevia ricorre in Cassazione, deducendo inosservanza dell’art. 660 c.p. in quanto

a)  la norma in esame prevede che il mezzo dell’azione molesta sia il telefono; la giurisprudenza di legittimita’ ha ritenuto che allo strumento del telefono possano essere equiparati altri mezzi di trasmissione, purche’ abbiano la caratteristica dell’essere imposti al destinatario, senza possibilita’ per questi di sottrarsi all’immediata interazione con il mittente;

b) quindi ha escluso l’esistenza del reato nel caso in cui la modalita’ della comunicazione sia asincrona perche’ l’azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo, nella memoria dell’elaboratore del gestore del servizio, nella comunicazione che si perfeziona solo in un momento successivo quando il destinatario si connette a sua volta dall’elaboratore.

Per la Cassazione la doglianza è fondata: sul punto preliminarmente osserva che:

1) l’art. 660 c.p.  sanziona “chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”: la questione, quindi, attiene al significato da attribuire alla locuzione “col mezzo del telefono”, utilizzata dal legislatore del 1930, ed alla possibilita’ di ricomprendere in essa anche delle modalita’ di interferenza, non gradita, nella vita altrui create dallo sviluppo tecnologico, e non immaginate dal legislatore nel momento in cui e’ stata scritta la norma;

2) le pronunce che negli anni si sono occupate della questione si confrontano tutte con la tesi che le comunicazioni moleste effettuate tramite sistemi di messaggistica telematica possano avere una invasivita’ minore della comunicazione tradizionale effettuata con il mezzo del telefono, ma la superano in concreto attribuendo rilievo decisivo alla circostanza che le comunicazioni moleste effettuate mediante messaggistica telematica siano affiancate da un sistema di alert o di preview che le rende invasive nello stesso modo di quelle effettuate a mezzo del telefono.

In realtà, con l’odierna pronuncia la Suprema Corte rileva che:

– se i sistemi di alert o preview che affiancano la forma di comunicazione a distanza rendono la stessa sufficientemente invasiva da dover essere considerata molesta nel significato dell’art. 660 c.p., deve essere a questo punto osservato che la esistenza o meno di un sistema di alert o preview dipende, in realta’, non dal soggetto che invia, ma da quello che riceve, che puo’ decidere liberamente se consentire all’applicazione di messaggistica telematica di inviargli la notifica della ricezione di un messaggio;

– la possibilita’ per il destinatario della comunicazione di sottrarsi all’interazione immediata con il mittente e di porre un filtro alla comunicazione a distanza permettendogli di decidere di non essere raggiunto dalla stessa, se non in un momento in cui decide liberamente di farlo, rende, infatti, tale forma di comunicazione oggettivamente meno invasiva di quella effettuata a mezzo del telefono, e piu’ vicina a quella epistolare;

– ne consegue che nel caso in esame, caratterizzato da molestie perpetrate tramite messaggi inviati mediante le applicazioni Instagram e Facebook, le cui notifiche dei messaggi in arrivo possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che li riceve, il fatto di cui e’ stata ritenuta responsabile l’imputata non e’ sussumibile nella fattispecie penale dell’art. 660 c.p., in quanto non commesso “col mezzo del telefono”, nel significato attribuito a questa locuzione dalla giurisprudenza di legittimita’.

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