Il c.d. "atto d’obbligo" ed il regolamento condominiale
I terzi privati, acquirenti di un immobile edificato, non hanno alcuna possibilità di rivendicare “diritti” sulla base dell’ Atto d’obbligo stipulato tra il dante causa e la P.A., né di agire per il suo adempimento, salva l’ipotesi che esso sia stato trasfuso in una disciplina negoziale all’atto del trasferimento delle singole unità immobiliari
Può accadere che il costruttore di un edificio, al fine di conseguire il rilascio di una concessione o di una licenza edilizia, si obblighi a determinati adempimenti nei confronti dell’ente pubblico, stipulando con esso il c.d. “Atto d’obbligo”.
L’Atto d’obbligo è un atto intermedio del procedimento amministrativo, volto al conseguimento del provvedimento finale dal quale promanano poteri autoritativi della P.A. Ne deriva che tale atto con il quale il proprietario costruttore si sia impegnato nei confronti del Comune – ai fini del rilascio della concessione edilizia – a conferire una particolare destinazione a determinate superfici non costituisce contratto di diritto privato.
“Atto d’obbligo” e principio di diritto
La Corte di Cassazione, SS. UU. N. 4016/1998, ha elaborato il seguente principio di diritto: ” La convenzione stipulata fra un Comune e un privato costruttore con la quale questi al fine di conseguire il rilascio di una concessione (o di u licenza) edilizia si obblighi ad un “facere” o a determinati adempimenti nei confronti dell`ente pubblico non solo non costituisce un contratto di diritto privato ma neppure ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, e dal quale promanano poteri autoritativi.
Ne consegue che le controversie relative a detta convenzione si risolvono in controversie attinenti allo stesso provvedimento concessorio, devolute in quanto tali alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, derivandone ulteriormente la non configurabilità di una successione dei privati terzi acquirenti degli immobili edificati in base al detto provvedimento nei poteri e nelle facoltà dell’ente pubblico, cui ne spetta in via esclusiva l’esercizio, a seguito e per effetto natura discrezionale, e la conseguente insussistenza in capo a detti terzi di posizioni di diritto soggettivo, suscettibili di tutela risarcitoria, in relazione al mancato esercizio dei poteri stessi“.
“Atto d’obbligo” e tutela dei terzi
Data la natura giuridica dell'”atto d’obbligo”, a questo punto giova chiedersi se i diritti in esso contenuti possano essere rivendicati dai terzi privati acquirenti dell’immobile.
La risposta è contenuta in diverse pronunce giurisprudenziali, secondo cui: L’atto d’obbligo non può qualificarsi come contratto a favore dei terzi, ai sensi dell’art. 1411 c.c., e pertanto, i privati acquirenti dell’immobile edificato non hanno alcuna possibilità di rivendicare alcunché sulla base di esso. Non possono infatti agire per il suo adempimento, salva l’ipotesi che detto obbligo sia stato trasfuso in una disciplina negoziale al momento del trasferimento delle singole unità immobiliari (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2020, n. 3058; Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2012, n. 2742).
In un caso di recente portato alla cognizione del Tribunale di Roma, deciso con sentenza n. 18291 del 13 dicembre 2022, un Condominio lamentava la violazione da parte del proprietario del piano “pilotis” degli obblighi nascenti dall’Atto d’obbligo con cui la società costruttrice dell’edificio – dante causa del predetto proprietario del piano pilotis (terzo acquirente) – si era obbligata a “mantenere permanentemente ed irrevocabilmente la superficie coperta a piloties del piano terreno a giorno e libera così come riportato nella planimetria”.
Poiché il terzo acquirente del suddetto piano pilotis aveva apportato allo stesso delle modifiche strutturali, il Condominio chiedeva che venisse accertata e dichiarata l’illegittimità delle opere realizzate in violazione degli obblighi scaturenti dall’Atto d’obbligo, confluiti nel Regolamento condominiale.
“Atto d’obbligo”: opponibili ai terzi le clausole trasfuse nel Regolamento condominiale
Nel caso di specie, il Condominio evidenziava che le clausole contenute nell’Atto d’obbligo stipulato dalla società costruttrice dell’edifico con il Comune, erano state recepite nel Regolamento di condominio e, pertanto, potevano essere opponibili anche i terzi acquirenti.
Il Tribunale di Roma ha, infatti, ribadito il principio secondo cui i terzi privati, acquirenti dell’immobile edificato, non hanno alcuna possibilità di rivendicare “diritti” sulla base dell’Atto d’Obbligo né di agire per il suo adempimento, salva l’ipotesi che esso sia stato trasfuso in una disciplina negoziale all’atto del trasferimento delle singole unità immobiliari (Cass. SS.UU. n. 4016/1998).
La sua opponibilità alla società costruttrice dipende, quindi, dalla sua eventuale natura contrattuale; solo se sono contenute in un regolamento di natura contrattuale, infatti, sono validamente opponibili quelle clausole, quale quella in esame, che limitano i diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive, o su quelle comuni, ovvero che attribuiscono al alcuni condòmini maggiori diritti rispetto ad altri (Cass. n. 9877/2012).
Il Regolamento che contenga limitazioni ai diritti dei partecipanti al condominio, per produrre effetti deve essere accettato (circostanza che si verifica solo se il condomino abbia partecipato alla sua redazione ovvero se lo abbia espressamente accettato al momento dell’acquisto della sua unità con richiamo, nell’atto, delle clausole limitative o del contenuto del regolamento stesso) ovvero deve essere trascritto ex art. 2643 c.c. presso la conservatoria dei registri immobiliari.
Nel caso di specie, risultava già accertato, essendo intervenuta tra le parti una pronuncia della Corte di Appello, passata in giudicato, come l’obbligo a carico della società fosse stato recepito dal Regolamento di condominio, richiamato in tutti gli atti di acquisto.
Con detta pronuncia si era, dunque, affermata la natura contrattuale del Regolamento e, di conseguenza, la sua opponibilità ai terzi acquirenti, nello specifico, alla convenuta.
Partendo dall’insuperabile giudicato per cui le clausole erano state recepite nel Regolamento condominiale, con riferimento all’ulteriore domanda promossa dal Condominio sempre inerente al piano pilotis in cui la convenuta aveva posto delle “fioriere”, costituite da cubi di cemento, nell’area di sua proprietà esclusiva, il Tribunale di Roma ha ritenuto non raggiunta la prova della violazione dell’estetica del fabbricato e, dunque, della violazione della clausole del regolamento con cui era fatto divieto ai proprietari di apportate “varianti che possano comunque alterare e modificare la stabilità e l’estetica”.
Non solo, ma secondo il Tribunale, era da escludersi che l’apposizione delle “fioriere”, costituite da cubi di cemento, da parte della convenuta nell’area di sua proprietà esclusiva, potesse integrare una lesione del decoro dell’edificio o della sua statica o che la stessa costituisse una innovazione ex art. 1120 c.c.
Invero, il collocamento di tali manufatti sull’area privata, in generale svolge una funzione di delimitazione dell’area e, al più di abbellimento, ma non incide sull’uso di parti comuni poiché non impedisce l’accesso ad altri parti esclusive o a parti comuni.
Sentenza
Scarica Trib. Roma 13 dicembre 2022 n. 18291