Il conduttore può rinunciare all’indennità di avviamento?
L’art. 34 della legge sull’equo canone (l. n. 392/78) dice che, nelle locazioni e sublocazioni di immobili urbani ad uso non abitativo, la cessazione del rapporto locatizio che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento, disdetta o recesso del conduttore, conferisce a quest’ultimo il diritto a una indennità pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere, l’indennità è invece pari a 21 mensilità.
Si tratta della cosiddetta indennità di avviamento commerciale, cioè di una somma di denaro che il locatore (proprietario) deve al conduttore (titolare dell’attività) in caso di cessazione del rapporto di locazione commerciale non attribuibile al conduttore.
Pertanto, il conduttore che è costretto a lasciare il locale presso il quale esercitava la sua attività e che quindi perderà in tutto o in parte l’avviamento che era riuscito a costruire, ha diritto ad ottenere dal locatore una somma di denaro che compensi questa perdita e gli consenta di riavviare tale attività altrove.
Il conduttore può rinunciare a tale indennità di avviamento? Sul punto si è recentemente espressa la Suprema Corte con la sentenza n. 18324 del 7 giugno 2022. Vediamo a quale soluzione è approdata.
Diritto all’indennità di avviamento: il caso
Proponeva ricorso per Cassazione la società locatrice a cui la Corte d’Appello aveva rifiutato la restituzione dell’indennità di avviamento corrisposta al conduttore al termine del rapporto di locazione di immobile ad uso commerciale.
La tesi della locatrice, secondo cui tale indennità non era dovuta poiché preventivamente rinunciata in contratto, era stata accolta dal primo giudice sul rilievo che la relativa clausola era da ritenersi valida dal momento che in essa le parti avevano dato atto che di tale rinuncia si era tenuto conto nella determinazione del canone di locazione.
In accoglimento del gravame proposto dalla conduttrice, la Corte d’appello aveva sul punto invece espresso contrario avviso, ritenendo dunque affetta la clausola da nullità parziale e, di conseguenza, insussistente l’obbligo restitutorio, sulla base di due considerazioni.
Indennità di avviamento: la decisione in appello
In primo luogo, la Corte d’Appello osservava, richiamando a supporto la giurisprudenza di legittimità (Cass., sent. n. 15373 del 2018), che l’art. 79, legge n. 392/1978, sancendo la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, non impedisce al conduttore di rinunciare all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, purché ciò avvenga successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che il conduttore si trovi in quella posizione di debolezza alla cui tutela la richiamata disciplina è preordinata.
In secondo luogo, la Corte d’Appello rilevava che, perché possa ritenersi valida una clausola che prevede una rinuncia del conduttore ai propri diritti espressa sin dalla stipulazione del contratto, è necessario che tale preventiva rinuncia trovi il suo corrispettivo sinallagmatico all’interno del contratto stesso, il che non poteva desumersi dalla clausola in questione atteso che questa, nel prevedere la rinuncia da parte della conduttrice «a qualsiasi indennità in quanto di ciò si è tenuto conto nella determinazione del canone di locazione», si risolveva in una clausola di mero stile che non consentiva, in difetto di altri elementi (quali l’indicazione del canone che le parti avrebbero applicato senza rinuncia e la riduzione che hanno concordato in seguito alla rinuncia), di verificare che il rapporto sinallagmatico fosse stato rispettato e che la rinuncia preventiva trovasse un adeguato corrispettivo nel minore importo del canone.
Indennità di avviamento: i motivi del ricorso
La società locatrice proponeva ricorso per Cassazione dolendosi essenzialmente del fatto che il giudice di seconde cure avrebbe attribuito natura di mera clausola di stile alla pattuizione con cui conduttore e locatore si erano messi d’accordo per escludere ogni liquidazione dell’indennità di avviamento, a fronte di una riduzione dei canoni di locazione.
Indennità avviamento: la decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18324 del 7 giugno 2022 in commento, ritiene inammissibile il motivo di gravame, confermando pertanto il diritto all’indennità di avviamento commerciale spettante al conduttore.
Il Suprema concesso prende l’abbrivo dalla fondamentale disposizione di cui all’art. 79 della legge sull’equo canone, secondo cui «È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge».
Secondo la Cassazione, esistono due interpretazioni di suddetta norma:
- la prima, decisamente prevalente (ex multis, Cass., 30/09/2019, n. 24221), secondo cui «in tema di locazione di immobile ad uso non abitativo, la clausola contenente la rinuncia preventiva, da parte del conduttore, all’indennità di avviamento è nulla, ancorché sia stata pattuita a fronte della riduzione del canone, ai sensi dell’art. 79 della l. n. 392 del 1978, potendo il medesimo conduttore rinunciare alla detta indennità solo successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che si trovi in quella posizione di debolezza alla cui tutela la richiamata disciplina è preordinata»), vale ad escludere in ogni caso che l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale possa formare oggetto di preventiva rinuncia;
- la seconda, fondata invece sul diverso, ma minoritario e rimasto isolato orientamento, che ammetteva una rinuncia preventiva se e in quanto concordato in funzione di una corrispondente riduzione del canone.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ritiene di aderire al primo, prevalente orientamento, secondo cui è radicalmente nulla la clausola con cui il conduttore rinuncia preventivamente all’indennità di avviamento commerciale.
Secondo la Cassazione, «Si tratta, com’è evidente, di un argomento tranchant, tale da assorbire ogni rilevanza della lettura della clausola contrattuale predetta, se cioè in grado o meno di consentire la verifica dell’effettiva esistenza di un corrispettivo sinallagmatico alla preventiva rinuncia, per essere questa in ogni caso non consentita per il solo fatto di essere, per l’appunto, preventiva».
In ogni caso, conclude la Corte di Cassazione, anche volendo aderire alla seconda delle interpretazioni fornite inerenti all’art. 79 della legge sull’equo canone, ha ragione la Corte d’appello quando attribuisce alla clausola con cui veniva esclusa l’indennità di avviamento natura di mero stile.
In altre parole, anche volendo accedere alla tesi minoritaria secondo cui la clausola con cui il conduttore rinuncia preventivamente all’indennità di avviamento è valida, purché si inserisca in una pattuizione complessiva in virtù della quale, a fronte di tale rinuncia, il conduttore ottiene una riduzione dei canoni (compensando così lo svantaggio derivante da detta rinuncia), nel caso di specie non è ravvisabile nulla di tutto ciò, nel senso che la locatrice aveva evidentemente fatto sottoscrivere la clausola inserendola in un contratto standard, senza illustrare di quanto sarebbe consistita la riduzione del canone.
Sentenza
Scarica Cass. 7 giugno 2022 n. 18324