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Il patto di quota lite è valido solo se la stima tra compenso e risultato è equa.

“Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c. c. operata dal d.l. n. 223 del 2006, (…), è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense, (…), la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali”.

Giovedi 13 Ottobre 2022

Questo il principio di diritto enunciato con sentenza n. 28914 lo scorso 5 ottobre. La Seconda Sezione Civile della Cassazione ha, in parte qua, accolto il ricorso e cassato con rinvio la decisione resa tra le parti dal Tribunale di Gela.

Quest’ultimo, previa riunione dei giudizi, rigettava le opposizioni formulate dagli assistiti sui due decreti ingiuntivi emessi su domanda di due avvocati al fine di ottenere il pagamento delle proprie spettanze professionali.

Le loro pretese trovavano fondamento in un patto di quota lite contenuto in una scrittura privata del 2009 e correlato all’attività professionale svolta dai due co-difensori in un giudizio civile per il risarcimento dei danni da morte di un congiunto degli assistiti, definito con sentenza nel 2013. La scrittura privata prevedeva che: “ i compensi e/o onorari dovuti ai predetti avvocati in relazione alle prestazioni professionali oggetto del presente mandato, in caso di esito positivo della richiesta risarcitoria, sono determinati per ciascun avvocato nella misura pari al 15% ovvero complessivamente al 30% della somma che verrà concretamente incassata dalla controparte, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali secondo tariffa forense. In ogni caso le parti prendono atto che detta pattuizione non comporta per gli avvocati alcuna promessa di raggiungimento del risultato né trasforma l’obbligazione di mezzi del professionista in obbligazioni di risultato”.

Il Tribunale valutava come iniquo il patto contenuto nella scrittura privata perchè “ in contrasto con i requisiti sostanziali di proporzione e ragionevolezza nella pattuizione del compenso desumibili dall’art. 45 del codice deontologico forense, nella parte in cui vieta all’avvocato di richiedere compensi manifestamente sproporzionali all’attività svolta”(Cfr Corte di Cassazione SS. UU., n. 25012/2014). Ciò in quanto il compenso professionale veniva determinato in misura pari, per ciascun avvocato, del 15% della somma incassata dai clienti nella causa risarcitoria, importi ritenuti sproporzionati rispetto al limite tariffario di cui al d. m. n. 140/2012. Il Tribunale, inoltre, riteneva che la rilevata violazione degli artt., 2233 c. c., e 45 codice deontologico forense, portasse non alla nullità ma alla riconduzione ad equità del patto.

In cassazione, i ricorrenti sollevavano bel sei motivi avverso l’ordinanza del Tribunale.

Per la parte che ci interessa, ai fini della spiegazione del principio di diritto enunciato dalla Corte, poniamo in evidenza il secondo ed il terzo motivo.

Con il secondo, hanno dedotto la violazione e/o falsa applicazione del secondo comma dell’art. 2233 cod. civ., e/o degli artt., 43 e 45 del codice deontologico forense in relazione agli artt., 1325, 1339, 1418 e 1419 cod. civ., sollevando la nullità del patto di quota lite per contrasto con il principio di imprescindibile correlazione tra prestazione e corrispettivo e col paradigma di necessaria adeguatezza del compenso desumibile dall’art. 2233 cod. civ.

Con il terzo motivo, hanno dedotto la falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art 112 cod. proc. civ., nonché la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2233, comma secondo, cod. civ., e/o degli artt., 43 e 45 del codice deontologico forense, dovendosi integrare la domanda di riduzione ad equità della pretesa articolata, in via subordinata, di limitare i compensi professionali all’attività prestata dai due legali, nei limiti dei parametri tariffari vigenti.

La Corte ha ritenuto i motivi fondati, accogliendo il ricorso e cassando con rinvio la decisione impugnata. Dopo una lunga disamina della giurisprudenza in materia, la Suprema Corte giunge alla formulazione del seguente principio di diritto: “”Il patto di quota lite stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c.c. operata dal d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, della legge n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1261 c.c., è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali”.

La Corte, in particolare, ha evidenziato di non condividere l’orientamento di cui alla sentenza della Terza sezione civile 6 luglio 2018, n. 17726, secondo il quale il patto di quota lite stipulato durante la vigenza del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a), conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 4, può ex se validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai massimi tariffari, non deponendo in senso contrario nè precetti riferibili ad un interesse generale, nè le violazioni del codice deontologico, nè le eventuali sproporzioni fra il compenso pattuito e la prestazione professionale resa, mai potendo tale sproporzione comportare “una non prevista nullità del patto, ma, al limite, una riconduzione ad equità”.

In conclusione, per la Corte, in sede di rinvio, sarà necessario valutare il contenuto effettivo delle pretese degli opponenti, valutando se il patto di quota lite intercorso risponde o meno al principio di ragionevolezza degli interessi perseguiti dalle parti contraenti al momento della stipula del contratto e all’epoca dei fatti, cosi come vagliati all’interno del percorso preposto.

Allegato:

Cassazione civile sentenza n.28914 2022

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