Il vicino tiene il livello dell’impianto stereo troppo alto? Non sempre commette il reato di disturbo o molestia
Nel condominio una delle maggiori fonti di discordia è data dai rumori che si diffondono nello stabile e che recano disturbo ai partecipanti. Questo può essere determinato dal malfunzionamento di impianti comuni, oppure dal comportamento dei condomini i quali, non considerando che la loro vita si svolge nell’ambito di una comunità, ignorano le regole basilari di una convivenza civile.
Come proteggersi da tali invasioni che possono andare al di là di un semplice malessere, provocando danni al benessere ed alla psiche di coloro che si trovano a dover subire le prepotenze dei vicini? La risposta la troviamo nella recente decisione della Corte di cassazione, ultima in ordine di tempo sull’argomento.
Nessun reato in assenza degli elementi costitutivi delle molestie e del disturbo. Fatto e decisione
La Corte penale di cassazione, con sentenza n. 44261 del 3 dicembre 2024, ha accolto (in relazione al primo motivo, dichiarato assorbente di quelli successivi) il ricorso depositato da due imputati che, nel giudizio di appello, erano stati ritenuti colpevoli dei reati di cui agli artt. 659 e 660 c.p., dichiarati estinti per prescrizione, e non del reato di cui all’art. 612 bis c.p. come ritenuto dal Tribunale, per avere gli stessi tenuto acceso, ad alto volume e per molte ore al giorno, l’impianto stereo. Un comportamento che aveva disturbato non solo le persone offese ma anche “i vicini di casa”.
In particolare il Collegio del merito aveva dichiarato che, pur se non sufficientemente provati l’elemento oggettivo e quello psicologico del contestato delitto di stalking, accertati singolarmente gli specifici episodi contestati i fatti dovevano essere derubricati nei reati di cui sopra rilevando, altresì, che da essi era derivato un danno derivante dalla lunghezza del periodo del loro protrarsi e dalla condotta degli imputati talchè la quantificazione dello stesso, operata dal primo giudice, era stata ritenuta equa.
Non di questo avviso è stata la Corte Suprema che ha escluso l’applicabilità delle norme richiamate alla fattispecie in esame. Infatti, quanto all’art. 659 c.p. (“disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”) è stato affermato che “ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen., non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio” (Cass. pen. 11 gennaio 2018, n. 18521).
Il tutto con una precedente precisazione da parte dello stesso giudice, secondo il quale a tale fine “…è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio” (Cass. pen. 14 ottobre 2013, n. 45516).
Nella fattispecie alcun accertamento di questo tipo era stato fatto, pur trattandosi di un aspetto di rilevante importanza.
Le stesse osservazioni potevano valere anche per l’art. 660 c.c. (“molestia o disturbo alle persone”).
Detto questo i giudici di legittimità hanno concluso per l’inidoneità delle condotte in contestazione ad integrare gli estremi delle due fattispecie contravvenzionali riconosciute sussistenti dai giudici di appello e, per l’effetto, hanno annullato l’impugnata sentenza “residuando unicamente aspetti che le parti offese dovranno necessariamente devolvere alla cognizione del giudice civile“.
Immissioni in condominio tra tutela penale e civile
La fattispecie oggetto di contenzioso costituisce il classico caso di immissioni rumorose disciplinate, in sede civile, dall’art. 844, co. 1, c.c. che, inserito nell’istituto della proprietà e, più precisamente, della proprietà fondiaria, è applicabile in via analogica anche al condominio.
La norma pone al centro l’impossibilità di ottenere una tutela giudiziaria da parte del titolare di un fondo se le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, non superano la normale tollerabilità, avuto riguardo alla condizione dei luoghi.
Accanto alla possibilità di agire in sede civile, anche per ottenere il risarcimento dei danni, il soggetto leso può ricorrere in sede penale chiedendo la condanna del soggetto che ha determinato, con il proprio comportamento, una situazione che possa integrare gli estremi di cui agli artt. 659 e 660 c.p. Questo è quanto avvenuto nel caso oggetto di esame, nel quale i giudici hanno escluso l’ipotesi delittuosa, formulata nei confronti degli imputati, di cui all’art. 612 bis c.p., per il reato di stalking.
Il fatto che la sentenza della Corte di cassazione non abbia riconosciuto la sussistenza delle ulteriori ipotesi delittuose per mancanza di presupposti, tuttavia, non ha impedito alla stessa – come già rilevato – di concludere che, una volta escluso il profilo penale della vicenda, il soggetto potesse ricorrere in via civile per fare valere i propri diritti.
In via preliminare corre l’obbligo di rilevare che ai fini della proponibilità di un’azione risarcitoria in sede civile, che non può prescindere da un’indagine che accerti la sussistenza delle condizioni poste a fondamento della domanda, occorre avere ben presenti i termini fissati dalla legge per il decorrere della prescrizione.
Detto questo, il caso oggetto della sentenza pronunciato dalla Corte di cassazione non rappresenta un unicum nel panorama delle controversie condominiali che insorgono tra condomini o tra questi ed il condominio.
E’ pacifico che il condomino, nell’uso della propria unità immobiliare, non può causare immissioni moleste o dannose che interessino la proprietà degli altri partecipanti, siano essi singoli o un gruppo.
Per il condominio, in considerazione della peculiarità dei rapporti che lo contraddistinguono, nel desumere il criterio di valutazione della normale tollerabilità, come previsto dall’art. 844 c.c., si deve anche considerare la destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza dai proprietari.
Questo si verifica, in particolare, quando il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano destinate ad usi misti (ad esempio: abitazioni ed esercizi commerciali), comportando – come ritenuto dalla Corte di cassazione – la necessità “….di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (v. Cost. art. 14, 31, 47) le esigenze personali di vita connesse all’abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di attività commerciali” (Cass. 15 marzo 1993, n. 3090).
Questo principio di carattere generale si applica a tutti i tipi di immissioni, quindi anche a quelle sonore, rappresentate da tutti quei rumori prodotti all’interno dello stabile che, se di un livello superiore rispetto a quello normalmente tollerabile, producono anche in assenza di una vera e propria menomazione patologica, una lesione al diritto alla salute, inteso nel senso del più ampio diritto all’equilibrio ed al benessere psicofisico.
Le fonti di tali immissioni sono le più svariate e l’identificazione quantitativa dei soggetti danneggiati rappresenta il discrimen per individuare se si rientri nell’ambito penale piuttosto che in quello civile.
Se il rumore è percepibile solo da colui che rivendica la lesione del proprio diritto al riposo è da escludersi la violazione di una norma penale, come, ad esempio, ritenuto nell’ipotesi di produzione di rumori mediante colpi battuti, trascinando oggetti sul pavimento nelle ore notturne ovvero mediante la musica ad alto volume (App. Ancona 21 gennaio 2021, n. 112), oppure allorché il rumore, che supera la normale tollerabilità, sia generato da un cattivo funzionamento di un impianto di condizionamento arrecando disturbo agli occupanti dell’appartamento immediatamente sovrastante (Cass. pen. 28 maggio 2013, n. 28874).
Al di là della costante giurisprudenza di legittimità unanimemente orientata nel senso di avere circoscritto l’elemento costitutivo delle fattispecie oggetto degli artt. 659 e 660 c.p., giova richiamare due recenti provvedimenti della Corte dai quali si possono trarre ulteriori elementi decisivi al fine di escludere l’operatività dei richiamati profili penali. Infatti, per dimostrare che la fonte sonora abbia raggiunto il noto “numero indeterminato di persone” non è sufficiente utilizzare espressioni vaghe e generiche, quali, ad esempio, “il disturbo aveva raggiunto anche i vicini di casa”, oppure “i rumori erano stati percepiti anche da altri condomini” (Cass. 17 gennaio 2024, n. 2071).
Mentre “‘l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, ma ben può il giudice fondare il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità” (Cass. pen. 22 febbraio 2024, n. 7717).