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Impugnazione di delibera e cessazione della materia del contendere: cosa succede?

Questa è la volta del Tribunale di Vibo Valentia con la decisione n. 325 del 5 maggio 2022.

Nel caso di specie, una condomina conviene in giudizio il condominio, in persona dell’Amministratore p.t., per ottenere la declaratoria di nullità e/o l’annullamento della delibera assembleare assunta dal Condominio

Le lagnanze dell’attrice sono molteplici.

Impugnazione delibera e cessazione della materia del contendere: i motivi di impugnazione

Gli asseriti vizi sono i seguenti: 1) omessa convocazione all’assemblea e successiva comunicazione del verbale; 2) inosservanza del termine dilatorio tra prima e seconda convocazione; 3) violazione dell’obbligo di astensione del condomino portatore d’interessi; 4) violazione dell’articolo 1117-ter c.c. per l’inosservanza del quorum costitutivo richiesto per la modificazione nella destinazione d’uso delle cose comune; 4) pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale; 5) nonché, infine, la discrasia tra l’ordine del giorno ed i lavori autorizzati.

Anche il punto n. 3 dell’ordine del giorno, riguardante l’approvazione dei lavori del “nuovo condomino che ha acquistato al piano terra”; conseguentemente condannare il convenuto al pagamento delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio.

Si costituiva in giudizio il Condominio eccependo, in via preliminare, la nullità dell’atto di citazione per incompletezza della copia notificata, sempre in via preliminare, l’intervenuta decadenza dall’impugnazione della delibera assembleare nel termine di cui all’articolo 1137, II comma, c.c.; in ogni caso, nel merito, il Condominio contestava la fondatezza dei motivi di invalidità della delibera assembleare come formulati da parte attrice.

Sospesa l’efficacia della delibera assembleare impugnata con provvedimento del Tribunale, concessi i termini di cui all’art. 183 comma VI c.p.c., la causa, di natura documentale, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni.

All’udienza svoltasi mediante trattazione scritta, precisate le conclusioni come da note scritte autorizzate, è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

Cessazione della materia del contendere

In via preliminare, il Tribunale dichiara cessata la materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse in relazione agli specifici motivi impugnazione concernenti: il vizio di notifica dell’avviso di convocazione e del verbale di assemblea, l’inosservanza del termine dilatorio tra prima e seconda convocazione dell’assemblea; nonché, infine, per la discrasia tra l’ordine del giorno ed i lavori autorizzati.

Si ritiene, infatti, che tali vizi siano stati sanati a seguito della pacifica ratifica dei punti posti all’ordine del giorno oggetto di impugnazione, avvenuta in sede di delibera condominiale successiva (che peraltro non risulta impugnata), dovendo trovare applicazione, nel caso di specie, la disposizione di cui all’art. 2377, ultimo comma, c.c.

Segnatamente la disposizione di cui all’art. 2377, ultimo comma, c.c. prevede che l’annullamento della deliberazione (invalida) non può aver luogo se la deliberazione impugnata è sostituita con altra, presa in conformità della legge e dell’atto costitutivo. Tale principio ha carattere generale ed è, pertanto, applicabile anche alle assemblee dei condomini.

Sostituzione di precedente delibera: cessazione materia contendere

Ne deriva che, nel giudizio d’impugnazione di una delibera di assemblea condominiale che si assuma affetta da nullità (o da una ragione di annullabilità), il giudice del merito deve dichiarare cessata la materia del contendere ove risulti che l’assemblea dei condomini, regolarmente riconvocata, abbia deliberato sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata, ponendo in essere, pur senza l’adozione di formule ad hoc, un atto sostitutivo di quello invalido.

Dunque, ove sopravvenga la sostituzione della delibera invalida ex art. 2377 c. 4 c.c., non può farsi luogo ad una pronuncia di annullamento e interviene la cessazione della materia del contendere, restando sottratto al giudice adito per l’impugnazione il potere – dovere di sindacare incidentalmente la legittimità dell’atto di rinnovo, il quale potrà semmai essere sottoposto ad ulteriore impugnazione, se si ritenga che anch’esso non sia conforme alla legge o all’atto costitutivo (cfr. in tal senso: Tribunale Torino, Sent. 19 giugno 2008 n. 4459/2008; Tribunale Monza, 05 marzo 2001).

Orbene, l’incontestata sopravvenuta ratifica della delibera impugnata con quella adottata nella successiva assemblea del 20.11.2017, resa sulla medesima questione su cui sì era espressa la volontà assembleare denunciata come viziata ed in cui è stata confermata la medesima decisione già assunta nella prima, dopo rituale indicazione della relativa questione nell’ordine del giorno e regolare avviso di convocazione che ha preceduto la riunione assembleare, impone la declaratoria della cessazione della materia del contendere.

Erroneo avviso di convocazione – soccombenza virtuale

Analizzando, comunque, tali specifici motivi di censura per i quali deve essere dichiarata cessata la materia del contendere, ai soli fini della soccombenza virtuale, il Tribunale ritiene fondata l’eccezione volta ad annullare la delibera assembleare impugnata per non avere l’amministratore dato tempestivo avviso dell’assemblea condominiale al condomino.

Si premette che il vizio in esame integra un motivo di annullabilità e non di assoluta nullità dell’impugnata deliberazione, in applicazione del principio interpretativo offerto dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui debbono qualificarsi annullabili le delibere affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea.

Ne consegue che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale comporta, non la nullità, ma l’annullabilità della delibera condominiale, la quale, ove non impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137, terzo comma, cod. civ. (decorrente, per i condomini assenti, dalla comunicazione, e, per i condomini dissenzienti, dalla sua approvazione), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio (Cass. Civ. Sezioni Unite n. 4806/2005). Si rileva che l’onere di provare che il condomino, assente all’adunanza assembleare, sia stato tempestivamente convocato per l’assemblea condominiale grava sul condominio, non potendosi addossare al condomino che deduca l’invalidità dell’assemblea la prova negativa dell’inosservanza di tale obbligo (Cass. Civ. n. 24132/2009).

Nella specie, siffatta prova è rimasta non assolta dal convenuto, che, fino allo spirare dei termini preclusivi per le produzioni documentali, non ha offerto la prova di un tempestivo inoltro e della ricezione di siffatto avviso da parte dei destinatari odierni attori. Infatti, come già rilevato dal Tribunale nel provvedimento, l’avviso di convocazione dell’assemblea al condominio tramite PEC deve ritenersi non soddisfare i requisiti di forma richiesti dalla legge.

Anche considerando che non essendo entrambi i soggetti in questione (amministratore da un lato e condomino dall’altro) titolari di una casella di posta elettronica certificata, non è possibile avere attestazione dell’avvenuta ricezione della comunicazione.

In tal senso non può che essere disattesa l’eccezione di decadenza sollevata da parte convenuta ex art. 1137 comma 2 c.c. Alla luce di tale motivazione, mancando la prova della tempestiva e regolare convocazione della suddetta condomina, si ritiene che appaia fondata l’eccezione di illegittimità della delibera impugnata con conseguente accoglimento della domanda di annullamento, se non fosse intervenuta, nelle more, una ratifica di tale delibera, che ha comportato la cessazione della materia del contendere nei termini di cui sopra per sopravvenuto difetto di interesse. Per il principio della ragione più liquida (cfr. Cass. n. 9936/2014) ed in mancanza di uno specifico interesse attuale alla decisione su tutte le questioni sopra indicate ai fini del principio della soccombenza virtuale, si dichiara poi assorbita ogni altra domanda e questione in ordine alla quale è stata dichiarata cessata la materia del contendere.

Sopravvenuta carenza di interesse delle parti

Si ritiene che essa ricorra quando i contendenti si danno reciprocamente atto dell’intervenuto mutamento della situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi.

Deve escludersi che il giudice possa dichiarare siffatta cessazione della lite per avere una delle parti allegato e provato l’insorgenza di fatti astrattamente idonei a privare essa stessa o la controparte dell’interesse alla prosecuzione del giudizio e quando, nelle rispettive conclusioni, ciascuno abbia insistito, come nel caso di specie, nelle originarie domande (Cass. n. 16017/2008; Cass. n. 27460/2006; Cass. n. 909/2006; Cass. n. 8607/2000), restando onere del giudice estendere il suo esame alla nuova delibera per verificare se sia stata eliminata la precedente causa di invalidità (Cass. n. 2570/1998) e se tale deliberazione sia stata adottata in conformità alla legge e allo statuto.

Il tribunale ritiene, in particolare, che, in un caso, come quello di specie, in cui il vizio da cui sia affetta la delibera impugnata non si riferisca al procedimento di approvazione, ma riguardi la disciplina sostanziale adottata, che si assume essere contraria alla legge o allo statuto, il giudice dovrà verificare se la nuova deliberazione detti una disciplina effettivamente idonea a rimuovere detto vizio (cfr. Cass. n. 16017/2008).

Alla luce di tali principi è, dunque, evidente che in un caso, come quello di specie, in cui l’assemblea condominiale ha genericamente ratificato le precedenti delibere impugnate, senza eliminare le eventuali cause di invalidità lamentante, non sia venuto meno un interesse delle parti a ottenere una pronuncia sulle originarie domande di merito, in ordine alle quali hanno precisato le conclusioni, per accertare se effettivamente le decisioni adottate in assemblea e successivamente ratificate siano conformi alla legge e al regolamento condominiale.

Pertanto, deve analizzarsi il motivo di censura formulato da parte attrice e volto a far dichiarare l’illegittimità della delibera assembleare per violazione dei quorum stabiliti dall’articolo 1117-ter c.c., in quanto il condominio avrebbe autorizzato delle opere modificando la destinazione d’uso delle parti comuni, nonché provocando una compromissione al decoro architettonico dell’edificio condominiale.

Il motivo è infondato. Gli interventi per i quali l’attrice lamenta le violazioni consisterebbero nella realizzazione di un collegamento tra il balcone ed il terrazzo di proprietà esclusiva del condomino, nonché nell’apertura di un varco nel muro di recinzione del giardino sempre di proprietà esclusiva.

L’analisi della questione dell’art. 1117 ter c.c. Modifiche lecite ed illecite

La libertà del singolo condomino, nell’uso individuale della cosa comune e nella possibilità di apportarvi modifiche, è sancita dall’articolo 1102, ma circoscritta e condizionata dai limiti fissati dagli articoli, 1120 e 1122 c.c.

Gli articoli citati prevedono rispettivamente le modificazioni consentite (anche senza approvazione assembleare), le innovazioni utili soggette ad approvazione e le opere sulla proprietà comune attuate in corrispondenza del piano (o porzione di piano) di proprietà esclusiva.

Tra queste ultime, sono espressamente vietate (soltanto) quelle opere che potrebbero arrecare danno alle parti comuni dell’edificio.

In linea generale si può quindi affermare che l’apertura di varchi nel muro perimetrale del condominio, da parte di un condomino (comproprietario), è legittima, quando: non influisca sulla statica del fabbricato condominiale compromettendone la stabilità; non pregiudichi la sicurezza e il decoro architettonico dell’edificio; non alteri la destinazione del bene; non possa dar luogo alla costituzione di una servitù a favore di terzi estranei al condominio.

Va poi richiamato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui: “il principio della comproprietà dell’intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro – ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi – e di non alterarne la normale destinazione”. (Cass. civ. Sez. II, 18-02-1998, n. 1708).

Mentre “costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 c.c., le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell’edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo all’acquisto di una servitù (di passaggio) a carico della proprietà condominiale” (fra le tante, Cass., 13 gennaio 1995, n. 360; 7 marzo 1992, n. 2273; 25 ottobre 1988, n. 5780).

Balcone poi terrazza

Per quanto concerne poi la doglianza nel caso di specie relativa al balcone, va specificato che al singolo condomino è consentita “la trasformazione in un balcone o in una terrazza, da parte di un singolo condomino, di una o più finestre del suo edificio, all’uopo ampliando le finestre esistenti a livello del suo appartamento nel muro perimetrale comune e innestando in questo lo sporto di base del balcone terrazza, non comportano un’innovazione della cosa comune a norma dell’art. 1120 c.c., bensì soltanto quell’uso individuale della cosa comuni.” (cfr. Trib. Salerno, 03/09/2009).

Conclusione

Orbene, ad avviso del Tribunale, entrambi gli interventi autorizzati dal Condominio nella delibera impugnata non costituiscono modificazione della destinazione d’uso delle parti comuni ma un legittimo uso delle stesse, per il quale non sussiste obbligo di attenersi alle disposizioni di cui all’articolo 1173-ter c.c. La modifica della destinazione d’uso, infatti, costituisce una diversa utilità della parte comune nell’interesse di tutti i condomini e, quindi, del condominio. Ovverosia, si modifica la specifica utilità che la parte comune ha per i condomini.

Al contrario la fattispecie in esame riguarda l’uso che il singolo condomino può fare della parte comune.

In considerazione di ciò, la delibera impugnata non è stata assunta in violazione dell’articolo 1173- ter c.c., stante la totale inconferenza dello stesso al caso di specie.

Del tutto generica poi la doglianza di parte attrice secondo cui le opere autorizzate dal condominio altererebbero il decoro architettonico dell’edificio.

L’attrice, infatti, si limita genericamente a contestare un pregiudizio all’originaria fisionomia dell’edificio, senza specificare la reale.

Sentenza
Scarica Trib. Vibo Valentia 3 maggio 2022 n. 325

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