Indennizzo alle Vittime di reati violenti e inadempimento del Governo
Il presupposto del risarcimento non è il preventivo esperimento dell’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato bensì l’esistenza di una oggettiva difficoltà nel conseguire il risarcimento,e ciò sulla base di fattori diversi tra i quali anche l’assenza di risorse economiche sufficienti in capo al medesimo,desumibili da una serie di indicatori esposti nel ricorso secondo quanto richiesto dalla Direttiva stessa.
Lo ha stabilito la Cassazione civile sez. III, con la sentenza 10/02/2023 n.4228 (nello stesso senso v. Cass. n.26757 24/11/2020, conf. Cass., n. 26302 del 29/9/ 2021) che ha sancito che l’inadempimento dello Stato, che recepisce in ritardo una Direttiva della Ue, non può essere sanato dall’adozione tardiva di una legge interna.
In conseguenza, poiché l’inadempimento pregresso non è sanato, l’individuo leso dalla tardiva attuazione ha diritto di agire per il risarcimento del danno come nel caso del ricorso di una donna che, vittima di violenza sessuale, accertata con sentenza passata in giudicato, sosteneva di aver diritto a un indennizzo ai sensi della direttiva 2004/80 ma che, a causa dell’inadempimento dello Stato italiano, in grave ritardo nel recepimento, non aveva potuto ottenerlo.
Di qui l’azione della Vittima per l’accertamento della responsabilità dello Stato italiano.
Il Tribunale di Torino aveva respinto la richiesta sostenendo che non era stato provato il nesso causale tra danno subito e mancata attuazione della direttiva Ue.
La Corte di Appello, invece, sosteneva che l’inadempimento era venuto meno a seguito del tardivo recepimento, avvenuto con la legge 7 luglio 2016 n. 122, poi modificata dalla legge 20 novembre 2017 n. 167.
La Cassazione, invece, ha dato ragione alla ricorrente per le ragioni che si sintetizzano..
Prima di tutto,la Suprema Corte ha osservato che la domanda di risarcimento del danno nei confronti dello Stato inadempiente “fa sorgere in capo allo Stato membro una responsabilità di natura contrattuale” e, quindi, l’adozione di una legge successiva al termine previsto per il recepimento “non sana l’inadempimento pregresso e non determina la cessazione della materia del contendere in relazione alla già proposta questione del danno da inadempimento”.
Pertanto, la decisione della Corte di appello non era corretta anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea per quanto riguarda l’obbligo della ricorrente, tenuta a tentare in via preliminare l’azione risarcitoria nei confronti del responsabile del reato.
La Cassazione ha, invece, chiarito che “la circostanza che la legge nazionale abbia introdotto la condizione del preventivo infruttuoso esperimento dell’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato” non è in linea con la Direttiva poiché il punto n. 10 evidenzia la necessità che la Vittima sia messa nelle condizioni di superare le “oggettive difficoltà che essa può incontrare nel conseguire il risarcimento del danno patito”, talvolta legate all’assenza di risorse economiche dell’autore del reato.
Pertanto, la Cassazione, accogliendo il ricorso, senza alcun obbligo di una preventiva azione nei confronti del colpevole, ha rinviato alla Corte di Appello, in diversa composizione, la determinazione del quantum risarcibile
La Suprema Corte,a Sezioni Unite,in una recente pronuncia,aveva stabilito che “per risultare adeguato al diritto comunitario, il diritto interno deve assicurare una congrua riparazione del pregiudizio subìto dal singolo per il fatto di non aver acquistato la titolarità di un diritto in conseguenza della violazione dell’ordinamento comunitario”. (Cass. SSUU con sez. un. 22 maggio 2018 n. 12567).
1. La Direttiva Europea del 2004
Il Legislatore Europeo,con la Direttiva 2004/80/CE,ha inteso creare un sistema di cooperazione fra Stati membri per facilitare l’indennizzo alle vittime.
I presupposti previsti per il riconoscimento dell’indennizzo sono, sinteticamente:
a.l’essere rimasti vittima di un reato; con la precisazione che deve trattarsi di un reato intenzionale e violento;
b.in una situazione nella quale la vittima del fatto non possa ottenere un risarcimento da chi l’ha compiuto per in capienza dello stesso o altro..
Per esempio, siffatta eventualità accade nell’ipotesi di mancata individuazione dell’autore del reato violento; oppure- ancora- perché quest’ultimo non ha i mezzi patrimoniali per adempiere a statuizioni di condanna ed altre ipotesi..
Invero,l’Italia ha dato applicazione alla Direttiva, in un primo tempo, con il d.lgs. n. 204/2007, la cui inadeguatezza tuttavia ha spinto il Consiglio UE ad avviare una procedura di infrazione (2011/4147) nei confronti dello Stato italiano per inadempi mento,sicché,successivamente,è stata varato la legge 122/2016.
Attualmente sono entrati in vigore, dal 24 gennaio 2020, i nuovi indennizzi previsti con le modifiche introdotte dal decreto del 22/11/2019 dei Ministeri dell’Interno e della Giustizia,in collaborazione con il Ministero dell’Economia e delle finanze con cui vengono riconosciuti importanti adeguamenti economici ma palesemente insufficienti…
L’ammontare, in caso di morte della vittima, è di 50mila euro per il reato di omicidio, aumentati a 60mila per i figli delle vittime di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da una persona legata alla vittima da una relazione affettiva.
Gli orfani di madri uccise in ambito domestico, o a seguito di violenze sessuali o del reato di stalking, possono ottenere dallo Stato un contributo, che consiste in un assegno alle famiglie affidatarie, in borse di studio e contributi per l’inserimento al lavoro.
La Vittima presenta una domanda alla Prefettura del luogo di residenza, che inoltra la documentazione al Comitato di solidarietà per la valutazione della sussistenza dei requisiti.
Tuttavia, il ritardo nel recepimento della Direttiva ha esposto lo Stato italiano a responsabilità poiché il risarcimento per omessa attuazione della direttiva 2004/80/CE non va confuso con l’indennizzo previsto dalla stessa Direttiva e come innanzi disciplinato..
Infatti,secondo la Cassazione,la possibilità di ottenere il risarcimento non è venuta meno in seguito alla citata legge n. 122/2016, la quale prevede un mero meccanismo indennitario..
In base al principio della cd.”compensatio lucri cum damno” il risarcimento del danno per mancata attuazione della Direttiva comunitaria e l’indennizzo previsto dalla Legge n.122/2016,può essere accolto, in conformità del principio sancito dalla Cass. SSUU innanzi richiamato..
In questo senso va annoverata la decisione della Corte di Cassazione in commento.
Deve ritenersi,infatti,che l’art. 12, par. 2, della Direttiva 2004/80/CE, impone ad ogni Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo che comprenda tutte le vittime di qualsiasi reato intenzionale violento commesso nel suo territorio, non assumendo rilievo né il dato oggettivo relativo alla natura o alla tipologia dei reato,sicché non può ritenersi adempiente lo Stato che attribuisca il diritto di indennizzo solo in relazione a talune specie di reati, come ad esempio, quelli posti in essere nell’esercizio di attività di terrorismo, estorsione od usura, o nell’ambito di criminalità organizzata.
Dall’ammontare riconosciuto a titolo di risarcimento del danno per omessa, incompleta o tardiva trasposizione della Direttiva 2004/80/CE, deve essere detratta la somma eventual mente corrisposta quale indennizzo ex Legge n. 122/2016 (e successive modifiche), in applicazione della regola generale della compensatio lucri cum damno.
L’operatività di questa regola, nella fattispecie, trova fondamento nel rilievo che un unico soggetto, sulla base di titoli differenti, ha diritto sia al risarcimento del danno che alla corresponsione, in favore dello stesso, di una provvidenza indennitaria, che, ove effettivamente erogata, va detratta dall’ammontare del risarcimento in quanto avente una finalità compensativa(v..Cassazione civile sez. III, 27/07/2022, n.23414)
Nondimeno,va osservato che la Direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reato, ha prescritto agli Stati Membri dell’Unione Europea, a partire dal 1° luglio 2005, di predisporre una tutela risarcitoria – indennitaria a favore delle vittime di reati violenti, ove risultino impossibilitate a conseguire direttamente dagli offensori il risarcimento dei danni.
Lo scopo della Direttiva, come si evince dal paragrafo (6) del preambolo, è quello di garantire alle vittime di reato nel territorio dell’Unione Europea, testualmente, “il diritto ad ottenere un indennizzo equo ed adeguato, indipendentemente dal luogo della Comunità Europea in cui il reato è stato commesso, stabilendo altresì, come si evince dal paragrafo (7) un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere.
In particolare la Direttiva, che al capo I si preoccupa di istituire le procedure di coopera zione tra gli stati membri allorquando il reato avvenga in situazione transfrontaliere, al Capo II testualmente istituisce “Sistemi di indennizzo nazionali”, dando con ciò attuazione al paragrafo (6) del preambolo.
Infatti l’art.12, paragrafo 2, Direttiva 2004/80/CE, stabilisce che “Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati internazionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo e adeguato delle vittime”.
In buona sostanza, il Legislatore comunitario ha riconosciuto alle vittime di reati ad ottenere un indennizzo statale nel momento in cui risultino impossibilitate a conseguire una tutela effettiva nei confronti dei responsabili del fatto lesivo..
Alla base di tale indennizzo statale vi è l’esistenza di una pretesa civile impossibile da soddisfare, allorquando ad esempio l’autore del reato sia di fatto irreperibile o latitante ovvero si tratti di nullatenente, come innanzi ricordato.
Tuttavia, il Governo italiano non ha dato completa attuazione alla importante Direttiva. Sta di fatto che il mancato adempimento è stato accertato dalla Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 27 novembre 2007,su ricorso della Commissione delle Comunità europee. La Quinta Sezione della Corte di Giustizia nella causa C-112/07 ha stabilito che “non avendo adottato, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio del 29 aprile 2004, 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva”.
Ad oggi,siffatto inadempimento permane nonostante l’emanazione del D.Lgs. 6 novembre 2007 n. 204 ed i provvedimenti del 2016 o del 2019, il cui contenuto è decisamente scarno e lacunoso per quanto attiene all’entità dell’indennizzo dei danni individuati per la Vittima, come innanzi esposto..
Invero, il Governo Italiano non ha posto alcun rimedio al suo inadempimento che apre la strada ad azioni legali da parte dei cittadini per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata attuazione di una Direttiva, quale quella citata, idonea ad incidere direttamente su situazioni soggettive di cittadini degli Stati membri.
2. La Giurisprudenza in materia
La Corte di Giustizia UE ha emanato,sulla delicata materia, una giurisprudenza consolidata, atteso che gli Stati membri inadempienti violerebbero infatti l’art. 10 del Trattato CE, che sancisce l’obbligo di leale cooperazione imponendo loro di adottare “tutte le misure di carattere generale e particolare” e, nello specifico, per quanto concerne la mancata o tardiva attuazione delle direttive, l’art. 249, comma 3°, del Trattato CE, che dispone testualmente che “la Direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi”.
Già da tempo la Corte di Giustizia avveva riconosciuto, a favore dei cittadini europei non solo la titolarità dei diritti che nascono dall’Ordinamento comunitario ma anche il diritto a veder recepita la normativa comunitaria,con conseguente diritto al risarcimento del danno in caso di inadempimento del legislatore nazionale (v.sentenza Francovich c. Repubblica Italiana e Bonifaci c. Repubblica Italiana, Corte di Giustizia CE, 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90).
La Corte di Cassazione (ex multis, Cass. Civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147; Cass. Civ., sez. III, 11 marzo 2008, n. 6427) ha recepito i principi fondanti la responsabilità degli Stati membri per la mancata attuazione delle direttive affermati dalla Corte di Giustizia CE (sentenza Brasserie du pecheur SA c. Repubblica Federale di Germania e The Queen e Secretary of State for Trasport c. Factortame LTD, Corte di Giustizia CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93) secondo cui:
a.“nell’ipotesi in cui una violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro sia imputabile al legislatore nazionale che operi in un settore nel quale dispone di un ampio potere discrezionale in ordine alle scelte normative, i singoli lesi hanno diritto al risarcimento qualora la norma comunitaria violata sia preordinata ad attribuire loro diritti, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito dai singoli”;
b.“il giudice nazionale non può, nell’ambito della normativa che esso applica, subordinare il risarcimento del danno all’esistenza di una condotto dolosa o colposa dell’organo statale al quale è imputabile l’inadempimento, che si aggiunga alla violazione manifesta e grave del diritto comunitario”; .
c,“il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento”;
d. “subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro urterebbe contro il principio dell’effettività del diritto comunitario, poiché tale presupposto porterebbe ad escludere qualsiasi risarcimento tutte le volte che il preteso inadempimento non abbia costituito oggetto di un ricorso proposto dalla Commissione ai sensi dell’art. 169 del Trattato e di una dichiarazione di inadempimento pronunciata dalla Corte”.
Inoltre, la Suprema Corte (in particolare, Cass. Civ., sez. lav., 5 ottobre 1996, n. 8739; Cass. Civ., 11 ottobre 1995, n. 10617; Cass. Civ., 19 luglio 1995, n. 7832) ha sancito il principio che esclude la natura extracontrattuale della responsabilità dello Stato per mancato o tardivo recepimento di una direttiva, inquadrandola come responsabilità per la violazione di una obbligazione ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria (Cass. Civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147).
Alla luce di quanto sin qui esposto, è evidente che l’inadempimento dello Stato italiano presenta tutte le caratteristiche per concretizzare una responsabilità civile verso tutte le vittime di reati internazionali violenti impossibilitate ad usufruire del meccanismo di indennizzo statale introdotto dal Legislatore comunitario con la Direttiva 2004/80/CE.
In conseguenza per le vittime dei reati intenzionali violenti si apre, quindi, la strada dell’azione risarcitoria nei confronti del Governo italiano con l’amara constatazione che lo stesso Governo, anziché garantire ed indennizzare le vittime dei reati così come previsto dal diritto comunitario, le costringe ad una lunga e costosa trafila giudiziaria che non trova giustificazione alcuna.
Resta intonsa la questione della entità dell’indennizzo, anche ai fini dell’avvio della c.d. Giustizia Riparativa, introdotta dalla Riforma Cartabia, attesa la disparità di trattamento tra vittime di taluni reati più rilevanti e vittime di reati di minore impatto sociale che rimangono furi dalla disiplina indennitaria o risarcitoria con grave pregiudizio economico e morale.