English EN French FR Italian IT Spanish ES

La responsabilità aggravata ex art. 96, 3° co. cpc e il criterio del grado minimo di diligenza

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5191 del 20 febbraio 2023 ha specificato i presupposti in presenza dei quali il giudice, quando pronuncia sulle spese, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”, ex art. 96 terzo comma cpc.

Mercoledi 22 Febbraio 2023

Il caso: Due società, la Alfa s.r.l. e Beta s.r.l., nelle rispettive qualità di cedente e cessionaria di un credito chirografario di euro 2.044.760,00 ammesso allo stato passivo del Fallimento della Società Gamma s.r.l., propongono ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale di reiezione del loro ricorso per la revocazione del decreto di esecutorietà del medesimo stato passivo.

Il Tribunale adito ai sensi dell’art. 98, quarto comma, legge fall. aveva, in primo luogo, escluso la legittimazione ad agire della Alfa s.r.l. per aver questa ceduto il credito a Beta, surrogatasi nella sua posizione processuale di creditrice ammessa al concorso; aveva quindi respinto il ricorso in ragione della ritenuta insussistenza dei vizi revocatori denunciati ed aveva condannato le società al pagamento in favore delle parti resistenti, oltre che delle spese, di una somma determinata in via equitativa ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c..

Per quel che qui interessa, le due società ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., evidenziando l’insussistenza delle condizioni per l’applicazione della fattispecie ivi delineata.

La Suprema Corte, nel ritenere infondata la censura, osserva quanto segue:

a) come autorevolmente affermato da questa Corte, con sentenza resa, a Sezioni Unite, il 20 aprile 2018, n. 9912, la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda;

b) sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché può considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione;

c) nel caso di specie, il Tribunale, nel far conseguire la condanna ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. alla «assolta infondatezza del ricorso», ha fatto discendere la predetta sanzione processuale dalla manifesta infondatezza dell’opposizione e dalla palese inconsistenza giuridica dei relativi motivi.

Condividi