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Le differenze tra innovazione e modifica di una parte comune in condominio

Con ordinanza emessa in data 13 dicembre 2022, n. 36389, la Corte di Cassazione, Sezione VI, si è pronunciata su due motivi di censura, in virtù di impugnativa a delibera condominiale ex art. 1137 c.c., intentata da una condomina per ottenere l’autorizzazione di aprire un terrazzo a tasca sul tetto condominiale, nella parte sovrastante il proprio appartamento, negata dall’adunanza condominiale. Si costituiva il Condominio che riteneva infondata tale impugnativa a delibera condominiale.

Il Tribunale di Savona accoglieva l’impugnativa con sentenza n. 189/2015, annullando la deliberazione.

Mancanza di quorum deliberativo: la vicenda

La Corte d’appello di Genova, con pronuncia dell’11.11.2021, n. 1137, accoglieva il gravame del Condominio, riformando di toto la sentenza di primo grado, considerando il mancato raggiungimento il “quorum dei 2/3” per potere eseguire i lavori, ex art. 1120 c.c., considerandoli innovazione e rilevando che, ai sensi dell’art. 1102 c.c., la condomina non aveva dimostrare i limiti sanciti nella disposizione menzionata, e che, nella specie, non erano state dimostrate le tecniche costruttive adoperate al fine di garantire la funzionalità del tetto.

Pur avendo il CTU verificando che i lavori eseguiti avrebbero garantito la impermeabilità del tetto, era rimasta ignota l’effettiva idoneità delle modalità realizzative dell’intervento.

La Corte d’appello aveva così concluso che “in difetto della prova della ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 1102 c.c., l’opera realizzata dalla condomina deva inquadrarsi nella previsione di cui all’art. 1120 c.c., con conseguente legittimità della delibera impugnata”.

Avverso la sentenza della Corte territoriale, l’appellata-condomina proponeva ricorso in cassazione adducendo con due motivi di censura, resisteva con controricorso il Condominio

Questione preliminare: mancata attestazione informatica di conformità della procura

In via preliminare, la Cassazione affrontava e rigettava l’eccezione sollevata dal controricorrente-Condominio in ordine alla mancata attestazione informatica di conformità della procura alle liti notificata anch’essa via PEC in una con il ricorso e sulla mancata menzione “in ordine all’avvenuta notifica della procura alle liti, unitamente al ricorso per cassazione”; ai fini della procura ex artt. 83, comma 3, e 365 c.p.c., incorporata nell’atto di impugnazione, non rileva la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, essendo sufficiente, per l’ammissibilità del ricorso per cassazione, la sua presenza nell’originale (Cass. civ. Sez. Unite, 19 novembre 2021, n. 35466)

Motivi

Nel merito, con il primo motivo del ricorso la ricorrente denunciava la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), quanto al rapporto tra l’art.1120 c.c. e l’art. 1102 c.c., che la sentenza impugnata avrebbe ignorato.

Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via gradata, denunciava l’omesso esame di una prova documentale, consistente in una “perizia illustrativa” relativa alle tecniche costruttive adoperate.

La Suprema Corte riteneva il primo motivo fondato.

Differenze tra innovazione e modifiche delle parti comuni

Le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (Cass. civ. sez. II , 04 settembre 2017, n. 20712; Cass. civ. sez. VI-II, 03 febbraio 2022, n. 3440).

In sostanza la Corte territoriale ha errato nella valutazione della fattispecie posta al suo vaglio, perché

la stessa è del tutto estranea dalla norma ex art. 1120 c.c., la quale regola le modalità di espressione ed i limiti delle attribuzioni dell’assemblea, allorché la maggioranza qualificata dei partecipanti voglia disporre l’intervento con deliberazione che vincola peraltro tutti i condomini a sostenere le spese.

Le modifiche delle parti comuni non richiedono autorizzazione dall’assemblea

A differenza delle innovazioni, le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso, senza alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea, salvo che l’autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’interesse comune, mediante esercizio dell’autonomia privata (Cass. civ. sez. II, 21 maggio 1997, n. 4509).

Innovazione e modificazione delle parti comuni: differenza

La eventuale autorizzazione concessa dall’adunanza, può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo condomino (Cass. civ. sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554).

Principi in diritto

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso della condomina e in accoglimento dello stesso ha enunciato i seguenti principi di diritto:

  1. “Le modificazioni per il miglior godimento della cosa comune (a differenza dalle innovazioni che vengono deliberate dall’assemblea nell’interesse di tutti i partecipanti ai sensi dell’art. 1120 c.c.) possono essere apportate a proprie spese dal singolo condomino con i limiti indicati dall’art. 1102 c.c. e non richiedono alcuna preventiva autorizzazione assembleare, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’esercizio dell’autonomia privata, potendo altrimenti attribuirsi all’eventuale autorizzazione alle modifiche comunque richiesta o concessa dall’assemblea il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante”.
  2. “In tema di impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale, l’onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l’invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna; ove, tuttavia, l’assemblea neghi ad un condomino l’autorizzazione ad apportare modifiche alle parti comuni, così adottando un provvedimento non previsto dalla legge o dal regolamento, avuto riguardo alla posizione delle parti riguardo ai diritti oggetto del giudizio, spetta al condominio dimostrare il superamento dei limiti del pari uso, di cui all’art. 1102 c.c., che possa perciò giustificare la legittima espressione della volontà collettiva dei partecipanti a tutela delle esigenze conservative delle parti comuni”.

In conclusione, la Suprema Corte accoglieva il primo motivo di ricorso, dichiarava assorbito il secondo motivo e cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.

Sentenza
Scarica Cass. 13 dicembre 2022 n. 36389

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