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Legge Pinto: l’avvocato antistatario non è legittimato a chiedere l’indennizzo

L’avvocato antistatario non ha diritto ad ottenere l’indennizzo per l’irragionevole durata del processo nel quale abbia prestato la propria opera professionale, in quanto l’istanza di distrazione delle spese non costituisce domanda introduttiva di uno speciale procedimento disciplinato dall’art. 93 c.p.c., nel quale l’avvocato assume la veste di parte e, pertanto, è soggetto legittimato a far valere la relativa eccessiva durata.

Venerdi 16 Giugno 2023

Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 16567/2023, pubblicata il 12 giugno 2023.

IL CASO: Un avvocato, che aveva prestato nell’ambito di un giudizio la propria attività professionale in favore di una parte privata, quale difensore antistatario, presentava ricorso alla Corte di Appello chiedendo il riconoscimento del proprio diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del predetto giudizio.

Il ricorso veniva rigettato dalla Corte di Appello e la decisione veniva confermata in sede di opposizione promossa dal legale.

La domanda del legale veniva dichiarata inammissibile dai giudici della Corte di Appello in quanto nei procedimenti di cognizione introdotti innanzi alla Corte d’Appello e alla Corte di Cassazione, il ricorrente non era parte, essendo stati entrambi promossi nell’esclusivo interesse della parte assistita. Inoltre, secondo i giudici, era irrilevante, a tal fine, la domanda di distrazione delle spese presentata dal legale quale avvocato antistatario.

Pertanto, quest’ultimo, rimasto soccombente, investiva della questione la Corte di Cassazione, insistendo nella sua richiesta originaria sul presupposto che l’istanza di distrazione delle spese costituisce la domanda introduttiva di uno speciale procedimento, disciplinato dall’art. 93 c.p.c., nel quale l’avvocato antistatario assume la veste di parte e, pertanto, è soggetto legittimato a dolersi della relativa irragionevole durata.

LA DECISIONE: Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Cassazione la quale nel rigettarlo ha richiamato il costante orientamento degli stessi giudici di legittimità secondo cui l’istanza di distrazione delle spese processuali consiste nel sollecitare l’esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali e non introduce, dunque, una nuova domanda nel giudizio, perché non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale.

Gli Ermellini hanno osservato che:

  1. la domanda di distrazione delle spese, che non può essere proposta in un giudizio autonomo e separato, non presenta i caratteri della domanda giudiziale in senso proprio, posto che può essere avanzata anche oralmente all’udienza di discussione della causa, o in sede di precisazione delle conclusioni, o anche nella comparsa conclusionale, sottraendosi al regime processuale di tipo preclusivo e decadenziale proprio della domanda giudiziale;

  2. il distrattario, non è gravato dall’onere della prova della sua dichiarazione di anticipazione delle spese, la quale è da ritenersi vincolante per il giudice, nel senso che questi non ha alcun margine di sindacato su di essa;

  3. di conseguenza, il provvedimento che dispone sulla distrazione, piuttosto che una statuizione della sentenza in senso stretto, è considerato alla stregua di un autonomo provvedimento formalmente cumulato con questa, esclusivamente inerente al rapporto che intercorre tra il difensore ed il suo cliente vittorioso;

  4. in coerenza con tali principi, si è affermato che, in caso di omessa pronuncia sulla distrazione delle spese, il difensore può far luogo non già all’impugnazione della sentenza nelle vie ordinarie, ma soltanto al procedimento di correzione dell’errore materiale;

  5. l’istanza di distrazione ha dunque valenza meramente incidentale ed accessoria, identificandosi in una postulazione soltanto complementare e sussidiaria, occasionata dal processo pendente tra le parti principali, al cui esito – e ai cui tempi – resta condizionata. Accessorietà, peraltro, di secondo grado, giacché derivata ed ulteriore rispetto alla natura già accessoria dell’istanza di liquidazione delle spese.

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