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L’ergastolo ostativo alla luce del D.L. 31 ottobre 2022 n. 162

Oggetto di scrutinio “sono le disposizioni che non consentono al condannato all’ergastolo per i delitti di contesto mafioso, che non abbia utilmente collaborato con la giustizia, di essere ammesso al beneficio della liberazione condizionale, pur dopo aver scontato la quota di pena prevista e pur risultando elementi sintomatici del suo ravvedimento”.

Lunedi 14 Novembre 2022

All’ udienza dello scorso 8 novembre, dopo due ore di camera di camera di consiglio, la Consulta ha ritenuto di restituire gli atti alla Cassazione (dopo due rinvii disposti per concedere al legislatore il tempo opportuno per intervenire sull’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario) che dovrà, nuovamente valutare se, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, persistono dubbi di costituzionalità sulla disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo.

Era, infatti, attesa la decisione sulla questione di legittimità costituzionale – sollevata dalla Suprema Corte – degli articoli 4-bis comma 1 e 58-ter della legge n. 354 del 1975 e dell’art. 2 d.l. n. 152 del 1991, “nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale”.

La Corte Costituzionale ha ritenuto di motivare la scelta, in attesa del deposito dell’ordinanza,con una nota dalla quale si evince che la scelta di restituire gli atti si è resa necessaria in quanto il procedimento dal quale si è originato l’intervento della Consulta stessa riguardava la normativa precedente che escludeva dai benefici coloro i quali avessero commesso reati gravi, come reati di mafia e di terrorismo. Nella nota, infatti, si legge che: “le nuove disposizioni incidono immediatamente e direttamente sulle norme oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, trasformando da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici a favore di tutti i condannati per reati cosiddetti “ostativi”, che non hanno collaborato con la giustizia. Costoro sono ora ammessi a chiedere i benefici, sebbene in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo”.

Nella relazione che accompagna il testo del decreto legge n. 162 viene specificato che per ottenere i benefici, i condannati all’ergastolo per reati associativi dovranno allegare l’esistenza di “elementi specifici che consentano di escludere (…) sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi”. Dovranno, altresì, dimostrare di “aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilitàdi tale adempimento”.

Non potranno, inoltre, chiedere la liberazione condizionale prima che siano stati scontati trent’anni di pena carceraria. Per ottenere l’accesso ai benefici, dovranno produrre, innanzi al giudice di Sorveglianza, elementi “diversi e ulteriori”, non essendo sufficiente la semplice dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale della quale si è fatto parte. Il magistrato, nel valutare circa l’accoglimento o il rigetto della domanda, dovrà tener conto delle circostanze “personali e ambientali” e delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, nonché “accertare la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa”.

Per questo motivo la Consulta ha ritenuto spetti alla Cassazione valutare se i profili di incostituzionalità che avevano originato il ricorso sono stati risolti dalla nuova legge oppure no: “verificare gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate, nonché procedere a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza”.

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