L’omessa previsione del risarcimento del danno nel programma di messa alla prova
Avv. Alessia Cavezzan.
La Corte Suprema definisce i requisiti in presenza dei quali la mancata previsione del risarcimento del danno non impedisce l’ammissione e la positiva conclusione della messa alla prova (commento a sentenza 2 Sezione Penale, nr. 44887 dell’8.11.2022).
Giovedi 1 Dicembre 2022 |
La Corte di Cassazione, con la sentenza che qui si commenta, ha avuto occasione di pronunciarsi in merito alla idoneità del programma di messa alla prova che non preveda attività risarcitorie e/o riparatorie da eseguirsi a carico dell’imputato.
Il Procuratore Generale si doleva infatti della sentenza con la quale il Tribunale di Firenze aveva dichiarato l’estinzione del reato di ricettazione di un telefono cellulare per esito positivo della messa alla prova perché il programma ammissivo non conteneva prescrizioni inerenti il risarcimento del danno.
La Corte di Cassazione ha in primo luogo valutato l’ammissibilità dell’appello, richiamata la recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Corte Suprema (udienza del 27.10.2022) che ha deciso che “il procuratore generale è legittimato, ai sensi dell’art. 464 quater comma 7 cod. proc. pen. ad impugnare con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’art. 606 cod. proc. pen., l’ordinanza di ammissione alla prova ritualmente comunicatagli ai sensi dell’art. 128 cod. proc. pen. In conformità a quanto previsto dall’art. 586 cod. proc. pen. in caso di omessa comunicazione dell’ordinanza è legittimato ad impugnare quest’ultima insieme con la sentenza al fine di dedurre anche motivi attinenti ai presupposti di ammissione alla prova”.
Premessane l’ammissibilità, la Corte ha comunque ritenuto l’appello infondato, ritenendo che il risarcimento del danno diviene condizione imprescindibile della ammissione alla messa alla prova solo nei seguenti 2 casi:
1) ove il danno sia determinabile;
2) ove il danno sia stato richiesto dalla persona offesa comparsa a seguito di rituale citazione nel procedimento ammissivo della messa alla prova.
Con la conseguenza che, nel caso in cui manchino tali condizioni, vale a dire laddove la persona offesa non abbia mai avanzato richiesta di danno o il giudice (anche su istanza del p.m. e in base alle allegazioni dello stesso) non abbia determinato il danno risarcibile, le altre previsioni del programma di messa alla prova (svolgimento del lavoro di pubblica utilità e l’affidamento in prova ai servizi sociali), ove positivamente svolte, possono condurre legittimamente il giudice ad emettere decisione di positiva conclusione del procedimento. La Corte è pervenuta alla suesposta conclusione, partendo dalla locuzione “ove possibile” contenuta nel secondo comma dell’art. 168 bis c.p. che indica i contenuti da inserirsi nei programmi di messa alla prova.
Inoltre, secondo il ragionamento espresso nella sentenza in commento, tale conclusione risulta avvalorata anche dal contenuto di precedenti pronunce (Sez. 2 nr. 34878 del 13/06/2019) che avevano già sostenuto come l’adeguatezza del programma presentato dall’imputato andasse valutato sulla base dei criteri di cui all’art. 133 c.p., in relazione non solo alla sua idoneità a raggiungere lo scopo del reinserimento sociale ma anche alla sua rispondenza alle condizioni di vita dell’imputato. Era infatti già stato affermato che tale idoneità dovesse essere ritenuta sussistente, in relazione al requisito del richiesto risarcimento del danno, laddove fosse previsto un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o, comunque, espressione dello sforzo massimo sostenibile dell’imputato alla luce delle condizioni economiche, che possono sempre essere verificate direttamente dal Giudice (ex art. 464 bis comma 5: “Al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato “).
Conclusivamente, con la sentenza qui in commento, la Corte Suprema ha non solo dato completa applicazione alla voluntas legis di richiedere il risarcimento del danno ai fini dell’ammissione alla messa alla prova solo “ove possibile” ma ha anche fornito i requisiti che legittimano la mancata previsione del risarcimento del danno nei programmi di messa alla prova.