Maltrattamenti in famiglia: criterio di individuazione della competenza per territorio
A cura della Redazione.
Con la sentenza n. 7185/2024 la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha risolto il conflitto di competenza insorto nell’ambito di un procedimento penale per il reato di maltrattamenti.
Martedi 19 Marzo 2024 |
Il caso: . Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, pronunciando sulla richiesta di applicazione di misura cautelare presentata dal locale Procuratore della Repubblica nei confronti di Tizio, sottoposto ad indagini preliminari per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato, declinava la propria competenza per territorio in ragione della commissione delle più risalenti condotte illecite, integranti gli elementi costitutivi del reato oggetto di addebito, in un torno di tempo in cui l’indagato e le vittime vivevano in una località compresa nel circondario del Tribunale di Tivoli.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, a sua volta investito della richiesta cautelare del pari, declinava la propria competenza, sollevando il relativo conflitto negativo.
Per la Cassazione la competenza per materia spetta al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, sulla base dei seguenti rilievi:
a) il delitto di maltrattamenti in famiglia appartiene alla categoria del reato abituale, caratterizzata dalla sussistenza di una serie di fatti che, isolatamente considerati, potrebbero anche essere non punibili e che, nondimeno, integrano il reato per la loro reiterazione, che si protrae nel tempo, oltre che per la persistenza dell’elemento intenzionale;
b) per la configurabilità di tale reato è, dunque, essenziale il nesso unificante della abitualità delle condotte, poste in essere reiteratamente dall’agente con l’intenzione di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali, onde ogni successiva condotta di maltrattamento si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario;
c) la peculiare struttura, perdurante e continuativa, del delitto – nel quale ogni azione si salda alla precedente, dando vita ad un reato unitario, definito “reato di durata” – comporta che esso si perfeziona con il compimento dell’ultimo atto della serie, sicché la competenza per territorio si radica innanzi al giudice del luogo in cui l’azione diviene complessivamente riconoscibile e qualificabile come maltrattamento e, dunque, nel luogo in cui la condotta venga consumata all’atto di presentazione della denuncia, cioè in quello di realizzazione dell’ultimo dei molteplici fatti caratterizzanti il reato;
d) laddove si discuta di reato abituale non è, in altri termini, necessario, dal punto di vista giuridico, individuare il momento iniziale della consumazione, in relazione ad una condotta di cui, in quel frangente, non può prevedersi l’inquadramento futuro, o che potrebbe non dar vita ad un procedimento penale per mancanza di una condizione di punibilità ma che assume, invece, rilevanza penale nella considerazione del comportamento complessivo;
e) nel caso in esame, la persona offesa ha esposto, nella denuncia da cui ha preso avvio il procedimento penale a carico del marito, che i maltrattamenti, pur commessi, inizialmente, all’interno del circondario di Tivoli, ove la famiglia, al tempo, risiedeva, sono proseguiti, dopo il trasferimento in altra città, R., ancora per sei anni;
f) ciò induce a ritenere, nella prospettiva considerata, che la denuncia sporta dalla vittima ha reso riconoscibili condotte illecite, senz’altro qualificabili, in base al suo racconto, ai sensi dell’art. 572 cod. pen., la cui abitualità si è protratta, in forza della reiterazione delle vessazioni, in costanza di permanenza del nucleo familiare in R.: pertanto non vi è da dubitare, in applicazione del criterio discretivo enucleato, del radicamento della competenza territoriale presso l’autorità giudiziaria di Roma.