Matrimonio non consumato e diritto all’assegno di divorzio.
L’assenza di rapporti sessuali in costanza di matrimonio, pur essendo causa di scioglimento del vincolo, non preclude il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge.
Mercoledi 15 Febbraio 2023 |
“La non consumazione del matrimonio non incide, di per sè, sull’esistenza e sulla validità giuridica del matrimonio, come atto e come rapporto, ma è causa di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, cosicché essa non tocca – di per sè – la validità e idoneità del matrimonio a produrre effetti sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, né incide sull’applicabilità della normativa relativa all’assegno di divorzio”.
Questo il principio ripreso dalla Prima Sezione Civile della Cassazione, con sentenza n. 3645 del 7 febbraio 2023.
La Corte d’appello di Bologna, riformava parzialmente la pronuncia del Tribunale di cessazione degli effetti civili del matrimonio per mancata consumazione ( art. 3 , n. 2, lett. F, L. n. 898/1970), con l’obbligo, da parte dell’ex marito, di versare alla ex coniuge, a titolo di assegno di divorzio, la somma mensile di euro 750,00. I giudici d’appello giungevano a siffatta conclusione, dopo aver acquisito le relazioni mediche dalle quali emergeva l’assenza di rapporti sessuali già durante il fidanzamento e nei primi due anni di matrimonio e la sopravvenuta relazione affettiva che la donna, nel 2014, aveva intrapreso con un altro uomo e che gli stessi avevano valutato essere indicativa di un progetto comune di vita (nonostante i luoghi di residenza fossero collocabili in due città diverse). Avverso la pronuncia, la donna proponeva ricorso per cassazione. Tralasciando i singoli motivi addotti dalla ricorrente, importante è la valutazione dell’unico motivo sollevato con ricorso incidentale dall’ex coniuge (e dichiarato inammissibile dalla Cassazione) nel quale viene contestata la prova della mancata consumazione del matrimonio, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.
Per la Corte, il giudice di merito, nel valutare gli elementi indiziari e presuntivi alla base della sua decisione, esercita un ampio potere discrezionale che gli consente di scegliere gli argomenti ritenuti più attendibili, “deducendo univocamente il fatto ignoto dai fatti noti attraverso un procedimento logico fondato sul criterio dell’ id quod plerumque accidit”. Di conseguenza, non è censurabile in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito, se correttamente motivato, circa la valutazione dei requisiti di precisione, di gravità e di concordanza richiesti dalla legge.
Sono state, di contro, ritenute fondate le tre censure sollevate nel ricorso principale ( vizio di motivazione, vizio di motivazione apparente e vizio di violazione di legge). Per gli Ermellini, la Corte d’appello ha basato la propria decisione (per l’accertamento della sussistenza di un legame stabile e duraturo tra la ricorrente ed il nuovo compagno, in assenza di una convivenza o coabitazione tra i due), su delle semplici valutazioni di un rapporto investigativo di alcuni mesi, dai quali emergeva la frequentazione della donna dell’abitazione del compagno e la documentazione attestante l’acquisto, da parte della stessa, di generi alimentari idonei a dimostrare che essa “ provvede ai materiali bisogni del suo nuovo nucleo famigliare”.
Nessuna prova, dunque, dell’esistenza di un effettivo, comune, progetto di vita tra la donna e il terzo. A parere della Corte, l’esistenza di una relazione sentimentale stabile, idonea ad interrompere, inequivocabilmente, il legame con la precedente esperienza matrimoniale, va accertata in modo rigoroso, così come prescritto dal primo comma dell’art. 2729 cod. civ., il quale richiede di procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi valutati singolarmente nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio.
A tal proposito, la Corte richiama la sentenza delle Sezioni Unite, n. 32198/2021 (investite sulla questione della necessità o meno della cessazione del diritto all’assegno divorzile per effetto della convivenza stabile dell’ex coniuge con un terzo), nella quale si fa espresso richiamo ad alcuni parametri, (come l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari od altre patrimonialità, la contribuzione al menage familiare), al fine di poter affermare l’esistenza di un nuovo progetto di vita dal quale devono discendere contribuzioni economiche reciproche. L’onere della prova incombe, in questo caso, su colui che contesti il diritto all’assegno. Gli elementi posti alla base della decisione della Corte territoriale, non dimostrano l’esistenza del richiesto progetto di vita comune e, di conseguenza, nemmeno dell’eventuale compartecipazione economica di entrambe le parti in tal senso.
Per tali motivi, la Suprema Corte nell’accogliere i primi tre motivi del ricorso principale, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’appello in diversa composizione.