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Messaggio denigratorio inviato a singoli destinatari su FB: è sempre diffamazione?

A cura della Redazione.

Nel caso in cui, ci siano state più comunicazioni, ma tutte indirizzate ad un singolo destinatario, l’elemento oggettivo della diffamazione può sussistere solo nell’ipotesi in cui l’agente, pur comunicando direttamente con un’unica persona, esprima la volontà o ponga comunque in essere un comportamento tale da provocare, da parte dell’agente medesimo, l’ulteriore diffusione del contenuto diffamatorio attraverso il destinatario

Giovedi 7 Marzo 2024

In tal senso di è espressa la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 5701/2024 in tema di diffamazione tramite messaggi postati su Social.

Il caso: Tizio citava in giudizio Mevia, con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, per sentirla condannare al risarcimento dei danni provocatigli, in particolare per averlo screditato agli occhi di amici e colleghi inviando mail e messaggi tramite Facebook con l’intento preciso di danneggiarlo ed di isolarlo dal contesto degli amici e colleghi di lavoro.

Il tribunale adito accoglieva la domanda risarcitoria per diffamazione, condannando Mevia al risarcimento del danno morale nei confronti di Tizio per euro 5.000; la Corte d’Appello rigettava invece integralmente la domanda risarcitoria, ritenendo mancassero gli estremi della diffamazione, in quanto i messaggi erano stati inviati dall’appellante verso un unico destinatario alla volta, quindi in forma riservata e senza superare i limiti della continenza: la Corte distrettuale rilevava che:

a) le comunicazioni di Mevia con i due amici di Tizio, avvenute in tempi diversi e a mezzo di uno scambio di messaggi su Facebook, erano indirizzate ad un singolo interlocutore per volta, e quindi mancava l’elemento oggettivo richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per integrare la diffamazione, costituito dalla comunicazione diretta ad una pluralità di destinatari.;

b) inoltre in merito anche al contenuto delle comunicazioni, le riteneva prive di valenza denigratoria, ritenendole semplicemente espressione della delusione personale e della preoccupazione dell’appellante a fronte degli atteggiamenti ritenuti immaturi assunti dal proprio ex.

Tizio ricorre in Cassazione, deducendo in particolare:

1) l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, avendo erroneamente ritenuto la corte d’appello che i messaggi di Mevia erano stati indirizzati a due amici di Tizio, separatamente, quindi in forma confidenziale e riservata, senza considerare che di uno dei messaggi era venuta a conoscenza anche una terza persona;

2) in caso di diffamazione commessa mediante scritti, sussiste il requisito della comunicazione con più persone, necessario per integrare il reato, anche quando le espressioni offensive siano state comunicate a una sola persona ma destinate ad essere riferite almeno ad un’altra persona che ne abbia poi effettiva conoscenza.

Per la Cassazione il ricorso deve essere rigettato sulla base delle seguenti motivazioni:

– la corte d’appello ha escluso che le espressioni usate da Mevia esprimessero, oltre che una delusione personale e una certa preoccupazione sul conto del suo ex, anche la consapevolezza che quelle espressioni, pur non direttamente offensive, avrebbero potuto avere comunque l’effetto di tracciare un quadro non lusinghiero del ricorrente, dipinto indirettamente come una persona instabile e immatura;

– in merito poi alla configurabilità o meno del presupposto obiettivo della diffamazione, integrato dall’essere stata la comunicazione indirizzata a una pluralità di destinatari, gli Ermellini osservano che nel caso in cui, come nella specie, ci siano state più comunicazioni, ma tutte indirizzate ad un singolo destinatario, l’elemento oggettivo della diffamazione, integrato dalla diffusività della condotta denigratoria, potrebbe sussistere solo nell’ipotesi in cui l’agente, pur comunicando direttamente con un’unica persona, esprima la volontà o ponga comunque in essere un comportamento tale da provocare, da parte dell’agente medesimo, l’ulteriore diffusione del contenuto diffamatorio attraverso il destinatario;

– non si può affermare, senza ribaltare la distribuzione degli oneri probatori, che in mancanza di una prova del divieto di diffusione da parte del mittente, si presume che i messaggi inviati tramite social network sui canali di posta privati siano destinati alla diffusione o che, comunque, il mittente abbia consapevolmente accettato il rischio della diffusione da parte del destinatario e debba subire, per questo, le conseguenze dell’eventuale diffusione qualora essa integri un obiettivo discredito della persona di cui si parla.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 5701 2024

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