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Nuova modalità di proselitismo e di informativa sindacale: il volantinaggio elettronico

1. L’art. 21 della Costituzione e l’art. 1 dello Statuto dei lavoratori

La libertà di espressione è un diritto che la Costituzione repubblicana e democratica ha solennemente riconosciuto all’art. 21, con la formula per cui: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il loro pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione».

Titolare di questo diritto soggettivo «astrattamente» contemplato – e che il legislatore ordinario ha concretizzato nelle modalità e condizioni, per quanto attiene al suo esercizio nei luoghi di lavoro – è pertanto ciascun cittadino-lavoratore, a prescindere dal ruolo o carica (sindacale o meno) dallo stesso eventualmente rivestita sul luogo di lavoro.

Le condizioni apposte dall’art. 1 dello Statuto dei lavoratori, in vista di mantenere il diritto in un ambito di rispetto delle esigenze funzionali dell’attività produttiva, sono esplicitate in modo piuttosto generico per effetto di un iter formativo contrastato, a causa di una formulazione compromissoria secondo la quale la manifestazione del pensiero nei luoghi di lavoro da parte dei lavoratori – senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa – deve avvenire «nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge», per tale intendendosi lo Statuto dei lavoratori.

Comunque, pur con i suesposti difetti di genericità e la sua appendice di ovvietà, l’art. 1 dello Statuto assurge ad un elevato livello di significatività poiché, suo tramite, si affermò nel 1970 – emblematicamente ed in contrapposizione alla concezione riassumibile nella formula per cui «in azienda si viene solo per lavorare» – che, nella tipica “formazione sociale” costituita dalla comunità di lavoro aziendale, il lavoratore, lungi dall’abdicare alla propria personalità deve trovare le condizioni per realizzarla pienamente, in conformità all’art. 2 Cost., fruendo del diritto assoluto di libertà espressiva, tuttavia, in modo tale da non trasformarlo in illegittimo abuso.

Mosso da questo intento, il legislatore Statutario, sia pure con la generica disposizione sopra citata (con la quale l’art. 1 operò un richiamo al rispetto dei principi costituzionali), intese:

a) salvaguardare i diritti datoriali di autonomia ed ordinata organizzazione dell’attività d’impresa;

b) riconfermare le immanenti obbligazioni nascenti dall’istaurato rapporto di lavoro, nonché:

c) correlare l’esercizio del diritto di libertà espressiva a quelle condizioni o limitazioni di agibilità discendenti dalle successive disposizioni della legge stessa, tra cui si collocano l’art.25 e l’ l’art. 26, relativo al proselitismo a favore delle Oo.Ss. all’interno dei luoghi di lavoro, notoriamente legittimato a condizione di un esercizio garante di non arrecare «pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale».

2. Condizioni per l’esercizio del diritto individuale di libertà espressiva, in azienda

Pertanto, sulla base dell’art. 1, l. n. 300/1970 (cd. Statuto dei lavoratori) ciascun lavoratore in azienda può manifestare il proprio pensiero – nelle forme più idonee a realizzare lo scopo prefissosi – quali, ad esempio, cointeressare i compagni in proprie iniziative, portare a conoscenza degli stessi le proprie opinioni, prendere posizione aperta nei confronti di (o in replica ad) iniziative del datore di lavoro o delle Oo.Ss. e simili. Gli strumenti attuativi del diritto di espressione sono, notoriamente, il dialogo, il dibattito, lo scritto, il “volantinaggio” di stampati o comunicati propri o – se di altri – fatti propri per una interiorizzazione contenutistica ed un’identificazione di posizioni ed interessi, senza peraltro, per questa via, porre in essere un’attività di propaganda vera e propria. Propaganda che, secondo la Corte costituzionale non sarebbe – con granitica certezza (anzi dubbiosamente) – coperta dalla libertà di espressione ex art. 21 Cost.i.

Gli unici limiti che anche il singolo – a prescindere dalla sua appartenenza a strutture sindacali, politiche o associative – incontra nell’attività di manifestazione del pensiero sono quelli discendenti:

a) dalla legge penale (norme a tutela dell’onorabilità delle persone), talché la violazione – attraverso la denigrazione o la calunnia – occasiona la reazione legalmente disposta;

b) dagli obblighi di esecuzione della prestazione (ex art. 2104 c.c.) che non può essere sospesa o interrotta per esercitare lo specifico diritto ii, talché l’interessato potrà operare nelle pause, nei riposi, negli intervalli di mensa, agli ingressi – prima dell’inizio del lavoro – o all’uscita, a fine orario;

c) dal divieto di intralciare l’organizzazione del lavoro; situazione che si concretizza pacificamente qualora l’attività manifestativa induca gli altri lavoratori al disimpegno o ad un’apprezzabile sospensione della loro prestazione o a disservizi similari.

La dottrina e la giurisprudenza prevalente hanno oramai raggiunto soluzioni concordi sulla sussistenza dei limiti sopra esposti iii.

3. L’ampiezza del diritto individuale di espressione

Chiaramente non opera – a proposito della libertà di opinione e di espressione individuale – il limite che il legislatore ha apposto alle materie oggetto dell’assemblea sindacale (ex art. 20) e al diritto di affissione delle Rsa (ex art. 25) per l’esercizio dell’ultimo dei quali, peraltro, ha disposto l’obbligo della cooperazione datoriale, nella forma della predisposizione di spazi ed albi, in luoghi accessibili a tutti i lavoratori; limite, peraltro, di sola natura contenutistica per cui le materie di discussione ed i testi e/o comunicati per l’affissione debbono essere di «carattere sindacale e del lavoro».

Ne consegue che il diritto di manifestazione della libertà di opinione dei singoli potrà investire sia gli aspetti sindacali, sia gli aspetti ideologico-politici, sia quelli religiosi, sia quelli di natura socio-economica generale o inerenti all’organizzazione e alla gestione aziendale. Il tutto nei confini del penalmente lecito e senza lesione della proprietà o dei beni del datore di lavoro (situazione che potrebbe, invece, concretizzarsi per effetto di particolari e vietate modalità, quali: l’affissione sui cancelli o sui muri di striscioni o comunicati, la scritta imbrattante sulle pareti, ecc.).

4. Il proselitismo propagandistico a fini sindacali

L’attività di proselitismo dispiegata dai sindacati nei luoghi di lavoro è una manifestazione della libertà di espressione del pensiero ex art. 21 Cost., finalizzata ad interessare i lavoratori, ad orientarli su certe posizioni ideologiche (in senso lato) e di solidarietà professionale con l’intento della loro aggregazione in seno all’Organizzazione sindacale.

È la forma eletta di proselitismo associativo e si estrinseca nelle modalità più varie: nella riunione (assemblea ex art. 20, l. n. 300/1970), nell’informativa mediante affissione (nelle bacheche, albi o spazi ex art. 25), nel dialogo di convincimento accompagnato sovente dalla consegna di stampati che, qualora assuma carattere intensivo, viene designata – nell’uso comune e nella prassi sindacale – come «volantinaggio».

Interessa, nella dinamica del rapporto di lavoro, conoscere le condizioni di legittimità di tale forma strumentale di manifestazione del pensiero che ha occasionato – sia in dottrina sia in giurisprudenza – orientamenti difformi: taluni nel senso dell’insussistenza di vincoli, altri (più esattamente) nel senso che l’iniziativa comunicativo/manifestativa incontra sia i limiti discendenti sia dall’ordinato svolgimento della produzione (in aderenza all’obbligo di rispetto dell’iniziativa privata, ex art. 41 Cost.), sia dalle obbligazioni contrattuali (e legali) di diligente esecuzione della prestazione lavorativa da parte del lavoratore in quanto tale (o in veste di attivista sindacale), come da parte degli altri dipendenti dallo stesso avvicinati.

L’opera dell’attivista sindacale, qualificata e finalizzata a favore delle Oo.Ss., è stata sottoposta dall’art. 26 – apertis verbis – alla condizione garantista del non arrecare «pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale». A differenza ed in più del singolo lavoratore, l’attivista sindacale rivestente la qualifica di dirigente di Rsa beneficia – nell’opera propagandistica – della “prerogativa di inesecuzione della prestazione, fruendo dei permessi retribuiti ex art. 23 Stat. lav. e quindi di condizioni di agibilità maggiori per una finalità associativa e di tutela delle condizioni di lavoro, considerata dal legislatore indubbiamente meritoria.

Sarebbe, tuttavia, inesatto ritenere che lo Statuto dei lavoratori abbia conferito una situazione di monopolio espressivo alle sole Oo.Ss. o ai lavoratori sindacalmente associati o membri di Rsa, anche se è fuori dubbio che queste – attraverso il diritto di affissione – fruiscono di una condizione di favore pienamente giustificata, a nostro avviso, dalla natura collettiva degli interessi rappresentati e tutelati.

Per inciso va sottolineato che spesso il Sindacato o le Rsa hanno preferito ed anteposto all’affissione in baccheca – prima dell’affermarsi delle aggiornate modalità di comunicazione telematica – il «volantinaggio» manuale, in quanto si sono resi conto che la distribuzione dello stampato, effettuata nei punti strategici di accesso o di uscita dal lavoro, consentiva ai lavoratori destinatari il superamento di quelle situazioni di pigrizia individuale, di quelle difficoltà logistiche o di quelle remore psicologiche che, a tutt’oggi, in diversi ambienti di lavoro, impediscono al lavoratore di esporsi ad essere visto, anche soltanto sostare, in lettura, presso gli albi sindacali.

5. Il volantinaggio manuale e quello elettronico

In epoca anteriore all’attuale, il volantinaggio manuale, ha integrato o soppiantato l’affissione dei comunicati sindacali negli albi aziendali, intuitivamente anche per la maggiore fruttuosità potenziale del metodo usato, per una evidente analogia con le tecniche pubblicitarie o commerciali della tentata vendita «porta a porta», rivelatesi più incisive e penetranti dei sistemi tradizionali di acquisto affidati all’iniziativa dell’utente/consumatore. Ciò, per le sue caratteristiche di capillare contatto o avvicinamento dei destinatari e al tempo stesso per l’essere sistema meno petulante e anacronistico della propaganda effettuata a mezzo sistemi di amplificazione (megafoni, altoparlanti, ecc.), suscettibili – tra l’altro – di imbattersi per i loro effetti sonori nel divieto di pregiudicare il normale svolgimento dell’attività lavorativa, inibito espressamente dal comma 1 dell’art. 26 dello Statuto. Il ricorso a tali strumentazioni sonore di richiamo può, infatti, introdurre elementi di distrazione dell’attenzione – particolarmente pericolosi per l’incolumità fisica degli addetti a macchinari o dei lavoratori impegnati in delicati processi chimici – e, in ogni caso, negativamente interferire sull’attività di coloro che sono impegnati in attività concettuali, che richiedono condizioni ambientali per una serena concentrazione e riflessione.

È stato osservato, condivisibilmente, in dottrina e in giurisprudenza, come l’enunciazione del limite all’attività di propaganda e proselitismo nelle sedi di lavoro, in termini di “inesistente” turbativa al normale svolgimento dell’attività, già di per sé escluda la compatibilità dell’esplicazione in orario di lavoro delle iniziative individuali e/o sindacali di “relazione” in molteplici attività lavorative caratterizzate da impegno assiduo o di estrema concentrazione (operazioni di addetti a catene di montaggio, ad impianti a ciclo continuo, ricorrenti nei settori della meccanica e siderurgia, in attività di analisi e combinazione di fattori chimici e simili), ove la distrazione ingenerata dall’iniziativa di proselitismo attivata con le precitate modalità rumorose, oltre a risultare pregiudizievole in termini di produttività aziendale, può concretizzare reali rischi alla sicurezza personale o dei terzi. È stato anche detto, tuttavia più ragionevolmente, che una flessione minima della produttività aziendale conseguente al coinvolgimento dei destinatari, inevitabilmente indotti a trascurare per qualche momento il dovere di prestazione per intrattenersi e dialogare con l’attivista, commentare, eventualmente replicare (o leggere lo stampato distribuito, in caso di volantinaggio), non configurerebbe lesione del limite – specie in realtà aziendali di esplicazione di lavoro intellettuale quali sono gli uffici – in quanto la legge avrebbe indirizzato la sua attenzione su una nozione di “normale” attività lavorativa e, conseguentemente, avrebbe salvaguardato solo l’aspetto della “media” produttività aziendale, e non già l’assoluta “assenza” di una pur minima flessione o turbativa.

Va comunque sottolineato che, in alcuni casi concreti, sia di interruzione della prestazione per compiere attività sindacale di relazione con i compagni di lavoro sia di volantinaggio manuale vero e proprio, la Cassazione ha ritenuto – nel primo caso – pertinente il richiamo alla ripresa lavorativa rivolto da un capo reparto ad un sindacalista «in quanto il diritto dei lavoratori di espletare attività sindacale nei luoghi di lavoro e durante l’orario di lavoro, non si traduce nell’indiscriminata autorizzazione del singolo dipendente, ancorché rappresentante sindacale aziendale, ad interrompere, di propria iniziativa, il lavoro per svolgere attività sindacale anche se queste non si concretizzino in discussioni vere e proprie, ma implichino tempi minori, come nel caso di comunicazioni al personale o di espressione di determinate doglianze, dovendo tali interruzioni trovare giustificazione e legittimazione nell’ambito della disciplina della l. n. 300 che implicano il ricorso all’utilizzo, con le relative modalità della richiesta scritta e del preavviso, dei permessi sindacali ex artt. 23 e 24» iv. Nel caso del volantinaggio effettuato in uffici (locali di una Cassa di risparmio e azienda finanziaria), la Suprema Corte ha statuito il principio per cui «la distribuzione di comunicati di contenuto sindacale all’interno dei luoghi di lavoro (cd. «volantinaggio»), assimilabile all’attività di proselitismo, incontra il limite segnato dall’art. 26, comma 1, Statuto dei lavoratori, sicché è da ritenersi consentita soltanto se effettuata “senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale”». Il limite costituito dall’assenza/minimizzazione di detto pregiudizio risulta stabilito non tanto nei confronti di coloro che sono soggetti alla situazione giuridica tutelata (i rappresentanti sindacali), per confermare il persistente loro dovere di prestazione lavorativa, che non può venir meno se non in virtù di regolare permesso ex art. 23 Stat. lav, quanto per contenere gli effetti dell’indicata iniziativa sindacale sull’attività lavorativa dei destinatari, suscettibile di essere pregiudicata per la potenziale idoneità dell’iniziativa stessa a distoglierli “incisivamente” (e non già in una tollerabile forma marginale) dall’esecuzione dei loro compiti di lavoro.

La Cassazione ha tuttavia mitigato l’assolutezza del “divieto assoluto” coltivato e auspicato dalle aziende, statuendo, sin dal 1986, che «L’esistenza di siffatto limite non significa però che l’attività di volantinaggio manuale sia a priori preclusa durante l’orario di lavoro, in difetto di un espresso divieto di legge, ove, non solo sia compiuta da lavoratori in regolare permesso quali dirigenti di rappresentanza sindacale aziendale, ma soprattutto quando, avuto riguardo alle caratteristiche organizzative dell’impresa e al tipo di lavoro cui siano addetti i destinatari della distribuzione dei volantini, risulti di fatto non pregiudicato l’ordinato svolgimento della vita aziendale, sotto il profilo funzionale e produttivo. È onere del rappresentante sindacale, in caso di divieto datoriale al volantinaggio in orario di lavoro ed in caso di ricorso ex art. 28 per attività antisindacale, provare che le modalità del volantinaggio non sono tali da pregiudicare il normale svolgimento dell’attività aziendale» (così, Cass. n. 5089/1986) v.

L’evoluzione tecnologica e lo sviluppo telematico (tramite la rete, la posta elettronica , internet, ecc.) ha determinato il venir meno di tali inconvenienti e delle relative diatribe, occasionando – da parte delle aziende più avvedute o mentalmente più aperte – la sostituzione degli spazi materiali (albi o bacheche per l’affissione dei comunicati sindacali) con la predisposizione di “spazi” virtuali (cd. canali, caselle, account di posta elettronica, distinti da quelli aziendali), tramite i quali consentire la circolazione delle comunicazioni sindacali ai dipendenti, da parte delle RSA o di singoli dirigenti sindacali.

6.Il significativo ruolo svolto dalla giurisprudenza

Antesignana, nella legittimazione al ricorso al cd. “volantinaggio elettronico” per le comunicazioni sindacali, può essere considerata una datata decisione della Pretura milanese vi che riconobbe alle Rsa dell’azienda IBM il diritto di pubblicizzare e veicolare le proprie comunicazioni sindacali – secondo una lettura evolutiva dell’art. 25, l. n. 300/1970 – attraverso lo spazio virtuale della posta elettronica (utilizzato abitualmente dall’azienda stessa per iniziative di informazione al personale, ivi incluse quelle di contro informazione sindacale), attivabile nel computer in rete, operando così un’interpretazione del diritto statutario di affissione in «appositi spazi», allineata alle nuove tecnologie utilizzate per la circolazione e diffusione delle informazioni tra i dipendenti aziendali.

Le odierne (identiche) sentenze n. 35643 e n. 35644 del (22 e 5 dicembre 2022) della Corte di Cassazione (redatte dalla stessa relatrice) discendono dall’esame di ricorsi ex art. 28, L. 300/1970, promossi dall’ Organizzazione Sindacale Fiom-Cgil, avverso una grande azienda metalmeccanica catanese, volti a far accertare l’antisindacalità della condotta posta in essere dalla datrice di lavoro, consistita nell’aver sanzionato disciplinarmente un dipendente appartenente alle R.S.U., che, durante l’orario di lavoro, aveva spedito – utilizzando il suo personale indirizzo di posta elettronica  – 200 comunicazioni di natura sindacale alla casella e-mail aziendale degli altri dipendenti/colleghi di lavoro.

La sanzione disciplinare della multa per l’avvenuta spedizione delle comunicazioni sindacali delle comunicazioni sindacali agli indirizzi e-mail forniti dall’azienda ai dipendenti, per motivi di lavoro, era stata comminata in conseguenza della convinzione datoriale dell’essersi il rappresentante sindacale avvalso di uno strumento comunicativo non consentito (l’indirizzo e-mail dei lavoratori dipendenti). Cioè a dire, per aver utilizzato uno strumento, per così dire, «inappropriato», in quanto le comunicazioni di natura sindacale non avrebbero potuto essere considerate assolutamente riconducibili all’ambito aziendal/produttivo (anzi, semmai operative in contrapposizione).

Tramite le due sentenze sopracitate del dicembre 2022, la Cassazione – occupandosi di due ricorsi della Fiom Cgil, attivati per declaratoria di comportamento antisindacale (poi ottenuta) conseguente alla stessa sanzione disciplinare comminata, dall’azienda metalmeccanica catanese, allo stesso rappresentante sindacale che si era avvalso delle e-mail dei colleghi per trasmettere loro comunicazioni a contenuto sindacale – legittima l’utilizzo promiscuo della posta elettronica della comune rete aziendale, una volta riscontrata: a) la mancata predisposizione da parte aziendale di un alternativo canale telematico (cd. account) per la trasmissione tra i dipendenti delle comunicazioni sindacali, autonomo e distinto da quello aziendale; b) la carenza di pregiudizi o disservizi occasionati da questo utilizzo promiscuo, sia perché non provati dall’azienda o comunque giudicati, in sede di merito, insussistenti. Eccependo poi, al rilievo aziendale secondo cui l’utilizzo in commistione della posta elettronica era avvenuto in orario di lavoro – in tal modo lumeggiando un ipotizzato distoglimento dei lavoratori dai loro compiti, da parte dei rappresentanti sindacali – che, nel caso di specie, in ragione dell’attività aziendale svolgentesi in turni 24 ore su 24, non sussisteva alcuna pausa nella quale poter veicolare le comunicazioni “fuori dell’orario lavorativo”. Quanto all’asserito ma indimostrato pregiudizio per l’azienda, andava poi non trascurato che l’eventuale pregiudizio contemplato dall’art. 26 dello Stat. lav., non deve rivestire il carattere dell’assolutezza/inesistenza ma atteggiarsi compatibile ad assicurare il “normale” (id est medio) svolgimento dell’attività produttiva.

Infine, la Cassazione conclude, affermando che «l’’evolversi delle modalità di comunicazione telematica e la maggiore efficacia realizzata attraverso il raggiungimento dei singoli lavoratori per mezzo della personale casella di posta elettronica, non può non essere considerata un aggiornamento necessario della modalità di trasmissione delle notizie, posta a garanzia della reale efficacia dell’attività di sindacale».

Non è superfluo, poi, ricordare come l’azienda metalmeccanica catanese di cui si è detto in precedenza – adducendo le stesse argomentazioni difensive poi riproposte all’esame dei posteriori collegi di Cassazione espressisi tramite le già citate sentenze del dicembre 2022 – era già risultata soccombente, per la stessa tematica del cd. “volantinaggio elettronico” sindacale, ad opera dell’anteriore Cass. n. 16476 del 21/6/2019. In quella sede, peraltro, aveva già fondato le proprie argomentazioni a sostegno del divieto di utilizzo da parte dei rappresentanti sindacali, sul fatto che «la rete aziendale di posta elettronica, essendo uno spazio chiuso e accessibile solo per ragioni di servizio, non è assimilabile ad altri spazi aperti e utilizzabili dai lavoratori per finalità non direttamente produttive e riconducibili all’espletamento della prestazione, anche se collegate all’attività lavorativa svolta». Considerazioni giudicate dalla Suprema Corte non condivisibili, talché – invero piuttosto sbrigativamente e con eccezioni eminentemente di natura processuale – erano state respinte dietro mera condivisione della motivazione resa dalla Corte d’Appello di Catania, giudice di secondo grado. Secondo la quale, una volta «ritenuto che il diritto di proselitismo sindacale sia espressione del più ampio diritto di manifestazione del pensiero, la pretesa dell’azienda “di vietare in modo assoluto” e a prescindere dalle modalità concrete con cui avvenga la comunicazione informatica, sulla base della considerazione che la posta elettronica aziendale sia utilizzata per comunicazioni di solo contenuto aziendale, non può considerarsi conforme all’art. 26 citato».

Note

i Vedi, in senso negativo, Corte cost., 6.7.1966, n. 87; in positivo Corte. cost., n. 84/1969.

ii Cfr. Cass., n. 1066/1978, in Mass. giur. lav. 1978, 466.

iii In tal senso si sono espresse, tra le molte, Cass., n. 1325/1983, cit., nonché Cass., n. 1066/ 1978, cit.

iv Così Cass., n. 5711/1984, in Not. giurisp. lav. 1985, 116 e Cass n. 1066/1978, in Mass. giur. lav. 1978, 466.

v Così Cass., 19.8.1986, n. 5089 in Not. giurisp. lav. 1986, 556; nello stesso senso anche Cass., 22.2.1983, n. 1325, in Mass. giur. lav. 1983, 210.

vi Pret. Milano 3.4.1995, Flm c. Ibm Semea, in Riv. crit. dir. lav. 1995, 545 e in Or. giur. lav. 1995, 2.

Allegato:

Cassazione civile sentenza n.35643 2022

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