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Omessa sottoscrizione digitale dell’atto redatto in originale informatico: conseguenze

A cura della Redazione.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 6477 del 12 marzo 2024 si sono pronunciate in merito alle conseguenze derivanti dalla mancata sottoscrizione digitale da parte del difensore del ricorso redatto in originale informatico (c.d. nativo digitale).

Mercoledi 20 Marzo 2024

Il caso: l’Agenzia delle Entrate impugnava avanti alla Corte di Cassazione la sentenza della Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.) del Lazio, sezione staccata di Latina, che, in riforma della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, aveva accolto l’appello della Alfa s.r.l. e annullava, di conseguenza, l’avviso di accertamento emesso nei confronti di detta società.

La società Alfa resisteva con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità per “inesistenza” del ricorso, redatto in originale informatico, in quanto privo di sottoscrizione digitale del difensore.

La Sezione Tributaria con ordinanza interlocutoria, reputando sussistente una questione di massima di particolare importanza in ordine al vizio ravvisabile nel ricorso per cassazione nativo digitale privo della firma digitale del difensore (nella specie, dell’avvocato dello Stato) trasmetteva gli atti al Primo Presidente ai sensi dell’art. 374 c.p.c., il quale ha assegnato la causa a queste Sezioni Unite, che dichiarano ammissibile l’impugnazione sulla base delle seguenti motivazioni:

a) i rilievi della Alfa s.r.l., si concentrano sull’assenza di firma digitale sull’originale del documento informatico, contestandosi, altresì, che l’apposta asseverazione ex art. 9 della legge n. 53/1994 sulla copia in formato analogico possa assolvere allo scopo di riferire l’atto al suo autore e cioè all’Avvocato dello Stato Tizio, nche perché in essa è attestato “un fatto non vero: ovverosia il fatto che il ricorso fosse stato sottoscritto digitalmente”;

b) invero, pur essendo pacifica la circostanza della mancanza di sottoscrizione del ricorso nativo digitale notificato via p.e.c., non è, anzitutto, in discussione (neppure da parte della società controricorrente) la riferibilità del ricorso stesso alla difesa erariale dell’Avvocatura generale dello Stato in quanto tale, essendo ciò comprovato, comunque, dalla relativa notificazione eseguita dall’indirizzo p.e.c. censito nei pubblici registri e riferibile alla medesima Avvocatura;

c) l’asseverazione contestata, nonostante attesti, in contrasto con la realtà fenomenica, che l’originale informatico dell’atto sia “sottoscritto con firma digitale dall’Avvocato dello stato Avv. Tizio”, risulta comunque chiaramente riferita al ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la Alfa s.r.l. e agli allegati messaggi di p.e.c. relativi alla notificazione del ricorso medesimo in data 27 gennaio 2020;

d) detta asseverazione esprime la paternità certa dell’atto, proveniente dall’Avvocatura generale dello Stato, in capo allo stesso avvocato dello Stato Tizio, operando in termini che, nello specifico contesto dato, possono ben essere assimilati alla certificazione dell’autografia della sottoscrizione della procura alle liti, palesando anzi, in maniera anche più evidente di quest’ultima (che si riferisce indirettamente all’atto cui accede), il nesso tra l’atto e il suo autore;

e) pertanto, nella peculiarità della delineata situazione processuale ‘ibrida’ e in continuità con l’indirizzo, ribadito anche da Cass., S.U., n. 22438/2018, per cui è possibile desumere aliunde, da elementi qualificanti, la paternità certa dell’atto processuale, va ritenuto che la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il deposito della copia di esso in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato, rappresentano elementi univoci da cui desumere la paternità dell’atto, rimanendo così superato l’eccepito vizio in ordine alla mancata sottoscrizione digitale dell’originale informatico del ricorso.

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