Per la Cassazione è netta la linea distintiva tra violenza domestica e liti familiari
A cura della Redazione.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17656 del 3 maggio 2024 pone in evidenza la netta distinzione tra violenza domestica, che integra il reato di maltrattamenti in famiglia, e le semplici liti familiari, penalmente non rilevanti.
Lunedi 6 Maggio 2024 |
Il caso: Il Tribunale di Siracusa assolveva Tizio dal delitto di maltrattamenti ai danni della moglie e della figlia dell’età di 12 anni per insussistenza del fatto; dichiarava improcedibile il delitto di violazione di domicilio per mancanza di querela e, previa riqualificazione del delitto di tentata estorsione in tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in continuazione con quello di lesioni aggravate, condannava l’imputato alla pena di un anno e due mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
La Corte d’appello accoglieva il gravame del P.M. E condannava Tizio per il delitto di maltrattamenti aggravati, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Tizio ricorre in cassazione tramite il prorpio difensore, censurando la sentenza della Corte distrettuale laddove aveva ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado in assenza della doverosa motivazione rafforzata sia in ordine all’abitualità delle condotte vessatorie tenute dal ricorrente, da qualificarsi come liti familiari per motivi economici, sia rispetto al dolo del reato, così non apprezzando le ragioni giuridiche utilizzate dal Tribunale.
Per la Suprema Corte il ricorso è infondato:
a) la sentenza della Corte di appello ha ribaltato l’esito assolutorio offrendo piena giustificazione della configurabilità del delitto di maltrattamenti: la Corte distrettuale ha correttamente riformato l’errata valutazione, frammentaria e segmentata, operata dal Tribunale di Siracusa, là dove erano state qualificate come mere «liti familiari» una serie di condotte – ingiurie, umiliazioni, lancio di oggetti, danneggiamenti reiterati, lesioni, esercizio arbitrario delle proprie ragioni – commesse unilateralmente dal ricorrente, tossicodipendente, contro la donna e la minorenne;
b) ciò che qualifica la condotta come maltrattante, in un necessario quadro di insieme, è che i reiterati comportamenti, anche solo minacciati ed operanti a diversi livelli (fisico o psicologico o economico) nell’ambito di una relazione familiare o affettiva, siano deliberatamente volti a ledere la dignità della persona offesa, ad annientarne pensieri ed azioni indipendenti, a limitarne la sfera di libertà ed autodeterminazione, a ferirne l’identità di genere con violenze psicologiche ed umiliazioni;
c) la confusione tra maltrattamenti e liti familiari avviene quando non si esamina e, dunque, non si valorizza l’asimmetria, di potere e di genere, che connota la relazione e di cui la violenza costituisce la modalità più visibile;
d) la linea distintiva tra violenza domestica e liti familiari è netta: si consuma il delitto quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza – fisica o psicologica -, della coartazione e dell’offesa e quando la sensazione di paura per l’incolumità (o di rischio o di controllo) riguarda sempre e solo uno dei due, soprattutto attraverso forme ricattatori e o manipolatorie rispetto ai diritti sui figli della coppia; mentre ricorrono le liti familiari quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista