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Posto – auto, inesistenza urbanistica e regolamento contrattuale

Situazione del tutto peculiare, ma non del tutto remota, quella che esamineremo oggi, in cui un soggetto acquista la proprietà di un posto auto, che, nella realtà dei fatti, risulta affatto diverso da quanto rappresentato ‘sulla carta’.

La pronuncia

Nel 2014 la Alfa acquista da una serie di soggetti, che chiameremo i venditori, la proprietà di un intero fabbricato, che la medesima Alfa intende sottoporre a ristrutturazione secondo un titolo abilitativo indicato nel contratto di compravendita; l’acquisto comprende anche la proprietà del box sito al pianto interrato del Condominio – che dobbiamo intendere formato dal fabbricato acquistato da Alfa e dal pianto interrato.

Terminata la ristrutturazione nel 2019 ed avviato l’utilizzo del fabbricato e del box, la Alfa si avvede che l’accesso al box è impedito dalla permanenza, nel piano garage, di un’automobile di grandi dimensioni riconducibile a Tizia; detta autovettura, infatti, occupa lo spazio che arriva sino alla linea di confine del box spettante ad Alfa per come individuato nella concessione edilizia del 1978.

La Alfa procede allora ad una serie di verifiche ed appura che lo spazio occupato dalla vettura di Tizia corrisponde ad un posto auto acquistato dalla medesima nel 2015 da Caia, che a sua volta lo aveva acquistato nel 1981 dalla Beta Sas (originario costruttore del Condominio); nell’atto di acquisto tra Tizia e Caia, costei dichiarava che il fabbricato di cui fanno parte i locali è stato realizzato a seguito della concessione edilizia del 1978, dichiarato abitabile nel 1980 ed ha ottenuto una prima sanatoria nel 2002, derivante da una pratica di condono del 1986 (con relativa abitabilità nel 2007) e una seconda sanatoria nel 2014; Caia dichiarava anche che, per le porzioni di immobile vendute (cioè, il posto auto), non erano stati commessi abusivismi edilizi tali da incidere sulla commerciabilità.

Peraltro, deduce sempre la Alfa, la planimetria allegata alla vendita Tizia – Caia sembra ricostruire uno spazio conforme a quello effettivamente occupato, nella realtà, dalla vettura di Tizia, che però l’atto di compravendita Tizia – Caia non individuava negli esatti confini.

La concessione del 1978 assentiva alla realizzazione di un posto auto, ma detta realizzazione non risultava confermata nella variante del 1980, perché detto posto risultava qui in posizione più arretrata rispetto alla linea di confine con il box attualmente di Alfa, attesa la raffigurazione data dalla planimetria allegata alla concessione.

È quindi evidente una difformità tra la concessione e la planimetria allegata al contratto Tizia – Caia e la modalità di sosta della vettura di Caia comporta che l’intero cofano anteriore occupi spazi non assentiti al parcheggio, con conseguente ostacolo ad Alfa per l’accesso al proprio box.

Osserva ancora Alfa che l’abitabilità concessa nel 1980 attesta che la costruzione è conforme al progetto del 1978 e variante (cioè quella del 1980), quindi senza posto auto (che mancava nella variante); per questo, a detta di Alfa, il posto auto di Tizia non sarebbe più urbanisticamente esistente.

Detta inesistenza viene ulteriormente corroborata, secondo Alfa, dall’assenza, nelle Tabelle Millesimali allegate al Regolamento originario del Condominio, dove sono individuati e millesimati i boxes – auto, ma non il posto auto, anche se, nella planimetria allegata al medesimo Regolamento, risulta aggiunto a mano il detto posto auto, con dimensioni e confini del tutto diversi rispetto alla planimetria allegata alla concessione del 1978, dato che il posto auto incide non solo sulla corsia di entrata/uscita dal box di Alfa, ma anche su altro box.

Alfa cita pertanto in giudizio sia Tizia che il Condominio, onde ottenere declaratoria di inesistenza urbanistica del posto auto di Tizia e quindi di un valido trasferimento in suo favore di detto bene e, a tale punto, ottenere declaratoria di impossibilità di utilizzo di uno spazio condominiale per fini urbanisticamente non permessi, con dichiarazione di illegittimità dell’utilizzo come parcheggio dello spazio condominiale corrispondente al posto auto da parte di Tizia, condannare costei ed il Condominio a cessare da detto utilizzo e da qualsiasi altro che derivi beneficio a Tizia.

In subordine, Alfa domanda che, ritenendosi esistente il posto auto, nei limiti del minore spazio di cui alla concessione del 1978, dichiarare comunque illegittima l’occupazione della parte del piano eccedente detti limiti e condannare Tizia ed il Condominio a cessare detta condotta, con condanna al risarcimento del mancato godimento del box da parte di Alfa in capo a Tizia ed al Condominio in solido tra loro.

Tizia, costituitasi, chiama in giudizio, in manleva, Caia, sua dante – causa e venditrice del posto auto, chiedendo comunque il rigetto della domanda di Alfa.

Sottolinea peraltro Tizia che il posto auto è individuato nella planimetria allegata al Regolamento condominiale, predisposto dalla Beta Sas, originaria costruttrice e venditrice dell’intero fabbricato e che detto Regolamento è stato accettato e richiamato nei successivi atti di trasferimento delle singole unità immobiliari facenti parte del Condominio.

Non solo. Tutti i proprietari e condòmini del Condominio, tra i quali Sempronio, dante – causa di Alfa che ha acquistato dai suoi eredi, nel 2010, con atto di riconoscimento reciproco, hanno individuato le rispettive proprietà esclusive all’interno del Condominio ed hanno riconosciuto in capo a Caia (poi venditrice a Tizia) la proprietà del posto auto. Tale atto è stato autenticato con atto notarile ed ha per allegato la planimetria catastale del posto auto, sottoscritta da tutti i firmatari dell’atto, tra i quali Caia e Sempronio, danti – causa di Alfa e Tizia, attualmente in lite.

Il Condominio eccepisce la carenza di legittimazione passiva, non ritenendosi soggetto da coinvolgere nella lite tra Alfa e Tizia.

Caia aderisce alle eccezioni di Tizia, a valere anche per l’infondatezza della chiamata in garanzia.

Il Tribunale di Aosta, con la sentenza n. 305 del 07 ottobre 2022, rigetta la domanda di Alfa.

La legittimazione passiva del Condominio

Alfa, come abbiamo cercato di rappresentare sopra, nella sua articolata domanda, agisce anche a tutela del bene comune costituito dallo spazio di manovra nel piano interrato del Condominio, deducendo l’illegittimità della condotta della condòmina Tizia che utilizza detto spazio comune in modo difforme dal proprio titolo o comunque improprio.

Sebbene il Giudice non espliciti o argomenti ulteriormente, dall’affermazione per cui «La legittimazione sussiste per il solo fatto che parte attrice ha prospettato, tra l’altro, la violazione di cui all’art. 1102 c.c., deducendo che la condomina Tizia occuperebbe abusivamente un bene comune.

Sotto tale profilo, l’ente di gestione è litisconsorte facoltativo e sussiste l’interesse di parte attrice ad estendere il contraddittorio nei confronti dello stesso e, così, gli effetti della decisione» deduciamo che egli abbia inteso significare che Alfa si è surrogata nei doveri dell’Amministratore del Condominio tutelando un bene comune dall’utilizzo distorto e contro Regolamento da parte di altra condòmina, nella fattispecie Tizia.

Regole urbanistiche e diritti civilistici

Alfa ha sostenuto che il posto auto di Tizia sia ‘urbanisticamente inesistente’, in quanto non sorretto da idoneo titolo abilitativo edilizio e comunque difforme dal titolo originario (la concessione del 1980), nonché ‘scomparso’ dai titoli successivi (le sanatorie).

Secondo Alfa, la violazione dei canoni edilizio – urbanistici farebbe sì che il bene (posto auto), pure di fatto individuabile, non sia giuridicamente commerciabile, ai sensi dell’art. 46 del TUE (Testo Unico sull’Edilizia, D.P.R. 380/2001).

Il magistrato dissente da tale interpretazione, richiamando la pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione n. 8230 del 2019, la quale aveva stabilito che «La nullità comminata dall’art. 46 del D.P.R. 380/2001 e dagli artt. 17 e 40 della Legge 47/1985 va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418, 3° comma, c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. […] In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato».

La Corte aveva infatti ribadito, in più occasioni, come le norme che sanciscano la nullità degli atti devono qualificarsi come disposizioni limitative dell’autonomia dei privati e della libera circolazione dei beni e, in quanto tali, devono ottenere un’interpretazione rigorosa, pertanto non estensiva o analogica rispetto a ipotesi differenti da quanto espressamente previsto dalle norme limitative medesime.

Insomma, ad oggi, un bene immobile dovrà essere ritenuto incommerciabile solamente laddove i) il venditore abbia omesso di dichiarare, nell’atto di compravendita, il titolo abilitativo in virtù del quale l’immobile è stato edificato o ii) il venditore esegua detta dichiarazione, ma poi risulti che il titolo è inesistente o riferito ad una costruzione diversa da quella oggetto di compravendita.

Se questi due profili mancano – quindi, il titolo abilitativo è dichiarato in atto ed è esistente e riferito all’edificio di cui fa parte l’oggetto della vendita – il contratto rimane valido anche qualora risulti, in seguito, che il bene sia difforme rispetto a quanto previsto nel titolo.

Ovviamente, il contratto rimane civilisticamente valido – e così il bene che ne costituisce l’oggetto ‘esiste’ ed è commerciabile da un punto di vista civile – ma permane una irregolarità urbanistica dello stesso, soggetta sine die all’azione ripristinatoria della PA, salve le sanatorie in forza dell’art. 36 del TUE ed ulteriori applicabili.

La Alfa confonde pertanto l’esistenza del posto auto con il fatto che lo stesso non fosse incluso nella variante del 1980 e nei successivi titoli in sanatoria, ritenendo che detta mancanza costituisse ‘cancellazione’ del medesimo.

Ci permettiamo sommessamente di osservare come un bene immobile non sia ‘cancellabile’, utilizzando l’espressione ritrovata in pronuncia, in quanto per ottenere detto risultato il bene dovrebbe essere materialmente distrutto oppure trasformato in qualcos’altro dal suo proprietario, ma in tale caso rimarrebbe esistente.

Nel caso di specie, si tratta di difformità tra la realtà dei fatti ed i titoli urbanistici, ma il Giudice non ritiene si tratti tanto di questione di dimensioni del posto auto – quale invece sembra essere il problema ‘materiale’ che attanaglia Alfa e Tizia, che quel posto lo devono utilizzare quotidianamente – bensì della materiale collocazione dello stesso in virtù dell’originario Regolamento condominiale.

Confrontando le planimetrie allegate dapprima alla concessione del 1978 e successivamente alla variante del 1980, al Regolamento originario ed agli atti di acquisto, emerge evidente secondo il magistrato che il posto auto è stato di fatto ‘traslato’, fino a spostarsi verso il confine con il posto auto poi divenuto il box di Alfa.

Risulta insomma evidente una ‘riformulazione’ degli spazi occupati da boxes e posti auto, con inglobamento successivo di porzioni reciproche, riformulazione accolta e disciplinata dal Regolamento successivo, cioè quell’atto di riconoscimento del 2010, che sanciva lo spostamento del posto auto sino al confine con il box di Alfa e che essendo stato accettato dai danti – causa delle odierne parti (Alfa e Tizia) nonché dalla medesima Alfa con il proprio acquisto non permette a costei di lagnarsi di una lesione del diritto di proprietà.

Secondo il magistrato, «Ne consegue, che l’odierna attrice [Alfa, N.d.A.] ha accettato all’atto del suo acquisto l’attuale consistenza urbanistica e civilistica del posto auto, cosicché la divergenza, quanto alla sua collocazione, rispetto all’originaria concessione del 1978, può essere fatta valere solo impugnando il regolamento contrattuale nei confronti di tutti i condomini in relazione alla eventuale limitazione del diritto di proprietà esclusiva».

Rispetto a questo punto rimaniamo nel dubbio, dato da due fattori:

– in virtù del principio nemo transferre potest quam sibi habet, cioè nessuno può trasferire ciò che non ha o più di quel che ha, Alfa ha acquistato il box nella situazione di fatto e di diritto che spettava al suo dante – causa, il quale, avendo preso parte all’atto ricognitivo del 2010, aveva già acconsentito alla ridistribuzione tra posto auto e box, quindi aveva già riconosciuto che il posto auto avesse la collocazione che attualmente era utilizzata da Tizia.

– data la natura contrattuale dell’atto di riconoscimento del 2010, non si comprende come potrebbe, in virtù di quanto detto al punto precedente, la Alfa contestare la lesione del diritto di proprietà esclusiva dato che non lo aveva nemmeno acquistato tale diritto, a meno che non si deduca che l’atto ricognitivo non fosse stato trascritto e quindi opponibile ai terzi, tra i quali Alfa in veste di acquirente, ma anche qui sovviene quanto riportato in sentenza circa l’accettazione, da parte di Alfa, della situazione rappresentata dal Regolamento.

Sentenza
Scarica Trib. Aosta 7 ottobre 2022 n. 305

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