Presunzione ex art. 1352 c.c e validità del recesso.
Dott. Giovanni Berti.
Con l’Ordinanza n° 18414 del 09/07/2019, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla delicata questione dell’applicabilità all’atto di recesso della presunzione prevista dall’art. 1352 c.c..
Innanzitutto, occorre effettuare una breve disamina del contenuto dell’art. 1352 c.c.[1].
La norma prevede che le parti possano, con apposito accordo scritto, concordare di adottare una determinata forma per la conclusione di un contratto e che, in tal caso, tale forma debba presumersi voluta ad substantiam, ovvero ai fini della validità del futuro accordo[2].
Dal dato letterale, si comprende come l’accordo sulla forma, perché quest’ultima possa essere presunta per la validità del contratto, debba essere redatto per iscritto[3]. La forma scritta è così necessaria ad substantiam, sebbene la legge non preveda la nullità del patto in mancanza della stessa[4]. Ad ogni modo, la presunzione deve ritenersi iuris tantum e viene meno in presenza di un qualsiasi fatto contrastante, sia esso precedente, simultaneo o successivo alla stipulazione del patto sulla forma o del contratto vero e proprio[5].
Ebbene, è spesso dibattuta la questione dell’applicabilità o meno della presunzione di cui all’art. 1352 c.c. anche al recesso, per il quale le parti abbiano pattuito una forma determinata.
Sul punto, si è di recente pronunciata la Corte di Cassazione con una fondamentale e dirimente Ordinanza, la n° 18414 del 09/07/2019. Il pronunciamento della Suprema Corte si innesta all’esito di una articolata vicenda processuale. Così, dapprima, con la sentenza n. 445/2012, il Giudice di Pace di Portogruaro aveva confermato due decreti ingiuntivi che ordinavano ad un soggetto di pagare integralmente alla propria ex compagnia assicurativa le rate maturate per cinque polizze assicurative, sebbene egli avesse dato anticipatamente recesso dalle stesse. Ciò sul presupposto, secondo il Giudice, che il recesso fosse da considerarsi invalido in quanto manifestato alla compagnia esclusivamente via fax anziché a mezzo di raccomandata, come invece era espressamente richiesto dalle condizioni generali delle polizze.
Successivamente, l’ingiunto aveva dunque proposto appello dinanzi al Tribunale di Pordenone che, con sentenza del 24 febbraio 2017, decideva di revocare i due decreti, ritenendo efficace il recesso esercitato dall’assicurato, sull’assunto che la presunzione di cui all’art. 1352 c.c. – da interpretarsi letteralmente – non potesse applicarsi agli atti di recesso, ma solo ed esclusivamente ai negozi giuridici[6]. Il Tribunale, in particolare, aggiungeva che l’obbligo contrattuale di dare recesso a mezzo di lettera raccomandata fosse finalizzato esclusivamente alla mera necessità di “garantire la certezza circa la conoscibilità dell’atto da parte di chi lo deve ricevere” e che tale funzione fosse stata comunque assolta, nel caso di specie, dall’invio del fax, che la compagnia assicurativa non aveva mai contestato di aver ricevuto.
La compagnia assicurativa interponeva allora ricorso in Cassazione sulla base di due diversi motivi: a) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1352 e 1354 c.c e b) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg.. In particolare, con specifico riferimento al primo motivo di ricorso, la ricorrente eccepiva che il recesso dell’assicurato, effettuato a mezzo fax, anziché per raccomandata, come richiesto dalle clausole generali delle polizze, fosse invalido o, quanto meno, inefficace, in quanto privo della forma concordata dalle parti per recedere che avrebbe, invero, dovuto presumersi ad substantiam ex art. 1352 c.c.
Gli Ermellini hanno, dunque, risolto la questione affermando che l’art. 1352 c.c. deve ritenersi applicabile al recesso, poiché quest’ultimo, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. sez. II, 28 gennaio 1976 n. 267, Cass. sez. II, 14 agosto 1986 n. 5059, Cass. sez. III, 8 febbraio 1994 n. 1609, Cass. sez. III, 10 gennaio 2003 n. 195, Cass. sez. III, 17 febbraio 2014 n. 3616 e Cass. sez. Iav., 29 marzo 2017 n. 8136) costituisce “un atto negoziale unilaterale dal contenuto negativo, nel senso che pone fine agli effetti sostanziali della permanenza del contratto rispetto al quale si esplica (…) laddove sono atti negoziali unilaterali dal contenuto positivo, in quanto diretti a porre in essere un negozio plurilaterale, la proposta e l’accettazione”. A tale prima considerazione, la Corte ne ha aggiunta un’altra, osservando come il Giudice d’appello, facendo riferimento alla “rilevanza dell’effettiva conoscenza del recesso da parte del destinatario ai fini della decorrenza dei suoi effetti”, avesse erroneamente spostato la “forma dell’atto” dal piano della sua costituzione sostanziale (forma ad substantiam) “ad un piano di effetti esteriori alla sostanza negoziale della forma, prossimo invece alla forma ad probationem”.
La Corte, ha così accolto il primo motivo di ricorso (dichiarando conseguentemente assorbito il secondo) e cassato la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Pordenone, nella persona di un diverso Giudice, per l’applicazione dell’art. 1352 c.c. al negozio unilaterale di recesso, in riferimento a tutte le polizze oggetto del thema decidendum.[7]
L’importanza della pronuncia in questione è evidente. Gli Ermellini, applicando al recesso la presunzione di cui all’art. 1352 c.c., hanno infatti consolidato il principio di diritto già espresso dalla risalente sentenza della Cassazione n. 9719/1992 e, ancor prima, formulato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle specifiche situazioni del recesso del conduttore dal contratto di locazione (Cass. civ. sez. III, 03/07/1979, n. 3763), delle dimissioni del lavoratore (Cass. civ. sez. lav., 08/08/1987, n. 6837, sent. 22/12/1987 n. 9587, Cass. civ. sez. lav., 27/03/1982, n.1922) e della revoca della procura a vendere (Sent. 13/06/1958 n. 1999). Pertanto, deve ad oggi ritenersi pacifico che, ogniqualvolta venga pattuita per iscritto una particolare forma per l’esercizio del diritto di recesso, essa dovrà presumersi concordata ad substantiam, ex art. 1352 c.c. Ciò implica un’ulteriore considerazione sotto il profilo delle conseguenze giuridiche: il recesso esercitato in violazione della forma pattuita non potrà certamente considerarsi legittimo, ma neppure meramente illegittimo; esso infatti, in quanto privo di un elemento essenziale per la sua validità (la forma ad substantiam), dovrà sempre ritenersi irrimediabilmente nullo e in quanto tale inefficace ex tunc, ovvero tamquam non esset.
——————————————————
Note
[1] La disposizione recita: “Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume [2728] che la forma sia stata voluta per la validità [1350, 1418, 1421] di questo” [2] A. Torrente, P., Schlesinger, Manuale di diritto privato, (a cura di) F. Anelli e C. Granelli, Giuffré Editore, Milano, 2013, pp. 530-531. [3]Cfr. https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-ii/capo-ii/sezione-iv/art1352.html, 20/06/2021. [4] Cfr. Ivi. [5] Cfr. Ivi. [6] Cfr. I. Marconi, Recesso: necessario osservare la forma contrattualmente prevista, in “Altalex”, 18/07/2019, http://www.francocrisafi.it/web_secondario/sentenze%202019/ cassazione%20civile%20sez%206%20ordinanza%2018414%2019.pdf, 20/06/2021; A. Garozzo, La forma del recesso contrattuale, in “Reti di Giustizia”, 1/08/2019, https://www.retidigiustizia.it/leggi-e-diritto/la-forma-del-recesso-contrattuale, 20/06/2021. [7] Cfr. I. Marconi, op. cit.